Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2440 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 31/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.31/01/2017),  n. 2440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 3553/2010 R.G. proposto da:

V.F., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli, 43,

presso lo studio dell’Avv. Francesco d’Ayala Valva del Foro di Roma,

che lo rappresenta e difende unitamente all’Avv. Tiziano Lucchese

del Foro di Verona, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, entrambi

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, sezione staccata di Verona, n. 80/15/08, depositata il

22/12/2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30

novembre 2016 dal Relatore Cons. Iannello Emilio;

udito l’Avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per la

controricorrente;

udito il RM., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Basile Tommaso, il quale ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata in data 22/12/2008 la C.T.R. del Veneto, sezione staccata di Verona, ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto da V.F. avverso avviso di accertamento nei suoi confronti emesso per il recupero a tassazione, a fini Irpef e per l’anno 1998, di un maggior reddito di partecipazione derivante da accertamento emesso nei confronti della società Oleificio Viola di V.B. & C. s.n.c..

I giudici d’appello hanno respinto l’insistita tesi difensiva del contribuente secondo cui l’accertamento era precluso dalla richiesta di definizione automatica presentata, con riferimento ai redditi propri, per le annualità 1997-2002, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, ritenendo sussistente, nei suoi confronti, la causa ostativa prevista dal comma 14, lett. b) di tale disposizione, rappresentata dalla conoscenza dell’avvenuto esercizio nei suoi confronti di azione penale per i reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 4 e 8.

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato ad un motivo, cui resiste l’Agenzia delle entrate, depositando controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, commi 10, lett. a), art. 14, lett. b), e art. 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto sufficiente a impedire l’accesso alla definizione automatica L. n. 289 del 2002, ex art. 9, l’esercizio dell’azione penale nei confronti del richiedente per un reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ex art. 9, senza tener conto del fatto contestato e del settore impositivo cui quella causa ostativa si riferiva.

Rileva che al momento della presentazione dell’istanza di definizione, avvenuta in data 13/6/2003, egli risultava già assolto dall’unica imputazione in precedenza contestatagli per infedele dichiarazione relativa ai redditi riferiti alla sua posizione di socio della Oleificio Viola s.n.c., per effetto della sopravvenuta depenalizzazione dell’illecito, e che l’unica condanna riportata si riferiva a fatti commessi quale legale rappresentante della predetta società, consistiti nella utilizzazione ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Tale circostanza dovrebbe, secondo il ricorrente, escludere nella fattispecie la sussistenza della causa ostativa predetta, dovendo questa – egli sostiene – essere riferita esclusivamente al settore impositivo interessato ed ai relativi periodi di imposta, oltre che al soggetto giuridico cui si riferiscono le violazioni.

Formula in conclusione il seguente quesito: “dica codesta Suprema Corte se debba ritenersi (come pare al ricorrente) che, nel caso in cui vi sia, nei confronti del legale rappresentante di s.n.c., esercizio dell’azione penale e conseguente condanna per violazioni fiscalmente rilevanti in capo alla società medesima (riguardanti evasione di Iva e Ilor), costituente causa ostativa L. n. 289 del 2002, ex art. 9, comma 14, lett. b), alla valida presentazione di dichiarazione integrativa automatica per gli anni pregressi, da parte della società stessa, il medesimo esercizio dell’azione penale non possa costituire, invece, causa ostativa, L. n. 289 del 2002, ex art. 9, commi 14, lett. b) e art. 15, con riguardo alla posizione personale del legale rappresentante in relazione alla propria posizione fiscale, ovvero con riguardo all’Irpef dovuta dallo stesso, con la conseguenza che la dichiarazione integrativa automatica dallo stesso presentata deve ritenersi valida ed efficace, con impossibilità, per l’ufficio, di emettere atti impositvi in relazione alle annualità definite dalla persona fisica, come previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, lett. a)”.

4. La censura è infondata.

La L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, – il quale al comma 1 consente ai contribuenti di chiedere, secondo le modalità prescritte, la definizione automatica per gli anni pregressi per tutte le imposte di cui al comma 2, lett. a, nonchè, anche separatamente, per l’imposta sul valore aggiunto, al fine di beneficiare delle disposizioni di favore dallo stesso articolo previste – prevede, al comma 14, lett. b (nel testo modificato dalla L. n. 27 del 2003, di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 282 del 2002), che “Le disposizioni del presente articolo non si applicano qualora:… b) è stata esercitata l’azione penale per gli illeciti di cui alla lett. c), del comma 10, della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione per la definizione automatica”.

La questione si incentra sulla interpretazione di tale previsione, cioè sul quesito se la causa ostativa alla definizione automatica ivi prevista – sostanzialmente analoga a quella stabilita nella stesse L. n. 289 del 2002, art. 7, comma 3, lett. d; art. 8, comma 10, lett. b; art. 15, comma 1 ultimo periodo, – operi, o no, nei soli casi in cui vi sia una stretta e diretta connessione tra la fattispecie di reato contestata e i debiti d’imposta definibili in via agevolata, connessione tale, cioè, da intendersi sia sul piano oggettivo, come corrispondenza tra la condotta prevista nella fattispecie incriminatrice e i fatti posti a fondamento della pretesa fiscale, sia su quello soggettivo, come coincidenza tra la persona nei cui confronti è diretta la pretesa tributaria e quella che ha beneficiato della condotta penalmente rilevante.

Come già questa Corte ha avuto modo di chiarire (con riferimento alle altre analoghe ipotesi sopra menzionate), la risposta deve essere negativa.

L’interpretazione restrittiva, innanzitutto, non trova alcun aggancio nel tenore letterale della norma, il quale, anzi, è chiaro nella sua portata ampia e incondizionata, facendo generale riferimento ai reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, senza introdurre alcun requisito specifico, del tipo di quelli innanzi esposti.

Tale esegesi trova conferma, sul piano sistematico, nell’argomento (già puntualmente rilevato da Cass. n. 21395 del 2012 e poi da Cass. n. 11926 del 2014) secondo cui, quando il legislatore ha voluto – nello stesso testo normativo in esame – introdurre un nesso diretto tra reati e posizioni tributarie, lo ha fatto espressamente: nell’art. 9, comma 10, il quale stabilisce, infatti, che il perfezionamento della definizione comporta l’esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati previsti dalla L. n. 74 del 2000, ivi indicati, nonchè per gli ulteriori reati menzionati, “quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i citati reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria” (negli stessi termini vds. anche l’art. 15, comma 1, cit.).

Secondo l’interpretazione già accolta da questa Corte nei citati precedenti, cui si intende dare continuità, la ratio delle disposizioni in esame va, in sostanza, rinvenuta nella volontà del legislatore di precludere l’accesso alla definizione agevolata a chiunque fosse stato imputato di un qualsiasi reato tributario, in ragione, cioè, di una sorta di indegnità a fruire del beneficio del condono: e ciò rientra(va) nell’ampia discrezionalità di cui il legislatore medesimo gode in materia di disciplina dei condoni fiscali, come tale insindacabile, tranne in caso di palese irrazionalità, certamente non riscontrabile nella fattispecie.

Va, infine, ricordato, per completezza, che questa Corte ha già avuto occasione di affermare il principio secondo il quale opera, con riguardo alle persone giuridiche, la causa ostativa alla definizione, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 1, qualora nei confronti del rappresentante legale sia stata esercitata l’azione penale per gli illeciti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 (Cass. n. 21795 del 2012; n. 11926 del 2014; in senso conforme, in ordine al condono di cui alla medesime L. n. 289 del 2002, art. 9, già Cass. n. 8324 del 2012).

5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.100, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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