Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24406 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 03/11/2020), n.24406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31326-2018 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SABOTINO 46,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO ROMANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA CERIELLO;

– ricorrente –

contro

B.C., F.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3357/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’avv. P.D. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Monza, B.C. e l’avv. F.A., chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni in relazione a due episodi, l’uno di diffamazione e l’altro di calunnia, commessi nei suoi confronti. In particolare, in data 3 aprile 2014 il B., conversando con un terzo, aveva dato all’avv. P. l’appellativo di “poverino”, in relazione ad un fatto a lui capitato; mentre in data 2 luglio 2012 il medesimo B., assistito dall’avv. F., aveva redatto un atto di denuncia querela nel quale aveva addebitato falsamente all’attore alcune circostanze passibili di reato.

Nella costituzione dei convenuti, il Tribunale accolse in parte la domanda e condannò il solo B. a pagare all’attore la somma di Euro 5.000 per i fatti di cui alla citata querela; rigettò la domanda nei confronti dell’avv. F. e ritenne che l’espressione “poverino” non avesse alcuna valenza diffamatoria.

2. La sentenza è stata impugnata dal B. in via principale e dall’avv. P. in via incidentale e la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 12 luglio 2018, ha accolto l’appello principale, ha respinto quello incidentale e, in riforma della pronuncia impugnata, ha rigettato la domanda risarcitoria dell’avv. P. che ha condannato al pagamento delle spese processuali del doppio grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre l’avv. P.D. con atto affidato a quattro motivi.

B.C. e l’avv. F.A. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5), violazione dell’art. 368 c.p. e dell’art. 342 c.p.c., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe travisato i fatti, decidendo su argomenti mai dedotti in precedenza e su fatti nuovi dedotti per la prima volta in appello, escludendo in tal modo l’elemento oggettivo della calunnia.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5), violazione degli artt. 112,115,342 e 345 c.p.c., nonchè dell’art. 51 c.p., sostenendo che la querela dovrebbe ritenersi comunque opera anche dall’avv. F. e che la deduzione, nella sentenza, del possibile errore putativo nella querela non avrebbe potuto essere compiuta in grado di appello.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5), violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., sostenendo che sussisterebbe anche l’ipotizzata diffamazione, anche perchè il B. non aveva contestato di aver detto la frase diffamatoria, sicchè la sentenza avrebbe errato nel ritenere avvenuta la contestazione.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto in vista del giudizio di rinvio, si ribadisce la richiesta, già respinta dalla Corte d’appello, di cancellazione dagli scritti difensivi di alcune frasi ritenute offensive.

5. I primi tre motivi, benchè tra loro diversi, possono essere trattati congiuntamente siccome tutti inammissibili, per una serie di convergenti ragioni.

In primo luogo, essi contengono censure non in tutto comprensibili, in quanto mescolano elementi di fatto e considerazioni di diritto; in secondo luogo, essi sono formulati con una tecnica non rispettosa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), perchè contengono una serie nutrita di riferimenti ad atti e deposizioni testimoniali, anche di altri processi, senza indicare se e come essi siano stati messi a disposizione della Corte; in terzo luogo, infine, essi tendono in modo evidente a sollecitare il giudice di legittimità ad un nuovo e non consentito esame del merito, insistendo per la sussistenza sia del reato di calunnia che di quello di diffamazione, la cui esistenza la Corte d’appello ha escluso, motivando con sufficienti argomenti.

6. Il quarto motivo è inammissibile, in quanto finalizzato all’eventuale giudizio di rinvio, che invece non dovrà avere luogo.

7. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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