Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24402 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24402

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 114/2013 R.G. proposto da:

Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, come da mandato in calce al

ricorso, dall’Avv. Gennaro Di Maggio, elettivamente domiciliata

presso lo studio dell’Avv. Emiddio Perreca, in Roma, Via Pigna n.

32.

– ricorrente –

contro

Fusaro Branch s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del

controricorso, dall’Avv. Luca Moscardino, elettivamente domiciliata

in Roma, Via S.Tommaso d’Aquino, n. 90, presso lo studio dell’Avv.

Andrea Quattrocchi

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, n. 147/15/2012, depositata il 28 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 marzo

2020 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla Fusari Branch s.r.l., società beneficiaria a seguito della scissione parziale della Fusaro Trade s.r.l. in tre società beneficiarie tra cui la contribuente, avvenuta nel 2004, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva rigettato il ricorso della società contro la cartella di pagamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis emessa nei suoi confronti per l’anno 2004, per Iva ed Irap, per la somma totale di Euro 278.934,98, notificata il 9-9-2009, quando erano decorsi i tre anni successivi a quello di presentazione della dichiarazione D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 25. Tale cartella era stata emessa da Equitalia Polis ed intestata alla società beneficiaria Fusaro Branch s.r.l., quale coobbligata solidale della società scissa. Il giudice di appello rilevava che la cartella era stata notificata alla contribuente beneficiaria solo il 7-9-2009, mentre il termine ultimo ai sensi del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis, era il 31-12-2008. 2.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Equitalia Sud s.p.a. Viene successivamente depositata memoria dall’Avv. Gennaro di Maggio, “in qualità di difensore costituito di Agenzia Entrate Riscossione”.

3. Resiste con controricorso la società, depositando memoria scritta, evidenziando l’intervenuta dichiarazione di fallimento della Fusaro Branch s.r.l..

4. Resta intimata l’Agenzia delle entrate.

5. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Anzitutto, si rileva che, in tema di ricorso per cassazione, la dichiarazione di fallimento di una delle parti non integra una causa di interruzione del relativo giudizio, posto che in quest’ultimo opera il principio dell’impulso d’ufficio e non trovano, pertanto, applicazione i comuni eventi interruttivi del processo contemplati in via generale dalla legge (Cass., n. 7477/2017).

1.1.Va, poi, dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio della Agenzia delle entrate riscossione, che si è limitata a depositare una memoria scritta ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Infatti, per questa Corte il successore a titolo universale può partecipare al giudizio pendente dinanzi alla Corte di cassazione mediante un atto d’intervento che dev’essere notificato alla controparte per assicurare il rispetto del contraddittorio, non essendo sufficiente il mero deposito dell’atto in cancelleria, stante l’esigenza di assicurare una forma simile a quella del ricorso e del controricorso, fermo restando che la nullità derivante dall’omissione della suddetta notificazione è sanata se le controparti costituite accettano il contraddittorio senza sollevare eccezioni (Cass., sez. 5, 17 luglio 2019, n. 19172).

Nella specie, l’Agenzia delle entrate riscossione si è limitata a depositare la memoria senza notificarla alla controparte, sicchè la sua costituzione è irrituale. In mancanza, poi, dell’udienza pubblica di discussione non v’è stata alcuna sanatoria del vizio processuale.

1.2.Quanto alle eccezioni sollevate dalla contoricorrente Fusaro Branch di difetto di legittimazione attiva, di carenza di legittimazione processuale e di carenza di interesse a presentare ricorso per cassazione, si rileva che Equitalia Sud ha la legittimazione ad impugnare la sentenza pronunciata dalla Commissione regionale nel giudizio di appello al quale la concessionaria non ha partecipato, per vizio della notificazione dell’atto di appello effettuata nei suoi confronti, pur avendo a tale giudizio partecipato l’Agenzia delle entrate.

Invero, l’oggetto del giudizio è rappresentato anche dalla asserita tardiva notificazione della cartella di pagamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis nei confronti della società contribuente, beneficiaria a seguito di scissione della Fusaro Trade s.r.l.

In caso di vizi che non siano propri della cartella, come appunto la tardiva notificazione della stessa, non sussiste litisconsorzio necessario “sostanziale” tra l’Amministrazione finanziaria ed il concessionario alla riscossione, nè dal lato passivo, spettando la relativa legittimazione all’ente titolare del credito tributario con onere del concessionario, ove destinatario dell’impugnazione, di chiamare in giudizio il primo se non voglia rispondere delle conseguenze della lite, nè da quello attivo, dovendosi, peraltro, riconoscere ad entrambi il diritto all’impugnazione nei diversi gradi del processo tributario (Cass., 3 aprile 2019, n. 9250; Cass., 4 aprile 2010, n. 8295; Cass., n. 9216/2018; Cass. n. 14125/2016; Cass. n. 22729/2016).

Il diritto alla impugnazione, quindi, sussiste anche in capo alla concessionaria alla riscossione, che non ha partecipato al giudizio di appello per vizio della notificazione dell’atto di appello, al quale ha partecipato solo l’Agenzia delle entrate.

1.3.Invero, va fatta corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, pienamente condivisibile, per cui la legittimazione al ricorso per cassazione spetta esclusivamente a chi abbia formalmente assunto la qualità di parte, alla stregua delle risultanze della sentenza impugnata, sicchè deve essere negata in favore di altri soggetti, con la consequenziale inammissibilità dell’impugnazione da essi proposta, senza che rilevi la circostanza che i medesimi abbiano veste di litisconsorti sostanziali indebitamente pretermessi (Cass., sez. un., 18 novembre 1994, n. 9753; Cass., sez. 3, 21 febbraio 2006, n. 3688; Cass., sez. 2, 16 aprile 2007, n. 9044). Si è anche ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla Agenzia delle entrate, intervenuta volontariamente in primo grado, ma assente nel giudizio di appello, poichè il giudice del gravame non ha ritenuto necessario disporre l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, essendo costituita anche l’Agenzia delle entrate riscossione -ADER- (Cass. 23 dicembre 2019, n. 34277).

Nella specie, invece, Equitalia Sud s.p.a. è stata “parte” nel giudizio di appello, in quanto la contribuente ha notificato l’atto di gravame nei suoi confronti, anche se indirizzandolo presso la sede legale, invece che presso il domicilio eletto.

Invero, anche se la legge processuale non fornisce una definizione espressa del concetto di parte, utilizzando tale termine in contesti diversi, talora riferendosi alle parti processuali, nell’esercizio di poteri processuali (art. 115 c.p.c.) ed in altre occasioni ai soggetti del rapporto giuridico sostanziale (art. 102 c.p.c.; artt. 2908 e 2909 c.c.), le parti del processo si identificano nei soggetti (attore, convenuto, intervenienti), i quali, a seguito di determinati atti processuali, per ciò stesso acquistano la qualità di parti del processo con la conseguente titolarità all’esercizio di una serie di poteri e facoltà processuali per consentire lo svolgimento del processo. Ciò a prescindere dalla effettiva titolarità del diritto o del rapporto giuridico sostanziale controverso. Pertanto, per l’attore, il fatto costitutivo della qualità di parte è l’avere agito in giudizio nei confronti di un altro soggetto, con idonee vocatio in ius ed editio actionis, che acquista in tal modo la qualità di parte convenuta. La qualità di parte si acquisisce così per aver dato vita al processo attraverso l’atto introduttivo (attore) o per essere stato destinatario di quest’ultimo (convenuto). Il fenomeno delle parti va guardato come strumento attraverso cui si realizza la partecipazione al processo e si struttura il diritto di difesa per i soggetti destinatari degli effetti (diretti o indiretti) del provvedimento del giudice.

Pertanto, non v’è dubbio che Equitalia Sud s..a., quale destinataria dell’atto di appello predisposto dalla contribuente, ha acquisito comunque la qualità di parte nel giudizio di appello, nonostante l’invalidità della notifica effettuata nei suoi confronti, come si chiarirà in prosieguo.

2.1.Con il primo motivo di impugnazione Equitalia Sud s.p.a. deduce la “nullità – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16, 20 e 53 e degli artt. 141 e 330 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto l’appello della Fusaro Branch è stato notificato alla Equitalia presso la sede legale, in (OMISSIS), invece che presso l’Avv. Tiziana Pane, difensore domiciliatario nominato nel corso del primo grado di giudizio. Peraltro, il vizio non è stato sanato ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, per il raggiungimento dello scopo, in quanto Equitalia, non avendo avuto conoscenza della pendenza del giudizio, non ha partecipato al grado di appello. Si impone, dunque, in assenza di sanatoria, la cassazione della sentenza di appello, con rinvio ad altra sezione della Commissione regionale ai fini della rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c..

2.2.Tale motivo è fondato, nei termini che seguono.

2.3.Invero, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 “le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio”.

Per questa Corte, invero, nel processo tributario, con riguardo al luogo delle notificazioni, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 fa in ogni caso salva la “consegna in mani proprie”, per cui una notificazione eseguita in tal modo deve considerarsi valida anche in presenza di una elezione di domicilio (Cass., sez. 5, 17 febbraio 2010, n. 3746).

Inoltre, tale norma, facendo riferimento non alla notifica in mani proprie, ma alla “consegna in mani proprie”, deve intendersi nel senso che venga fatta salva non solo la notificazione eseguita ai sensi dell’art. 138 c.p.c., ma anche tutte le altre notificazioni (ex art. 140 c.p.c., o a mezzo del servizio postale), a seguito delle quali l’atto venga comunque consegnato a mani del destinatario (Cass., n. 4274/2002, n. 10474/ del 2003; n. 9381 del 2007).

Tuttavia, le notificazioni a società devono essere effettuate presso i relativo domicilio e non presso la sede legale, dovendosi peraltro ritenere che la disposizione dettata per il processo tributario dal del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, laddove prevede che la notificazione possa eseguirsi in ogni caso “a mani proprie”, non è estensibile alle società di capitali, per le quali la ricezione degli atti non può avvenire che per mezzo di altre persone, sia pure da esse dipendenti o incaricate (Cass., sez. 5, 15 novembre 2017, n. 27050).

2.4.La notifica dell’appello da parte della Fusaro Branch è stata effettuata in modo irrituale presso la sede di Equitalia, invece che presso il domicilio eletto, con la conseguente mancata partecipazione della concessionaria nel giudizio di appello, pur in presenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario processuale tra Agenzia delle entrate e concessionaria alla riscossione, che avevano entrambe partecipato al giudizio dinanzi alla Commissione provinciale.

2.5.Nella specie, infatti, trattasi di tardiva notifica della cartella di pagamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, sicchè la legittimazione passiva spetta all’Agenzia delle entrate, non ravvisandosi vizi propri della cartella (Cass., sez. 5, 24 aprile 2018, n. 10019; Cass., se.z5, 15 aprile 2011, n. 8613; Cass., sez. 5, 30 ottobre 2007, n. 22939), venendo meno, in caso di notificazione tardiva, il diritto della Agenzia delle entrate di chiedere il tributo (Cass., sez. 5, 14 maggio 2014, n. 10477).

Sul punto, per questa Corte, a sezioni unite, il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza risponde delle conseguenze della lite (Cass., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412; Cass., sez. L, n. 22292/2019, in motivazione). Se, quindi, l’azione del contribuente per la contestazione della pretesa tributaria a mezzo della impugnazione della cartella, per la sua tardiva notificazione, è svolto direttamente nei confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa; se la medesima azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito. Si è precisato nella giurisprudenza di questa Corte che l’avere il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio.

Pertanto, l’avere il contribuente individuato nell’esattore il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, gravando sullo stesso agente di riscossione l’onere di chiamare in giudizio l’ente impositore, se non vuole rispondere dell’esito della lite; sicchè, anche in ragione dell’estraneità del contribuente al rapporto di responsabilità tra l’esattore e l’ente impositore, l’interessato può proporre l’azione indifferentemente nei confronti dell’uno o dell’altro soggetto, senza che tra costoro si realizzi una ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass., sez. 2, n. 14125/16).

2.6.Tuttavia, secondo un indirizzo giurisprudenziale minoritario la posizione della concessionaria è quella di un adiectus solutionis causa, verificandosi nel giudizio di appello la “scindibilità” delle cause.

In particolare, si è affermato che non è configurabile litisconsorzio necessario tra il soggetto incaricato del servizio di riscossione delle imposte, “mero destinatario del pagamento”, e l’Agenzia delle entrate, sicchè non sussiste obbligo di integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, che sorge soltanto quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, nonchè nel caso del litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti (Cass., sez. 6-5, 24 luglio 2014, n. 16813).

In particolare, si è sostenuto che la disposizione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, secondo cui l’appello dev’essere proposto “nei confronti di tutte le parti” che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili: pertanto, ove la controversia abbia ad oggetto solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria, la mancata proposizione dell’appello anche nei confronti del concessionario del servizio di riscossione, convenuto in primo grado unitamente all’Amministrazione finanziaria, non comporta l’obbligo di disporre la notificazione del ricorso in suo favore, quando sia ormai decorso il termine per l’impugnazione, essendo egli estraneo al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguente scindibilità della causa nei suoi confronti, anche nel caso in cui non sia stato eccepito o rilevato il suo difetto di legittimazione (Cass., sez. 5, 27 ottobre 2017, n. 25588; Cass., sez. V, 18 settembre 2015, n. 18361; Cass., n. 24083/2014; Cass., sez. 5, 3 gennaio 2014, n. 45; Cass., sez. 5, 9 maggio 2007, n. 10580;).

Invero, poichè sussiste solo una ipotesi di scindibilità tra le controversie, nel caso in cui l’impugnante non proponga appello nei confronti di una delle parti (nel caso di specie è nulla la notifica nei confronti della concessionaria), tale sentenza passa in giudicato, per il decorso del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c..

Le cause scindibili possono anche avere esiti diversi in un grado rispetto ad un successivo grado di giudizio, in quanto pur essendo connesse per l’oggetto o la comunanza delle questioni trattate, non hanno legami così forti da imporre la loro prosecuzione unitaria in sede di impugnazione. Il capo decisorio di ciascuna causa scindibile è suscettibile di passare in giudicato, per mancata impugnazione, pure se gli altri capi vengano devoluti nel nuovo grado del processo. Pertanto, potranno aversi anche decisioni contrastanti tra loro nelle motivazioni, ma rese da giudici diversi e soprattutto in gradi diversi del processo. Tuttavia, per evitare contrasto di giudicati l’art. 332 c.p.c. prevede che il giudice, se l’impugnazione è stata proposta soltanto da alcuna delle parti o nei confronti di alcuna di esse, ne ordina la notificazione alle altre, in confronto delle quali l’impugnazione non è preclusa o esclusa. Se la notificazione ordinata dal giudice non avviene, il processo rimane “sospeso” fino a che non siano decorsi i termini previsti negli artt. 325 e 327 c.p.c., comma 1. Si vuole così evitare che ciascuna causa cumulata in primo grado possa essere impugnata separatamente dalle altre, dando luogo a differenti processi di gravame, con il rischio che questioni comuni siano poi decise in modo difforme, per evitare il contrasto fra motivazioni di due decisioni di appello sulle cause connesse. La notificazione è ordinata dal giudice nei confronti delle altre parti solo se per esse l’impugnazione non è preclusa o esclusa, ossia purchè le stesse siano ancora nei termini per impugnare. La notificazione è, quindi, una mera denuntiatio litis, affinchè le altre parti, che erano terze e tali rimangono anche nel nuovo grado, ne tengano conto se vogliono anch’esse impugnare la sentenza, in relazione ad altri capi, magari formulando appello incidentale ai sensi dell’art. 333 c.p.c.. Nelle cause scindibili, dunque, si ammettono contrasti di motivazione fra sentenza di primo grado e di appello, ma non si tollerano contrasti tra diverse sentenze di appello, proprio ai sensi dell’art. 332 c.p.c., ove il giudice del gravame ordini la notificazione della impugnazione alle altre parti. La “sanzione” della “sospensione” è, dunque, diretta a far sì che decorrano i termini per il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti di quelle parti escluse dall’impugnazione. La sospensione del processo ha la specifica funzione di impedire la prosecuzione della impugnazione sino a quando non si sia formato il giudicato nei confronti di quelle parti, sicchè svolge anche la funzione di attuare il principio di unitarietà dei processi.

Nelle cause inscindibili il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., in quanto è essenziale che vi sia la partecipazione “effettiva” delle parti processuali, mentre per le cause scindibili si vuole solo eliminare la possibilità che contro la stessa sentenza si svolgano diversi giudizi di impugnazione.

Il giudice, allora, ordine la notifica della impugnazione alle altre parti soltanto se le stesse abbiano ancora il potere di impugnare, in quanto, essendo le cause scindibili, se esse avessero perduto tale potere, la sentenza sarebbe passata in giudicato e non vi sarebbe ragione, quindi, per invitarle a partecipare al processo in corso.

Per questa Corte, poi, nel caso in cui il giudice di appello abbia omesso di disporre la notificazione, ai sensi dell’art. 332 c.p.c., dell’impugnazione incidentale alle parti non costituite, la sentenza di appello può essere cassata in sede di legittimità soltanto se al momento della decisione della Suprema Corte non siano ancora decorsi per la parte pretermessa i termini per l’appello, mentre in caso contrario la violazione resta priva di effetti (Cass., 2 luglio 1999, n. 6802).

Inoltre, in un processo con pluralità di parti in cause scindibili, qualora una delle parti rimanga contumace in primo grado, la parte appellante (o appellante incidentale) che ha interesse ad instaurare il contraddittorio in fase di appello anche nei suoi confronti, ha l’onere di evocarla in giudizio nei termini di legge e secondo le norme ordinarie che regolano la notifica degli atti di impugnazione, producendosi in mancanza il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti della parte non evocata in giudizio in appello (Cass., 19 luglio 2004, n. 13334).

Se si trattasse, dunque, di “cause scindibili” ai sensi dell’art. 331 c.p.c., non sussisterebbe il litisconsorzio necessario in sede di appello, senza, quindi, alcun obbligo di integrazione del contraddittorio nei confronti di Equitalia Sud, non correttamente evocata in giudizio per la nullità della notificazione dell’appello. 2.7.Merita di essere condiviso, però, l’altro orientamento, maggioritario, della giurisprudenza di legittimità, che ravvisa nella fattispecie in esame una ipotesi di litisconsorzio necessario processuale (Cass., sez. un., 20 marzo 2019, n. 7927; Cass., sez. V, 10 ottobre 2019, n. 25519). Invero, il concetto di “causa inscindibile” di cui all’art. 331 c.p.c. va riferito non solo alle ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche alle ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27616; Cass., 27 maggio 2015, n. 10934, proprio in un caso in cui l’appello era stato proposto solo nei confronti dell’Agenzia, ma non della concessionaria, che aveva però partecipato al giudizio di primo grado; Cass., 22 gennaio 1998, n. 567).

Si è chiarito che, qualora il contribuente abbia presentato ricorso contro l’atto esattivo, eccependo vizi imputabili sia al:’Agenzia delle entrate (assenza della pretesa impositiva) che all’Agente della riscossione (vizi della cartella) e le parti abbiano tutte partecipato al giudizio di primo grado, in appello si configura il c.d. “litisconsorzio processuale”, con applicazione dell’art. 331 c.p.c. (Cass., sez. V, 23 dicembre 2019, n. 34277; Cass., sez. V, 4 aprile 2018, n. 9295;Cass., 8 novembre 2017, n. 26433).

Tale forma di litisconsorzio processuale, che colora di “inscindibilità” le cause in appello ex art. 331 c.p.c., ricorre, però, anche quando l’impugnazione del contribuente abbia ad oggetto solo vizi della cartella o solo ragioni che attengono alla pretesa tributaria sostanziale, senza la necessità che siano presenti entrambe le tipologie di vizi, al fine di impedire la formazione di giudicati contrastanti in ordine alla “stessa materia” e fra le “medesime parti” del giudizio.

Tuttavia, come previsto dall’art. 331 c.p.c., la mancata impugnazione della sentenza, pronunciata tra più parti in causa inscindibile, nei confronti non di tutte le parti, ma solo nei confronti di una (o più), non determina l’inammissibilità del gravame, ma l’ordine del giudice d’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pretermessa. Il ricorso in appello, nella specie, è stato proposto correttamente solo nei confronti della Agenzia delle entrate, mentre era invalida la notifica alla concessionaria, ed il mancato ordine da parte della Commissione regionale di integrazione del contraddittorio nei confronti della seconda, che è stata pretermessa, non comporta l’inammissibilità del gravame, allorchè la parte pretermessa non si sia comunque costituita nel relativo giudizio, dato che la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello, per il mancato ordine, determina la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass., sez.un., 20 marzo 2019, n. 7927; Cass., n. 10934/2015; Cass., n. 8854/2007; Cass., n. 1789/04; Cass., n. 11154/03; Cass. n. 13695/01; Cass., n. 5568/97).

3.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1310 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto che la cartella di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis è stata notificata alla contribuente solo il 7-9-2009, quando il termine ultimo per la notificazione, ai sensi del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 bis, era fissato al 31-12-2008. In realtà, la Commissione regionale non ha tenuto conto del fatto che la cartella è stata notificata tempestivamente nei confronti della debitrice principale, ossia la società scissa (Fusaro Brand s.r.l.), il 31-12-2008, con interruzione del termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 1310 c.c., anche nei confronti della società beneficiaria (Fusaro Branch), quale obbligata in solido.

4.Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 15, comma 2, in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 173, commi 12 e 13, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il giudice di appello ha erroneamente ritenuto assorbita tale questione. Il del D.P.R. n. 917 del 1986 art. 173, comma 13 prevede che i controlli, gli accertamenti ed ogni altro procedimento relativo agli obblighi tributari siano svolti, in caso di scissione parziale, nei confronti della società scissa. Allo stesso modo il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 15, in deroga alla disciplina civilistica, prevede che, in caso di scissione parziale, ciascun ente è obbligato in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto. Il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 30 dispone che, nel caso di scissione parziale, gli enti beneficiari sono solidalmente obbligati al pagamento delle sanzioni pecuniarie dovute dall’ente escisso per reati commessi anteriormente alla data dalla quale la scissione ha avuto effetto. Nella specie, la scissione è avvenuta nel 2004, quindi nel medesimo anno cui fanno riferimento le imposte di cui alla cartella oggetto del contenzioso e di cui non potevano le parti non tenere conto. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 15 deroga al limite stabilito dall’art. 2506 quater c.c. che, prevede, al comma 3 che ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.

5.Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “Illegittimità carenza di motivazione – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 15”, in quanto il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 15 fa riferimento, non alle “sanzioni”, ma alle somme dovute per le “violazioni” commesse anteriormente alla data in cui è intervenuto il progetto di scissione, con un riferimento ampio che ricomprende l’imposta principale, le sanzioni, gli interessi e gli ulteriori accessori. In pa.ticolare, il ruolo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis attiene ad un indebito credito di imposta per agevolazioni relative alle attività imprenditoriali, sicchè tali agevolazioni vanno valutate sulla base della complessità del patrimonio di cui all’attività considerata.

6.Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “omessa incompleta e carente motivazione – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 15, comma 2, con riferimento all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.”, in quanto, nei casi di scissione parziale, ciascuna società od ente è obbligata in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto. Pertanto, almeno con riferimento alle sanzioni, dovrebbe essere riconosciuta la legittimità dell’azione svolta dalla concessionaria, anche in assenza di emissione di un ruolo autonomo. Il giudice di appello, invece, ha ritenuto assorbita tale questione, omettendo ogni considerazione al riguardo, impedendo di determinare la titolarità passiva del debito almeno con riferimento alle sanzioni.

6.1. I motivi secondo, terzo, quarto e quinto restano assorbiti, in ragione dell’accoglimento del primo e del secondo motivo.

7.Constatato, quindi, il difetto d’integrità del contraddittorio dinanzi alla Commissione tributaria regionale, e la mancata applicazione dell’art. 331 c.p.c., va disposta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di impugnazione; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione aL motivo accolte con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

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