Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24408 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. lav., 09/09/2021, (ud. 09/06/2021, dep. 09/09/2021), n.24408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11379-2018 proposto da:

V.D.G.B., in proprio ed in qualità di esercente la

potestà sui figli minori: V.D.G.P.A.,

V.D.G.D.G., V.D.G.A.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE MAZZINI 4, presso lo studio degli

avvocati ROBERTA CESCHINI, ARMANDO RESTIGNOLI, che li rappresentano

e difendono;

– ricorrenti principali –

ABB S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE MAZZINI 27,

presso lo studio TRIFIRO’ & PARTNERS AVVOCATI, rappresentata e

difesa dagli avvocati GIACINTO FAVALLI, PAOLO ZUCCHINALI, MARINA

MARIA TONA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 47/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 01/02/2018 R.G.N. 1386/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

D.G.B., in proprio e quale genitore esercente la potestà, sui figli minori D.G., A.G., P.A., adiva il Tribunale di Milano ed esponeva che il proprio coniuge D.G.G.T., assunto dalla società italiana ABB s.p.a. “per il tramite della società di recruiting Profile Middle East LLC” quale tecnico elettricista addetto all’impianto di estrazione sito ad (OMISSIS), della società BP Amoco, – in joint Venture con le società Statoil e Sonatrack – in data 20/1/2013 era rimasto vittima di un attentato terroristico;

instava, quindi, per conseguire pronuncia di accertamento della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato fra il proprio defunto marito e la ABB s.p.a., e di condanna della società datoriale al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali scaturiti dalla violazione delle disposizioni codicistiche in tema di sicurezza sul lavoro e di responsabilità civile di natura contrattuale ed extracontrattuale (ex artt. 2087,1218,1223,2043 e 2050 c.c.);

la società resisteva alle domande chiedendone la reiezione;

il giudice adito, ritenuto che “il rapporto di lavoro fosse riconducibile alla convenuta ABB s.p.a., in parziale accoglimento del ricorso, condannava detta società al pagamento della somma complessiva di Euro 839.782,07;

tale pronuncia veniva riformata dalla Corte distrettuale che, in accoglimento dell’appello interposto dalla società ABB, rigettava integralmente le domande attoree, condannando la ricorrente alla restituzione di quanto percepito in esecuzione della sentenza;

i giudici di seconda istanza, dopo aver acclarato che il rapporto intercorrente fra le parti era riconducibile al paradigma della somministrazione irregolare, pervenivano a tale convincimento alla stregua delle seguenti argomentazioni:

1) dalla documentazione in atti si evinceva che la responsabilità per la sicurezza interna del sito faceva carico esclusivamente alla Joint Venture mentre quella esterna era assicurata da un contingente dell’esercito algerino;

2) il rischio di attentati non presentava all’epoca dei fatti connotati di peculiare gravità;

3) l’azione terroristica nella specie, aveva avuto portata del tutto eccezionale, essendo stata considerata come uno degli episodi più gravi della storia dell’industria in un impianto estrattivo, in cui 32 terroristi pesantemente armati avevano attaccato il sito estrattivo tenendo sotto sequestro 800 persone sino al blitz attuato dall’esercito algerino, nel corso del quale erano periti numerosi terroristi e circa 40 ostaggi;

4) non erano emersi elementi idonei a dimostrare l’esistenza di un diretto nesso causale fra l’attività dei terroristi e l’exitus del lavoratore, essendo invece desumibile, alla stregua della documentazione prodotta dalla medesima parte ricorrente, la sussistenza di elementi indicativi dell’uccisione del D.G. ad opera dell’esercito algerino;

avverso tale decisione D.G.B., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori, interpone ricorso per cassazione sostenuto da sei motivi;

resiste con controricorso la ABB s.p.a. che propone ricorso incidentale condizionato affidato a sei motivi illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.con il primo motivo del ricorso principale si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti;

ci si duole che la Corte di merito abbia tralasciato di considerare i dati acquisiti alla espletata attività istruttoria e relativi al mancato esercizio di alcuna attività di formazione o addestramento da parte della società ABB nei confronti del personale dipendente, al fine di fronteggiare eventuali attacchi terroristici, così come della omessa diffusione fra i dipendenti, di alcuno specifico dispositivo di sicurezza interna;

2. il secondo motivo prospetta violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2087 c.c. nonché degli artt. 115-116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si critica la statuizione con la quale i giudici del gravame avevano riscontrato la predisposizione di “specifiche procedure di emergenza, comprensive delle ipotesi di colpi di arma a fuoco, esplosioni, incendi ed altri allarmi” dalla disamina della documentazione prodotta dalla società appellante (doc. 13); si osserva per contro che questo scritto faceva parte della corrispondenza fra ABB spa e la società PME ed aveva contenuto affatto diverso;

3. con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 2087 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si deduce che con motivazione apparente la Corte distrettuale avrebbe argomentato in ordine “all’esistenza di misure di sicurezza e protezione dei lavoratori”…concludendo per l’insussistenza di alcuna responsabilità in capo ad ABB s.p.a., diversamente da quanto acclarato dal giudice di prima istanza, il quale aveva accertato che in loco non era stata predisposta alcuna area di sicurezza in cui rifugiarsi in attesa di soccorsi esterni, alcun protocollo da seguire né diffuse informazioni utili alle quali attenersi per ridurre il rischio di morte;

si osserva che secondo i principi invalsi nella giurisprudenza di legittimità, grava a carico della parte datoriale l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato o del preposto, delle funzioni trasferite in materia di sicurezza;

4. con il quarto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. e del D.Lgs. n. 81 del 2001 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si prospetta la violazione da parte dei giudici del gravame, dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità alla stregua dei quali compete al datore di lavoro adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento del dipendente, il quale deve predisporre misure di sicurezza adeguate alla natura della attività alle dimensioni dell’aziendà;

5. il quinto motivo attiene alla violazione o falsa applicazione degli artt. 2087,1218,1175,1375 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ci si duole che la Corte di merito non abbia correttamente valutato che la ABB s.p.a. stava operando in un sito ad alto rischio di attacco armato, come desumibile dagli atti, e che la società sulla quale il relativo onere era gravante, non aveva dimostrato di avere adottato tutte le misure idonee, secondo la tecnica del momento, a tutelare i propri dipendenti;

6. il sesto motivo prospetta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con riferimento alla prevedibilità dell’attacco armato allo stabilimento in cui stava operando il de cuius;

7. parte controricorrente, dal canto suo, eccepisce in via preliminare il passaggio in giudicato di un- capo della pronuncia d’appello, a suo dire decisivo;

viene rimarcato che i giudici di seconda istanza avevano rigettato le istanze risarcitorie avanzate dagli attori, sul rilievo che il D.G. fosse stato ucciso dall’esercito algerino nel corso dell’intervento finalizzato alla liberazione del sito, come evincibile dalla documentazione prodotta dai medesimi attori in primo grado; tale statuizione, tqttavia, non era stata oggetto di specifica censura da parte degli eredi del lavoratore, dovendo intendersi definitivamente passata in giudicato;

si deduce, inoltre, che controparte sia nel ricorso ex art. 414 c.p.c. che nella memoria difensiva di appello, aveva sempre sostenuto la tesi alla Cui stregua il risarcimento dei danni “iure hereditatis” era dovuto in ragione del fatto che il signor D.G. era deceduto a seguito delle torture (asseritamente) inflittegli dai terroristi;

quale corollario di tali premesse, si prospetta, quindi, l’infondatezza del diritto ex adverso azionato, in base al principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui in materia di danno non patrimoniale,.in caso di morte cagionata da un illecito, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure hereditatis” di tale pregiudizio;

8) con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 2 della Convenzione di Roma in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si criticano gli approdi ai quali è pervenuto il giudice di seconda istanza in relazione all’accertamento della applicabilità al rapporto oggetto di causa, del diritto italiano, ai fini della qualificazione del rapporto medesimo;

si osserva che nel caso di specie le parti non avevano operato alcuna scelta con riferimento alla legge che avrebbe dovuto regolamentare il rapporto di lavoro; si prospetta quindi, una esegesi dell’art. 6 della Convenzione alla cui stregua la legge applicabile sarebbe stata quella algerina (del luogo in cui il lavoratore in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro ex art. 6 par. 2 lett. a della Convenzione); oppure quella di Abu Dhabi ove ha sede la società datrice di lavoro P.M.E. (art. 6 par.2 lett. b della Convnzione);

si deduce che da una interpretazione sistematica e coerente con le finalità della suddetta normativa, e con l’art. 8 Regolamento CE n. 593/2008 – che ha recepito in parte modificandola, la Convenzione di Roma del 1980 -risulterebbe evidente come “le norme di applicazione necessaria italiana potrebbero operare solo nel caso in cui le parti avessero deciso di regolamentare i loro rapporti sulla base di una legislazione diversa. da quella italiana in un contesto in cui tale ultima legge, in mancanza di scelta, sarebbe risultata, sulla base dei criteri di collegamento previsti dalla Convenzione di Roma e dal Regolamento n. 593/2008, quella applicabile”;

9) il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 16 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si critica la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno affermato l’applicazione al rapporto in esame della legge italiana senza operare alcun approfondimento sul contenuto e i principi informatori della disciplina legale che sarebbe stata diversamente applicabile e sulla loro eventuale contrarietà ai principi di ordine pubblico italiano

si censura altresì la pronuncia della Corte distrettuale per aver catalogato nel novero delle norme di ordine pubblico, la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, che invece non rientra nell’ambito di tale contesto, non rispondendo a principi di rango sovranazionale in quanto condivisi anche da atti e trattati internazionali oltre che dalla giurisprudenza comunitaria (come il divieto del lavoro minorile, il diritto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, il principio di adeguatezza della retribuzione);

10) il terzo motivo attiene alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, dell’art. 2094 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si critica la pronuncia della Corte distrettuale per aver ritenuto sussistente la fattispecie della somministrazione irregolare sulla base della ricorrenza in capo al formale datore di lavoro P.M.E., dei soli aspetti di gestione amministrativa del rapporto, omettendo di valutare le risultanze istruttorie anche documentali acquisite in giudizio;

11. con il quarto motivo e’.denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

ci si duole che il giudice di seconda istanza abbia posto a carico di ABB s.p.a. l’onere di dimostrare la legittimità del contratto intercorso con PME e fra P.M.E. ed il signor D.G., in violazione del principio di ripartizione dell’onere probatorio fissato dalla richiamata disposizione codicistica, rimarcandosi la genericità delle allegazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio;

12. con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione

dell’art. 2697 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione

all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si criticano le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte distrettuale in ordine all’accertamento della insussistenza in capo alla società PME, di elementi idonei a definire in capo ad essa, un effettivo ruolo direttivo delle prestazioni lavorative del D.G., che esulasse dagli aspetti meramente organizzativi del rapporto, prospettandosi al riguardo, una erronea valutazione delle risultanze istruttorie;

13. il sesto motivo concerne l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

ci si duole della mancata disamina della documentazione presentata dalla società, tralasciando di considerare i dati dai quali era chiaramente desumibile come il potere direttivo, organizzativo, gerarchico nei confronti del D.G., gravasse sulla società P.M.E.;

si stigmatizza l’interpretazione del contratto resa dai giudici del gravame i quali hanno rimarcato solo taluni aspetti relativi ai costi, di natura meramente contabile, omettendo di vagliare quelle clausole contrattuali in cui invece, si dava atto che numerosi altri costi quali quelli di viaggio, visite mediche, assicurazioni, erano tutti a carico di PME e non di ABB s.p.a..

14. per un corretto iter motivazionale, è bene scrutinare con priorità le ragioni di doglianza formulate dalla società controricorrente, sulla scia del consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui, alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il cui fine primario è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale Proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito; qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (vedi ex plurimis, Cass. S.U. 25/3/2013, n. 7381, Cass. 6/3/2015 n. 4619, Cass. 14/3/2018 n. 6138);

e tale ultima è l’ipotesi ricorrente nella specie, reputando la Corte fondato il ricorso principale in base alle argomentazioni che in seguito si andranno ad esporre;

15. tanto precisato deve rilevarsi l’infondatezza della prima eccezione sollevata dalla società con riferimento al passaggio in giudicato del capo della sentenza di appello con da quale si deduce la carenza di dati idonei a ricondurre il decesso alla attività dei terroristi, risultando dagli atti elementi indicativi della erronea uccisione del de cuius ad opera dell’esercito algerino;

e’ bene al riguardo rammentare che il giudicato interno, in base ai condivisi ditta di questa Corte, si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente (vedi ex aliis, Cass. 15/3/2012, n. 14787, Cass. 23/8/2007 n. 17935; Cass. 17/11/2008 n. 23747), con esclusione delle affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cass. 30/10/2007, n. 22863);

e’ stato precisato al riguardo che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. 17/11/2008, n. 23747; Cass. 30/10/2007 n. 22863; Cass. 20/12/2006, n. 27196, Cass. 17/5/2001 n. 6757);

inoltre, si è detto che ove non sia stata proposta impugnazione nei confronti di un capo della sentenza e sia stato, invece, impugnato un altro capo strettamente collegato al primo, è da escludere che sul capo non impugnato si possa formare il giudicato interno (Cass. 2/3/2010, n. 4934; Cass. 23/9/2016, n. 18713; Cass. S.U. 27/10/2016, n. 21691);

in definitiva, il giudicato interno, nel giudizio di merito, non può formarsi altro che sulla statuizione avente ad oggetto, congiuntamente, le decisioni sull’esistenza di un fatto, l’esistenza di una norma e l’idoneità del fatto a produrre, in base alla norma, l’effetto da questa previsto;

nella specie, tuttavia, è del tutto evidente che, come riconosce la stessa società controricorrente, il capo della sentenza sul quale si sarebbe formato il giudicato implicito essendo “strettamente collegato” al rigetto della domanda risarcitoria, è privo di quella autonomia tale da integrare una decisione indipendente e suscettibile di passare in giudicato, rappresentando piuttosto un passaggio motivazionale della statuizione in concreto adottata, privo degli elementi qualificanti su enunciati e connotato altresì da profili di vaghezza e genericità quanto alla definizione della presunta causa di decesso del lavoratore che – come affermato dalla stessa Corte di merito sulla base del certificato di morte in atti (il cui contenuto non è stato contestato dalla società) – oltre ad esser risultato colpito da numerosi colpi d’arma da fuoco, aveva subito anche ulteriori rilevanti traumi;

si tratta di fattori tutti, ostativi alla configurabilità del contenuto minimo di unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno, come prospettata dalla società;

16. di qui l’inammissibilità della relativa censura;

17. deve poi dichiararsi l’inammissibilità delle ulteriori critiche proposte nei primi due motivi del ricorso incidentale che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse;

e’ bene rammentare al riguardo che l’art. 16 della Convenzione di Roma 19.6.1980 così prevede: “L’applicazione di una norma della legge designata della presente convenzione può essere esclusa solo se tale applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro”; negli stessi termini, ai sensi dell’art. 16 della L. 31 maggio 1995, n. 218, vigente ratione temporis (vedi Cass. 22/8/2013 n. 19405), è statuito che “l’applicazione di una legge straniera nell’ordinamento italiano è inibita se determina effetti contrari all’ordine pubblico, da intendere come insieme dei principi essenziali della “lex fori”” (cfr. Cass. 26/4/2013 n. 10070);

secondo i principi affermati da questa Corte in numerosi approdi, i parametri di conformità all’ordine pubblico internazionale devono essere rinvenuti in esigenze (comuni ai diversi ordinamenti statali) di garanzia di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, o nell’insieme dei valori fondanti. dell’ordinamento in un determinato momento storico (vedi ex plurimis, Cass. n. 23/2/2006 n. 4040, Cass. S.U. n. 12193 del 2019, Cass. n. 22932 del 2019 e da ultimo, Cass. 10/5/2021 n. 12344);

deve in via ulteriore precisarsi che, in tema di rapporto di lavoro sorto, eseguito e risolto all’estero, la nozione di “ordine pubblico”, che costituisce un limite all’applicazione della legge straniera, è desumibile innanzi tutto dal sistema di tutele apprestate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicché occorre fare riferimento alla tutela del lavoro prevista dalla Costituzione (artt. 1, 4 e 35 Cost.) e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell’Unione Europea dall’art. 6 TUE (vedi Cass. 21/1/2013 n. 1302);

la nozione di ordine pubblico internazionale va, dunque, rapportata alle diverse forme con cui la cooperazione internazionale si esprime: accordi internazionali o plurinazionali; atti di organizzazione a carattere universale aventi valore obbligatorio o anche soltanto programmatico ed esortativo; atti del diritto comunitario (comprese le sentenze della Corte di giustizia di Lussemburgo); la giurisprudenza internazionale (vedi: Cass. 26/11/2004 n. 22332);

18. tutto ciò precisato in linea di premessa, deve ritenersi che la censurata statuizione, nei suoi esiti applicativi informata ai suenunciati principi, resiste alle censure all’esame;

queste risultano affette da evidenti profili di inammissibilità, non recando la doverosa allegazione degli elementi presupposti perché operi la prospettata condizione di applicabilità della legge straniera, considerato che il momento assertivo viene ad atteggiarsi quale elemento fondamentale del giudizio in ordine alla individuazione della legge applicabile alla fattispecie ricondotta dall’l’art. 6, comma 2, della Convenzione di Roma, al luogo in cui è resa la prestazione o a quello della sede di stipula del contratto di assunzione quando – così come verificatosi nella specie manchi la scelta delle parti in ordine alla disciplina regolatrice del rapporto;

tanto in armonia con quanto statuito da questa Corte, che ha avuto modo di chiarire come l’accertamento della legge straniera che assicuri la condizione di reciprocità di cui all’art. 16 preleggi è compito riservato al giudice di merito, che è tenuto a procedere non già secondo il principio “iura novit curia”, bensì secondo i criteri generali in tema di onere della prova, configurandosi la legge straniera, in seno alla controversia instauratasi dinanzi al giudice nazionale, come mero fatto presupposto perché operi la condizione di reciprocità di cui al citato art. 16 il cui accertamento, se motivato in assenza di vizi logici o giuridici, si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità della (vedi Cass. 15/6/2000 n. 8171);

nella specie risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito, mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo, che nella specie si sarebbe dovuta realizzare mediante l’enunciazione dei termini entro i quali le discipline proprie degli ordinamenti stranieri, delle quali si invocava in via alternativa l’applicazione, avrebbero potuto assicurare la tutela di diritti fondamentali dei lavoratori in quel determinato momento storico;

19. al riguardo va ricordato che, in base al consolidato orientamento di questa Corte, il ricorrente che assume che vi sia stata una violazione di legge contestando l’avvenuta applicazione del diritto italiano per essere, invece, applicabile il diritto di uno Stato estero ha l’onere di specificare quale sia almeno la diversa regola o principio del diritto straniero a suo avviso in concreto applicabile, atteso che anche il vizio di violazione di legge deve, per regola generale, essere decisivo, ossia tale da comportare, se sussistente, una decisione diversa, favorevole al ricorrente; è pertanto necessario che il motivo di ricorso indichi non solo la regola che non va applicata al caso concreto, ma anche quella (diversa) a suo avviso invece applicabile e che comporterebbe una diversa decisione, favorevole all’impugnante: senza di che non è possibile apprezzare la decisività della censura e, dunque, l’interesse a proporla (Cass. 21/1/2004, n. 886 e altre conformi);

solo dopo che la parte abbia rispettato il suddetto onere, relativamente alle fattispecie interamente regolate dalla L. n. 218 del 1995, art. 14 sorge l’obbligo del giudice – anche della Corte di cassazione – di ricercare, anche d’ufficio e con ogni mezzo, le norme giuridiche dell’ordinamento straniero che interessano; ma si tratta di un obbligo che deve avere la sua base in una censura ammissibile per la quale l’interessato non può essere esentato dalla indicazione, quanto meno, della norma di cui si chiede l’applicazione e del suo contenuto “decisivo”, come si è detto (vedi Cass. 5/6/2007, n. 13184);

per effetto dell’art. 14 cit. le parti sono sollevate dall’onere di produrre la documentazione relativa alla legge straniera ma non dal rispetto delle regole in materia di formulazione dei motivi di ricorso per cassazione e di art. 360 c.p.c., n. 3, del resto il citato art. 14 è intitolato “Conoscenza della legge straniera applicabile”, l’applicabilità va quindi dimostrata da chi vi ha interesse;

nella specie l’invocazione dell’applicabilità della legge straniera da parte della società non è stata effettuata in conformità dei suddetti principi;

da ciò consegue l’inammissibilità della censura per molteplici ragioni;

20. i motivi dal terzo al sesto del ricorso incidentale, attengono tutti alla attività ermeneutica esplicata dai giudici di seconda istanza con riferimento al contratto di somministrazione di lavoro stipulato fra le parti;

essi possono essere trattati congiuntamente per connessione e si palesano inammissibili alla stregua delle considerazioni che si vanno ad esporre;

s’impone innanzitutto l’evidenza della violazione del principio di specificità che governa il ricorso per cassazione, non risultando riprodotto il tenore della documentazione e degli atti processuali evocati a sostegno delle doglianze formulate (contratto di lavoro stipulato fra PME e D.G. di cui al terzo motivo; ricorso di primo grado di cui si prospetta la genericità, nel quarto motivo);

i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono infatti, essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (vedi ex plurimis, Cass. 13/11/2018 n. 29093); il ricorrente ha infatti l’onere di operare una chiara esposizione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro (vedi Cass. 4/10/2018 n. 24340);

né la disciplina del ricorso pe’r cassazione, nella parte in cui prevede – all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – requisiti di ammissibilità di contenuto-forma, contrasta con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, sancito dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, giacché essi sono individuati in modo chiaro (tanto da doversi escludere che il ricorrente in cassazione, tramite la difesa tecnica, non sia in grado di percepirne il significato e le implicazioni) ed in armonia con il principio della idoneità dell’atto processuale al raggiungimento dello scopo, sicché risultano coerenti con la natura di impugnazione a critica limitata propria del ricorso per cassazione e con la strutturazione del giudizio di legittimità quale processo sostanzialmente privo di momenti di istruzione (vedi Cass. 3/1/2020 n. 27);

21. deve in via ulteriore rilevàrsi che le critiche articolate dalla difesa della controricorrente non hanno il tono proprio di una censura di legittimità;

esse, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione (cfr. Cass., S.U., 17/12/2019, n. 33373, Cass. S.U. 27/12/2019 n. 34476);

in breve, la complessiva censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti non consentita in sede di legittimità;

invero, la sentenza impugnata ha convalidato, sulla base della valutazione delle risultanze probatorie acquisite, gli approdi ai quali è pervenuto il giudice di prima istanza in ordine alla intercorrenza fra le parti, di un rapporto di lavoro subordinato; e ciò ha fatto sulla base della analitica ricostruzione del rapporto trilatero in cui risultava strutturata la relazione intercorsa fra il lavoratore e le società PME ed ABB s.p.a., sussumendola correttamente, nel paradigma normativo della somministrazione ò irregolare;

si era imposta l’evidenza della carenza di qualsiasi elemento, in atti, che fosse idoneo a definire l’effettivo ruolo organizzativo rivestito dalla società somministratrice PME, essendo emersa, per contro, la facoltà della utilizzatrice ABB s.p.a., di modificare i turni di lavoro, di redigere i prospetti delle ore lavorate con la individuazione dei relativi compensi che PME andava ad erogare; alla marginalità delle funzioni esplicate dalla società di somministrazione, confinato nell’ambito di incombenze di tipo amministrativo riconducibili alla contabilizzazione ed erogazione dalla retribuzione, al pagamento di spese viaggio, sanitarie ed assicurative, faceva da contrappunto il ruolo di effettiva parte deputata alla definizione dell’assetto organizzativo entro il quale andava ad inserirsi la prestazione resa dal lavoratore, svolto dalla società utilizzatrice;

detta ricognizione delle articolate acquisizioni probatorie, non è suscettibile di essere inficiata dalle su enunciate critiche non potendo trovare ingresso, nel regimeò di sindacato minimale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato, il vizio come dedotto dalla ricorrente;

anche prima della novella del 2012 del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con mod. in L. 7 agosto 2012, n. 134, costituiva consolidato insegnamento essere sempre vietato invocare in sede di legittimità un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché non ha la Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, v. Cass. 17/11/2005, n. 23286, Cass. 23/12/2009, n. 27162; Cass. sez. un., 21/12/2009, n. 26825; Cass. 16/12/2011, n. 27197);

non può, dunque, essere invocata una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla Corte territoriale, essendo la relativa valutazione – al pari della scelta di quelle, tra esse, ritenute più idonee a sorreggere la motivazione – un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito: il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente – non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza peraltro essere tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (per tutte: Cass. 20/4/2012. n. 6260);

nel sistema, l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto; con esso si è invero avuta (Cass. Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053) la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confrontoòcon le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;

in tale contesto, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

tanto comporta (Cass. Sez., Un., 22/9/2014, n. 19881) che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti;

la quaestio facti rilevante in causa è stata trattata in conformità ai criteri valutativi di riferimento – pur pervenendo sul punto il giudice del gravame a conclusioni opposte a quelle indicate da parte ricorrente – e resiste alle censure all’esame che, per quanto sinora detto, si collocano in posizione eccentrica rispetto agli angusti limiti entro i quali risulta confinata l’area di applicabilità del novellato testo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

in definitiva, alla stregua delle argomentazioni sinora esposte, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso incidentale;

22. i motivi del ricorso principale, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono fondati, nei termini di seguito esposti;

il cuore delle doglianze di cuiò si compone il ricorso risiede nella denuncia della violazione dell’art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema in tema di obblighi datoriali, correlati alla tutela della persona nei luoghi di lavoro e delle conseguenti responsabilità in caso di inadempimento;

appare corretto in via di premessa, e per un migliore inquadramento della tematica qui delibata, muovere dalla considerazione della disposizione della Carta costituzionale che ha edificato il diritto alla salute come diritto fondamentale ed inviolabile dell’individuo, prima ancora che quale interesse della collettività, integrante un prerequisito indefettibile per l’estrinsecazione di tutte le manifestazioni della condizione umana;

il dettato costituzionale di cui all’art. 32, si pone quale disposizione fondamentale di protezione anche nei rapporti di lavoro, a garanzia di un bene che si sostanza nella integrità psicofisica del soggetto, estendendosi a più ampi ambiti nei quali si estrinseca la personalità ed il benessere del soggetto stesso; e tale disposizione definisce un penetrante disegno di tutela che trascende l’ambito dei rapporti economici e degli interessi patrimoniali, pur nel necessario bilanciamento con essi;

se infatti è vero che l’iniziativa economica privata è libera, essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale nel cui ambito rientra certamente la tutela della salute (vedi Corte Cost. n. 196 del 1998) o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41 Cost., comma 2);

le linee normative regolanti i rapporti fra salute del lavoratore ed impresa, che si dipanano dalla succintamente descritta cornice costituzionale, seguono due percorsi connessi: l’uno volto ad identificare preventivamente le regole di condotta che il datore di lavoro deve osservare a salvaguardia della sicurezza del lavoratore, onde prevenire danni a beni fondamentali della persona; l’altro che opera successivamente, nel caso in cui tali danni si verifichino, inteso a delineare responsabilità in chiave riparatoria;

in tale prospettiva, perno del sistema rimane tuttora, l’art. 2087 c.c. che impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, da individuare secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica in base al parametro della più elevata sicurezza tecnologicamente possibile;

come definita in dottrina, la struttura della norma è elastica, aperta ai mutamenti economico-sociali e capace di adattarsi alle evoluzioni del progresso tecnico e scientifico, destinata, quindi, a sanare fratture del sistema, traendo dalla Costituzione nuova linfa e potenzialità espansive;

la giurisprudenza di questa Corte ha tracciato le linee ermeneutiche del sistema, rimarcando come il disposto dell’art. 2087 c.c. – avente una funzione sussidiaria ed integrativa delle misure protettive specifiche da adottare a garanzia del lavoratore – abbraccia ogni tipo di misura utile a tutelare il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi, così come è stato posto in rilievo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 399 del 1996 (cfr. Cass. 23/4/2012 n. 6337, Cass. 7/3/2006 n. 4840);

nel richiamare, in proposito, il contenuto precettivo dell’art. 2087 c.c. disposizione fondata sul generico dovere di prudenza, diligenza, osservanza delle norme tecniche e di esperienze, parallela all’art. 43 c.p. secondo cui l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, secondo, le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, questa Corte, sin da risalenti approdi (Cass. n. 5048 del 1988), ha bene affermato che tale disposizione “come tutte le clausole generali, ha una funzione di adeguamento permanente dell’ordinamento alla sottostante realtà socio-economica” e pertanto “vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, ed ha una funzione sussidiaria rispetto a quest’ultima di adeguamento di essa al caso concreto”;

le norme specifiche antinfortunistiche rappresentano, dunque, lo standard minimale richiesto dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, sicché a tal fine, vanno – proprio per la natura di “norma di chiusura” dell’art. 2087 c.c. – adottate tutte quelle misure che la specificità del rischio cui egli sia esposto impongono;

principi questi che hanno di recente rinvenuto ulteriore autorevole avallo da parte dei Giudici delle Leggi i quali, con sentenza n. 58 del 2018 hanno ribadito che secondo la giurisprudenza costituzionale, le norme di cui agli artt. 32 e 41 Cost. impongono ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori, limitando la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la “sicurezza” del lavoratore;

non possono essere trascurate le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (artt. 4 e 35 Cost.), posto che l’attività d’impresa, ai sensi dell’art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana;

rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona;

orbene, dati questi principi, deve ritenersi che la Corte distrettuale non ne abbia disposto corretta applicazione allorquando, pur avendo acclarato l’irregolarità del rapporto di somministrazione intercorso fra le parti, ha affermato che la responsabilità per la sicurezza interna non gravasse sulla società “utilizzatrice” ABB s.p.a. come desumibile dallo statuto negoziale;

ed infatti, quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di legge, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27 pro tempore vigente, si costituisce un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione sicché sia per. quel che riguarda la tipologia di lavoro, che viene ricondotto all’utilizzatore negli stessi termini in cui era stato voluto (costituito) e poi gestito dal somministratore, sia per quanto riguarda gli atti di gestione del rapporto, questi producono, per espressa volontà del legislatore, tutti gli effetti negoziali del rapporto di lavoro loro propri (ex multis, in motivazione, vedi Cass. 16/9/2016 n. 17969), sicché l’utilizzatore subentra nei rapporti così come costituiti e poi gestiti dal somministratore;

corollario di quanto sinora detto è che a carico della società ABB s.p.a. sussistono tutti gli oneri relativi alla predisposizione delle cautele e alla adozione delle condotte imposte da norme tipizzate o suggerite dalla tecnica, consigliate dalla concreta realtà aziendale e della conoscenza di fattori di rischio in un determinato momento storico, assicurati dalla disposizione surrichiamata, come definita nei suoi articolati profili dalla evoluzione ermeneutica disegnata dalla giurisprudenza della Ci:-te regolatrice ed alla quale si è innanzi fatto richiamo;

e’ indubitabile, infatti, che fosse preciso dovere della parte datoriale predisporre e mantenere in efficienza quei mezzi di tutela, concretamente attuabili secondo la tecnologia disponibile nel periodo, almeno potenzialmente idonei a tutelare l’integrità fisica del lavoratore, in ossequio al principio dettato dall’art. 2087 c.c.;

la responsabilità datoriale, conseguente alla violazione dell’art. 2087 c.c., ha infatti natura contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ex art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) che entra così a far parte del sinallagma contrattuale;

il che non vuol dire che tali mezzi dovessero essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi dovevano consistere in quelle misure che, secondo criteri di comune esperienza, potevano risultare atte a svolgere, al riguardo, una funzione almeno dissuasiva e, quindi, preventiva, o almeno protettiva, senza tralasciare di considerare che l’adozione di particolari misure di sicurezza (cd. “innominate”) assume un rilievo peculiare con riferimento a condizioni lavorative obiettivamente (anche solo potenzialmente) pericolose, in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione sia connessa alla tipologia di attività esercitata dal lavoratore;

anche se non è possibile sostenere che l’obbligazione in discorso si estenda fino al punto da dover eliminare, sempre e completamente, qualsiasi sorta di rischio alla salute connesso al rapporto di lavoro, è anche vero che il rischio – quando non può essere eliminato alla fonte – deve essere reso comunque insignificante per la salute, alla stregua delle misure di prevenzione in concreto attuabili e disponibili sul mercato in un determinato momento storico, secondo la migliore tecnica ed esperienza; ma senza alcun abbassamento della soglia di prevenzione rispetto agli standard eventualmente non adeguati praticati in una determinata cerchia di imprenditori;

il rapporto tra obbligo di sicurezza ed acquisizioni scientifiche è stato del resto affrontato anche dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 15 novembre 2001 C-49/00 – secondo la quale i rischi professionali oggetto di valutazione da parte del datore di lavoro non sono stabiliti una volta per tutte ma si evolvono in funzione dello sviluppo, delle condizioni di lavoro e delle ricerche scientifiche in materia; in tal senso la legislazione Europea (direttiva 89/391) non affida alla discrezionalità la natura degli interventi da adottare, prevedendo invece (artt. 3, d e 6) un ordine gerarchico delle misure che impone anzitutto di “evitare i rischi”, poi di “valutare i rischi che non possono essere evitati” e quindi di “combattere i rischi alla fonte”;

sui presupposti della responsabilità datoriale, va poi rimarcato che è ormai acquisita la tesi secondo cui la responsabilità civile del datore non è di tipo oggettivo sicché, qualora la responsabilità fatta valere sia quella contrattuale, dalla natura dell’illecito (consistente nel lamentato inadempimento dell’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore) occorre pur sempre l’elemento della colpa, ossia la violazione di una disposizione di legge o di un contratto o di una regola di esperienza, che va coordinata con il particolare regime probatorio della responsabilità contrattuale che è quello previsto dall’art. 1218 c.c. cosicché grava sul “datore debitore” l’onere di provare di aver ottemperato all’obbligo di protezione che si sostanzia nella valutazione dei rischi, organizzazione dell’apparato di sicurezza, informazione, formazione, addestramento dei lavoratori, adozione delle misure, vigilanza;

deve, in definitiva rimarcarsi, alla luce delle sinora esposte considerazioni, che la Corte del merito, nello scrutinare la vicenda dedotta, non si è attenuta ai su enunciati principi;

anzi, la Corte d’appello con la sua apodittica statuizione sulla idoneità dei sistemi di sicurezza basata sulla sporadicità degli attacchi terroristici, anch’essa affermata in modo apodittico; e comunque con la sua erroneamente ritenuta esclusione della ABB s.p.a. con riguardo alla sicurezza; nonché con la altrettanto immotivata affermazione secondo cui la morte del lavoratore sarebbe stata cagionata da un errore di un soldato, nonostante dal certificato di morte di D.G. risultassero rilevanti traumi e plurime ferite cagionate da armi da fuoco in varie parti del corpo, dai quali si desumeva che il D.G. avesse subito lesioni nel corso del tempo, non ha neppure affrontato in modo chiaro la questione centrale per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno terminale, e, quindi, per la sua conseguente trasmissibilità “jure hereditatis”, legato alla condizione della vittima in uno stato di “lucidità agonica”, per un certo lasso temporale intercorso tra lesione e morte, anche breve (vedi di recente: Cass. 17/9/2019, n. 23153);

la pronuncia va pertanto cassata con rinvio alla Corte designata in dispositivo la quale provvederà alla rinnovata delibazione del thema decidendum applicando gli esposti principi e disponendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), se dovuto.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale per quanto di ragione; dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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