Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2440 del 31/01/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 2440 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 10952-2017 proposto da:
COCCHI GIULIETTA, domiciliata in Roma presso la Cancelleria
della Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso dagli
avvocati EDORE CAMPAGNOLI e JUR’ MONDUCCI giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositato il 12/10/2016;

Data pubblicazione: 31/01/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO,
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’appello di Ancona
in data 21 dicembre 2015, la ricorrente chiedeva la condanna
Ministero

della

Giustizia

all’equa

riparazione

per

l’irragionevole durata del procedimento penale, in relazione al
periodo dal 12 settembre 2006 allorchè veniva redatto un
verbale di identificazione, rendendola edotta che nei suoi
confronti erano in corso delle indagini per i reati di cui agli artt.
594 e 660 c.p., sino alla data del 6/9/2015, quando diveniva
irrevocabile la sentenza del Tribunale di Bologna che dichiarava
la prescrizione del reato ascrittogli.
Con decreto del 29/2/2016 il Consigliere delegato della Corte
d’Appello accoglieva solo in parte la domanda, ritenendo che
dovesse essere riconosciuta ai fini dell’equa riparazione la sola
durata di anni 3, in quanto il periodo successivo all’il
settembre 2012 (data di entrata in vigore della legge n. 134
del 2012, che aveva introdotto l’art. 2 co. 2 quinquies lett. e))
non poteva essere computato non essendo stata presentata
istanza di accelerazione.
Per l’effetto liquidava, per il solo ritardo maturato in epoca
anteriore, la somma di C 1.500,00.
2. Avverso tale provvedimento proponeva opposizione Cocchi
Giulietta e nella resistenza del Ministero, la Corte di Appello in
composizione collegiale, con decreto del

12/10/2016,

confermava il decreto opposto, ritenendo che a partire dell’Il
settembre 2012 doveva trovare applicazione la novella di cui
alla legge n. 134 del 2012, risultando quindi corretta la
decisione impugnata nella parte in cui aveva limitato il diritto

Ric. 2017 n. 10952 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -2-

del

all’indennizzo al solo periodo anteriore, in assenza di una
successiva presentazione dell’istanza di accelerazione.
3. Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto
ricorso affidato ad un motivo.
L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

applicazione dell’art. 2 co. 2 quinquies lett. e) della legge n.
89/2001, nonché dell’art. 11 delle preleggi.
Si sostiene che erroneamente i giudici di merito avrebbero
ritenuto che alla data dell’il. settembre 2012 sussisteva l’onere
per il ricorrente di depositare istanza di accelerazione del
processo penale ancora pendente, in quanto a quella data era
già maturato, in relazione alla diversa data in cui era stato reso
edotto della sussistenza di un procedimento penale che lo
vedeva come indagato, il termine di durata ragionevole del
processo.
In assenza quindi di una norma transitoria, non era possibile
imporre a pena di esclusione del diritto all’indennizzo, un
adempimento che invece presuppone che il superamento dei
termini di durata ragionevole intervenga in epoca successiva
all’entrata in vigore della legge.
5. Ai sensi dell’art. 2, comma 2-quinquies, lettera e), della
legge n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55 del decretolegge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 134 del 2012, «Non è riconosciuto alcun indennizzo: (…) e)
quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione
del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento
dei termini cui all’articolo 2-bis».
La disposizione de qua, in forza del medesimo art. 55, comma
2, si applica «ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo
giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di

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4. Con il motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa

conversione del presente decreto», e postula che l’istanza di
accelerazione venga presentata nel procedimento penale
allorquando questo abbia appena superato la durata
ragionevole stabilita dall’art. 2.
Successivamente, con la legge n. 208 del 2015, in vigore dal

dell’equa riparazione, introducendo l’istituto dei rimedi
preventivi quale condizione per la possibilità di proporre la
domanda di equa riparazione (art. 1-bis, comma 2, della legge
n. 89 del 2001, introdotto dalla citata legge n. 208 del 2015),
ha abrogato l’art. 2, comma

2-quinquies,

lettera

e),

prevedendo che «l’imputato e le altre parti del processo penale
hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di
procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei
mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2,
comma 2-bis» (art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del
2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015), ma deve
escludersi che la novella del 2015 sia applicabile alla vicenda in
esame.
Ed, invero alla luce di quanto previsto dall’art. 6 co. 2 bis della
legge n. 89/2001, sempre come modificato dalla legge n.
208/2015, che prevede che “Nei processi la cui durata al 31
ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’articolo 2,
comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data
non si applica il comma 1 dell’articolo 2”, non è possibile
invocare le conseguenze derivanti dal mancato esperimento dei
rimedi preventivi.
5.1

L’individuazione di una diversa data di efficacia delle

previsioni contenute nella legge n. 208/2015 risulta frutto di
una precisa scelta del legislatore, finalizzata appunto ad
impedire, in relazione al sistema dei rimedi preventivi, una

Ric. 2017 n. 10952 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -4-

1° gennaio 2016, il legislatore ha modificato la disciplina

penalizzazione della parte, di fatto impossibilitata a poter
ottemperare a quanto previsto dalla legge stessa.
La previsione di un termine successivo di entrata in vigore
della legge de qua impone poi di ritenere che anche l’effetto
abrogante si ricolleghi, quanto alla valenza processuale dei

palesandosi del tutto corretta la conclusione per la quale per i
processi già assunti in decisione alla data del 31 ottobre 2016
ovvero per quelli che a tale data abbiano già superato il
termine di durata ragionevole, trovi applicazione la disciplina di
cui alla legge n. 134 del 2012, e con riferimento al caso in
esame, la disposizione di cui all’art. 2 co. 2 quinquies lett. e),
che impone, a pena di esclusione del diritto all’indennizzo, di
depositare apposita istanza di accelerazione nei trenta giorni
successivi alla scadenza del termine di durata ragionevole, ove
intervenuta in data successiva all’entrata in vigore della stessa
legge n. 134/2012.
5.2 Facendo quindi applicazione della previsione di cui all’art.
2, comma 2 quinquies, lettera e), della legge n. 89 del 2001,

come introdotto dall’art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012,
dovrebbe pervenirsi al rigetto del ricorso, in quanto,
impregiudicato il diritto all’indennizzo maturato per il periodo
anteriore all’entrata in vigore della norma, si è ritenuta
preclusa, conformemente alla disposizione in esame, la sola
indennizzabilità del ritardo successivamente maturato in
assenza di presentazione di un’istanza di accelerazione nei
trenta giorni dalla data di efficacia della novella.
6. Tuttavia si impongono alcune considerazioni in merito
all’effettiva utilità di tale istanza, che sollecitano una riflessione
sulla medesima legittimità del sistema dei rimedi in esame e

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rimedi preventivi, alla disposizione di cui all’art. 6 co. 2,

specificamente dell’istanza di accelerazione, e che inducono a
verificare la compatibilità costituzionale del sistema introdotto
dal legislatore, occorrendo altresì confrontarsi con i principi
CEDU.
7. Ritiene il Collegio rilevante e non manifestamente infondata

quinquies,

lettera

e),

della legge n. 89 del 2001, come

introdotto dall’art. 55 del decreto-legge n. 83 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012.
7.1 Nel caso di specie – quanto alla rilevanza della questione di
legittimità costituzionale – essendo stata proposta la domanda
di equa riparazione nel dicembre del 2015, relativamente ad un
processo penale che aveva già superato il termine di durata
ragionevole in epoca anteriore all’entrata in vigore della norma
in esame, ma richiedendosi anche il ristoro del pregiudizio
conseguente alla protrazione della durata del processo per il
periodo successivo, si rinvia a quanto esposto ai punti 5. e 5.1
che precedono, risultando quindi evidente che la domanda
proposta è soggetta, per il ritardo successivo alla sua
introduzione, all’applicazione della norma in questione, della
cui legittimità costituzionale, nei termini innanzi prospettati, si
deve dubitare alla stregua dei più recenti approdi della
giurisprudenza della Corte EDU.
7.2. Ed, invero, reputa il Collegio che debbano essere in
massima parte condivise ed estese alla vicenda qui in esame le
riflessioni che hanno di recente portato questa Corte a
sollevare analoga questione di legittimità costituzionale delle
previsioni in tema di istanza di prelievo ( cfr. ex multis Cass. n.
28403/2017) nella parte in cui la sua mancata presentazione
condiziona l’accoglimento della domanda di equa riparazione.

Ric. 2017 n. 10952 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -6-

la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-

La Corte EDU, con la sentenza nel caso Daddi c. Italia (n.
15476/09 del 2 giugno 2009), pur dichiarando il ricorso
inammissibile per il mancato esperimento del rimedio
giurisdizionale interno, aveva però preannunciato che una
prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008,

avuto per effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi
ex lege Pinto relativi alla durata di un processo amministrativo
conclusosi prima del 25 giugno 2008, solo in quanto non fosse
stata presentata un’istanza di prelievo, avrebbe potuto essere
di natura tale da esonerare i ricorrenti interessati dall’obbligo di
esperire il rimedio interno; e che lo stesso sarebbe valso per
quanto riguardava i procedimenti ancora pendenti in cui la
fissazione d’urgenza dell’udienza fosse stata richiesta solo dopo
l’entrata in vigore della disposizione in questione. In questi
casi, aveva concluso la Corte di Strasburgo, non si sarebbe
potuto escludere che la norma, interpretata dai giudici
nazionali nel senso di escludere dalla determinazione della
durata soggetta a indennizzo i periodi anteriori al 25 giugno
2008, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di
ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata
e sufficiente.
Più di recente, con la sentenza emessa nel caso Olivieri c/
Italia del 22.2.2016 (ricorsi nn. 17708/12, 17717/12,
17729/12 e 22994), in una fattispecie relativa a giudizi
amministrativi iniziati nel 1990, e per i quali era stata
presentata la nuova istanza di fissazione dell’udienza ai sensi
della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, ma non anche
l’istanza di prelievo, il che aveva determinato l’inammissibilità
del ricorso per equa riparazione, la Corte EDU ha affrontato in
maniera diretta il problema dell’effettività dell’istanza nazionale

Ric. 2017 n. 10952 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -7-

art. 54, comma 2, in tema di istanza di prelievo, che avesse

ex L. n. 89 del 2001 soggetta alla condizione di proponibilità
del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2.
Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al suo
ultimo testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n.
104 del 2010, ha convertito in critica espressa e consapevole la

La Corte Europea ha così affermato: a) che nè dal contenuto
della norma nè dalla relativa prassi giudiziaria si evince che
l’istanza di prelievo possa efficacemente accelerare la decisione
in merito alla causa sottoposta all’esame del tribunale; b) che
la condizione di ammissibilità di un ricorso “Pinto” previsto
dalla L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 risulta essere una
condizione formale che produce l’effetto di ostacolare l’accesso
alla procedura interna; c) che l’inammissibilità automatica dei
ricorsi per equa riparazione, basata unicamente sul fatto che i
ricorrenti non abbiano presentato l’istanza di prelievo, priva
questi ultimi della possibilità di ottenere una riparazione
adeguata e sufficiente.
E, richiamata la propria giurisprudenza sul principio di
effettività della tutela giurisdizionale, nel senso che è effettivo
il rimedio interno se permette di evitare che si verifichi o si
protragga la violazione dedotta o se permette di fornire
all’interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni
che si siano già verificate, ha concluso nel senso che “la
procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio
dinanzi al giudice amministrativo, risultante dalla lettura del
D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 in combinato disposto
con la Legge Pinto, non possa essere considerata un ricorso
effettivo ai sensi dell’art. 13 della Convenzione”.
7.3 Ancorchè riferito alla disciplina dell’istanza di prelievo,
reputa il Collegio che le considerazioni espresse in ordine alla

Rtc. 2017 n. 10952 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -8-

riserva formulata con la sentenza resa nel caso Daddi.

necessità che il rimedio interno possa essere ritenuto
“effettivo” solo se permette di evitare che si verifichi o si
protragga la violazione dedotta o se permette di fornire
all’interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni
che si siano già verificate, si estendano anche all’istanza di

Va, infatti, rilevato che l’indirizzo espresso dalla citata sentenza
Olivieri c/ Italia, in punto di valutazione dell’effettività del
rimedio interno, pur non avendo ricevuto l’avallo della Grand
Chambre, può ritenersi ormai adeguatamente consolidato, in
quanto costituisce il logico e preannunciato sviluppo del
principio già espresso nella sentenza sul caso Daddi; è stato
adottato all’unanimità; non presenta alcuna attitudine
innovativa rispetto alla tecnica dell’interpretazione
convenzionale fin qui seguita.
Inoltre, pur concernendo, come detto, una fattispecie diversa
da quella in esame nella presente controversia, si connota per
la generalità delle affermazioni rese, come idoneo ad orientare
l’interpretazione delle diverse norme in tema di rimedi interni,
collocandosi coerente nel solco della giurisprudenza di detta
Corte Europea sul principio di effettività.
7.4 Con specifico riferimento all’istanza di accelerazione del
processo penale di cui all’art. 2 co. 2 quinquies lett. e) della
legge n. 89/2001, risulta evidente che la previsione di un
siffatto strumento sollecitatorio non sospende nè differisce il
dovere dello Stato di dare corso al procedimento e, dopo
l’esercizio dell’azione penale, al processo, in caso di omesso
esercizio dello stesso, nè implica il trasferimento sul ricorrente
della responsabilità per il superamento del termine ragionevole
per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del
comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento

Ric. 2017 n. 10952 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -9-

accelerazione che qui viene in discussione.

della entità del lamentato pregiudizio (così, e per tutte, S.U. n.
28507/05).
Risulta quindi evidente, in assenza di previsioni da parte del
legislatore di strumenti, anche di tipo ordinamentale, che
correlino alla proposizione dell’istanza di accelerazione de qua,

di assicurare una tendenziale sollecita definizione, che la
previsione normativa in esame si risolva nell’imporre al
ricorrente di prenotare gli effetti della riparazione per
l’irragionevole durata del processo e peraltro in un momento in
cui (dovendo essere presentata nei trenta giorni successivi al
superamento del termine di durata ragionevole) il ritardo non
ha ancora assunto un’entità tale da legittimare la richiesta
indennitaria (tenuto conto di quanto disposto dall’art. 2bis co.
1 della stessa legge n. 89/2001, che prevede che il ritardo per
essere indennizzato debba eccedere una frazione dell’anno
superiore a sei mesi).
7.5 Se per la giurisprudenza della Corte EDU il rimedio interno
deve garantire o la durata ragionevole del giudizio o l’adeguata
riparazione della violazione del precetto convenzionale, sicchè
ogni ostacolo che vi si frapponga rende non effettivo il rimedio
stesso, essendo quindi necessario che sia efficacemente
sollecitatorio, l’istanza di accelerazione non garantisce alcun
effetto siffatto, ma risulta puramente dichiarativa di un
interesse altrimenti già presente nel processo ed avente
copertura costituzionale.
8.

In

assenza

possibilità

della

di

un’interpretazione

convenzionalmente orientata di tale norma che non si traduca
nella sua sostanziale e intera disapplicazione, essendo
contraddittoria

la

accelerazione

quale

stessa

configurazione

condizione

dell’istanza

d’accesso

Ric. 2017 n. 10952 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -10-

di

all’istanza

una differente considerazione della vicenda processuale, al fine

indennitaria, anche in relazione all’indennizzo dell’ulteriore
ritardo nella definizione del processo, successivo all’entrata in
vigore della norma, così come configurata dal legislatore, ne
discende la non manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionalità dell’art. 2 co. 2 quinquies lett. e)

a) n. 2 del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito modificazioni
dalla L. 7 agosto 2012 n. 134, per contrasto con l’art. 117
Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46,
par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui,
relativamente ai giudizi penali in cui il termine di durata
ragionevole di cui all’art. 2 bis della legge n. 89/2001 sia
superato in epoca successiva alla sua entrata in vigore, e per la
loro intera durata, subordina la proponibilità della domanda di
equa riparazione per l’irragionevole durata dei processi penali
alla presentazione dell’istanza di accelerazione.
P.Q.M.
La Corte, visti l’art. 134 Cost. e L. n. 87 del 1953, art. 23,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in
riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri
interposti dell’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1 della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto
1955, n. 848, la questione di legittimità costituzionale dell’art.
2 co. 2 quinquies lett. e) della legge n. 89/2001, come
introdotto dall’art. 55 co. 1 lett. a) n. 2 del D.L. 22 giugno
2012 n. 83, convertito modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n.
134; dispone la sospensione del presente giudizio e ordina che,
a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle

Ric. 2017 n. 10952 sez. 52 – ud. 19-12-2017 -11-

della legge n. 89/2001, come introdotto dall’art. 55 co. 1 lett.

parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso
questa Corte e al Presidente del Consiglio dei ministri; ordina,
altresì, che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento; dispone
l’immediata

trasmissione

degli

atti,

comprensivi

della

notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda
Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 19
dicembre 2017.

Il Presidente

Il Funzionario i udiziarie,
Dott.ssa i) 7′

a D’AINM

documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte

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