Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24401 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26743/2015 proposto da:

C.D.E., rappresentato e difeso dagli Avv. Guido Luigi

Battagliese, Vittorio Buonaguidi e Franco Carlini ed elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Piazza Cola di

Rienzo n. 92;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– intimata –

avverso la sentenza n. 979/19/2015 della Commissione tributaria

Regionale della Lombardia, sezione di Milano, depositata il

17/03/2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/07/2020

dal Consigliere Dott. Pepe Stefano;

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. L’Agenzia dell’Entrate con avviso di liquidazione notificato a C.D.E., notaio rogante, recuperava, con riferimento all’atto di conferimento di beni in trust stipulato il 29 novembre 2011, registrato il 14 dicembre 2011, le maggiori imposte ipotecarie e catastali nella misura proporzionale, rispettivamente, del 2% e dell’1%.

2. Il contribuente impugnava dinnanzi alla CTP di Milano l’avviso di liquidazione deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva, trattandosi di imposta complementare, e la carenza dei presupposti in fatto e in diritto.

3. La CTR con la sentenza n. 979/19/15, depositata il 17/03/2015, riformava la sentenza di primo grado e, per l’effetto, confermava l’avviso di liquidazione impugnato.

4. Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

5. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con un primo motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente rileva che la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi su uno dei due motivi di appello proposti dall’Agenzia delle entrate (afferente al presunto vizio di ultra petizione della sentenza di primo grado circa il rilevato difetto di motivazione dell’avviso di liquidazione), accogliendo il ricorso con riferimento al secondo motivo relativo al ricorrere nell’ipotesi del trust dei presupposti per l’applicazione delle imposte richieste; motivo che doveva dichiararsi inammissibile stante la sua formulazione generica con conseguente passaggio in giudicato delle ulteriori statuizioni contenute nella sentenza di primo grado poste a fondamento dell’accoglimento del ricorso del contribuente.

2. Con il secondo motivo di ricorso il contribuente censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la sentenza emessa dalla CTR che, in violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 347 del 1990, artt. 2 e 10 e del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 49, avrebbe ritenuto applicabile al trust l’imposta di donazione, estranea all’oggetto di giudizio vertente sull’applicabilità a tale atto dell’imposta catastale e ipotecaria; ritenuta non dovute dal contribuente stante la natura neutra dell’operazione per assenza di arricchimento di una parte.

3. Con il terzo motivo il ricorrente censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la sentenza della CTR, avendo i giudici di merito individuato quale momento rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta quello della costituzione del vincolo di destinazione (trust) in violazione del principio della capacità contributiva ex art. 53 Cost..

4. Con il quarto motivo viene denunciata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione della L. n. 364 del 1989 di ratifica della Convenzione dell’Ala del 1/7/1985 avendo la CTR affermato che il trust costituisce un vincolo di destinazione sui beni ad esso conferiti.

5. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

Per come emerge dallo stesso ricorso e per come riportato nella parte dello svolgimento del processo della sentenza della CTR, la sentenza di primo grado risulta fondarsi su di una pluralità di rationes dedidendi e, in particolare, sul difetto di motivazione dell’avviso di liquidazione e sull’assenza dei presupposti per l’applicazione delle imposte con esso richieste; questioni prospettate dalla contribuente con il ricorso introduttivo (cfr. pag 12 del ricorso in cui viene riportata la motivazione della CTP) e oggetto di specifici motivi di appello da parte dell’Agenzia dell’Entrate.

La CTR, nell’accogliere l’appello proposto dall’Ufficio in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle imposte richieste ha implicitamente rigettato il motivo di appello afferente il dedotto vizio di ultra petizione, rigetto il cui esame risultava evidentemente connotato da superfluità alla luce dell’accoglimento dell’impugnazione, vertendosi in un caso di assorbimento improprio che ricorre quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (cfr. Cass. n. 28663 del 2013).

Il motivo in esame è, altresì, non fondato nella parte in cui il ricorrente censura la sentenza della CTR per non aver dichiarato l’inammissibilità dell’appello per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, essendosi l’Agenzia limitata a riproporre nell’atto di appello le argomentazioni poste a fondamento della costituzione in primo grado.

Il citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, dispone che “Il ricorso in appello contiene l’indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici dell’impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell’art. 18, comma 3”. La giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 30525 del 2018), con orientamento pienamente condiviso dal Collegio, ha affermato che “Nel processo tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, in tale giudizio, dell’appello, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito. (Nella specie, in applicazione del principio, la S. C. ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibile l’appello, per la mancanza di critica alla motivazione della pronuncia di primo grado, pur avendo il ricorrente riproposto i motivi d’opposizione all’atto impositivo evidenziando la correlazione degli stessi con la documentazione prodotta che ne specificava la valenza, con conseguente possibilità per il giudice del gravame di individuare con chiarezza il contenuto delle censure)”. Alla luce del suindicato principio risulta priva di pregio la censura formulata dal ricorrente, non essendo richiesto, ai fini dell’ammissibilità dell’appello, l’indicazione nell’atto di appello dei singoli passaggi motivazionali oggetto di impugnazione.

6. I restanti motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono fondati.

La questione posta all’esame del Collegio attiene al fatto se, in materia di trust, ai fini dell’imposizione dell’imposta ipotecaria e catastale, sia sufficiente la mera costituzione del vincolo sui beni o occorre l’effettivo loro trasferimento nei confronti dei beneficiari.

Questa Corte (Cass. n. 15455 del 2019), con indirizzo pienamente condiviso dal Collegio, ha riaffermato il principio secondo cui è illogico affermare applicabili le imposte proporzionali, dovute per la trascrizione e la voltura di atti che importano trasferimento di proprietà di beni immobili, già al momento del conferimento dei beni in trust, perchè a tale momento è correlabile un trasferimento (al trustee) solo limitato (stante l’obbligo di destinazione che comprime il diritto di godimento del medesimo trustee rispetto a quello di un pieno proprietario) e solo temporaneo mentre il trasferimento definito di ricchezza – che rileva quale indice di capacità contributiva in relazione al cui manifestarsi sono pretendibili le imposte proporzionali- si verifica solo al momento del trasferimento finale al beneficiari (cfr. Cass. n. 25478 del 2015; negli stessi termini le sentenze n. 25479 del 2015, n. 25480 del 2015, n. 975 del 2018 e n. 13141 del 2018).

Ha, poi, osservato Cass. n. 16699 del 2019 che: “Poichè ai fini dell’applicazione delle imposte di successione, registro ed ipotecaria è necessario, ai sensi dell’art. 53 Cost., che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un’attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale, nel “trust” di cui alla L. n. 364 del 1989 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Afa 1 luglio 1985), detto trasferimento imponibile non è costituito nè dall’atto istitutivo del “trust”, nè da quello di dotazione patrimoniale fra disponente e “trastee” in quanto gli stessi sono meramente attuativi degli scopi di segregazione e costituzione del vincolo di destinazione, bensì soltanto dall’atto di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario”.

In conclusione, va affermato che la sola apposizione del vincolo non comporta, di per sè, incremento patrimoniale significativo di un reale trasferimento di ricchezza, con quanto ne consegue in ordine alla non ravvisabilità in esso di forza economica e capacità contributiva ex art. 53 Cost., quest’ultime poste a fondamento delle imposte richieste dall’Agenzia delle Entrate con l’avviso liquidazione impugnato.

Ed invero, se non può negarsi che l’apposizione del vincolo, in quanto tale, determina per il disponente l’utilità rappresentata dalla separatezza dei beni (limitativa della regola generale di cui all’art. 2740 c.c.) in vista del conseguimento di un determinato risultato di ordine patrimoniale; tale utilità, però, non concretizza, di per sè, alcun effettivo e definitivo incremento patrimoniale in capo al disponente e nemmeno al trustee, incremento che si verificherà (eventualmente e in futuro) in capo al beneficiario finale, di talchè la strumentalità dell’atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica, nei termini indicati, la fiscale neutralità.

La CTR non ha fatto corretta applicazione di tali principi laddove ha ritenuto rilevante, ai fini dell’applicazione delle imposte in esame, la mera costituzione del vincolo di costituzione in assenza di un effettivo trasferimento di ricchezza, assumendo all’uopo rilievo la circostanza che V.P.A. e la moglie G.M.L. hanno istituito in trust parte dei propri beni “per il soddisfacimento dei bisogni ed esigenze di una vita famigliare e/o imprenditoriale dei Beneficiari”.

Va, dunque, riaffermata alla costituzione del trust la riconducibilità di un effetto esclusivamente segregativo che, nel caso di specie, si è verificata all’interno del patrimonio dei disponenti stessi, risultando quest’ultimi anche i beneficiari finali del trust. In altri termini, l’acquisto da parte del trustee “costituisce solo un mezzo funzionale alla realizzazione dell’effetto finale successivo, che si determina nell’attribuzione definitiva del bene al beneficiario” con la conseguenza che “l’atto costitutivo di un trust (…) non è in grado di esprimere la capacità contributiva del trustee” e solo l’attribuzione al beneficiario, che come detto deve essere diverso dal disponente “può considerarsi, nel trust, il fatto suscettibile di manifestare il presupposto dell’imposta sul trasferimento di ricchezza” (Cass. n. 25478 del 2015).

Risulta, quindi, frutto di una errata interpretazione normativa l’opposto assunto della ricorrente secondo cui ciò che rileva ai fini fiscali è il mero vincolo di destinazione con la segregazione del bene conferito essendo irrilevante l’arricchimento del destinatario del bene; assunto che oblitera completamente la circostanza che le imposte in esame trovano ragione in manifestazioni di ricchezza conseguenti a trasferimenti patrimoniali.

4. La sentenza della CTR deve essere cassata e poichè non sono necessari accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente, ed annullamento dell’avviso di accertamento opposto.

5. Le spese di lite vanno compensate, stante il solo recente affermarsi del su riportato indirizzo interpretativo di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, ex art. 384 c.p.c., accoglie il ricorso introduttivo della parte contribuente.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi con modalità da remoto secondo quanto disposto dal Promo Presidente con decreti 76 e 97 del 2000, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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