Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2440 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 03/02/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 03/02/2010), n.2440

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3809/2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO IAI SRL, in persona del Curatore fallimentare pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA POMPEO MAGNO 3, presso lo

studio dell’avvocato GIANNI SAVERIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GULMANELLI ENZO, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 87/2002 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 05/06/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2009 dal Consigliere Dott. SERGIO BERNARDI;

udito per il resistente l’Avvocato SAVERIO GIANNI (per delega Avv.

GULMANELLI ENZO), che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di una verifica condotta nel 1995 dalla guardia di finanza nei confronti della società di import-export I.A.I. a r.l., l’Ufficio II.DD. di Cesena recuperava a tassazione una serie di costi considerati non deducibili concernenti gli esercizi 1991, 1992 e 1993. I ricorsi proposti avverso i tre distinti avvisi di accertamento, impugnati dalla contribuente, erano riuniti e decisi con l’accoglimento dalla CTP di Forlì. La CTR di Bologna ha respinto l’appello dell’Ufficio, che ricorre per cassazione di alcuni capi della sentenza deducendo violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 63 e 75, e vizio di motivazione su punti decisivi, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Il Fallimento della I.A.I. s.r.l. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso concerne soltanto talune delle riprese annullate dai giudici di merito.

La prima concerne la voce “interessi passivi” portati in detrazione dal reddito d’esercizio per il complessivo importo di L. 127.212.925.

L’amministrazione critica la decisione della CTR che ne ha ritenuto la integrale deducibilità senza accertare la effettiva inerenza di quegli interessi ai ricavi dell’esercizio, sul rilievo che “dall’esame dei documenti in atti non si può escludere che i prestiti e/o i finanziamenti effettuati non siano, comunque, collegati al conseguimento degli obiettivi aziendali”. Si sostiene che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5, (T.U.I.R.), nella formulazione pro tempore vigente (“Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito”), eccettuando gli interessi passivi dalla regola generale applicabile per la deducibilità di tutti gli altri oneri deducibili, non avrebbe derogato al principio dell’inerenza (e cioè alla necessità che tutti i costi deducibili si riferiscano “ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formale il reddito”) ma soltanto a quello della misura in cui le componenti passive di quel reddito costituite dagli interessi passivi sono fiscalmente deducibili da esso: non per l’intero importo, come per gli altri costi inerenti, ma soltanto nel limite stabilito dall’art. 63, comma 1, dello stesso T.U.I.R..

Il motivo è infondato.

Giova premettere che il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, comma 2, stabiliva che “I costi e gli oneri sono deducibili se ed in quanto si riferiscono ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa”, e che in aderenza a questa norma questa Corte aveva deciso che “Ai sensi del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 58, gli interessi passivi sono deducibili se sostenuti nell’esercizio di impresa e se si riferiscono ad attività o operazione da cui derivano ricavi che concorrono a formare il reddito d’impresa, non essendo sufficiente che tali interessi si riferiscano ad acquisizione di capitali da parte dell’impresa e siano stati da questa corrisposti, occorrendo dimostrare le ragioni giustificative delle relative operazioni di finanziamento e il concreto impiego delle somme conseguite in attività produttive di quel reddito” (Cass. sentenze nn. 1650/98 e 6548/86). Queste sentenze erano in linea con la previsione generale dell’inerenza contenuta nell’art. 74, comma 2, che non faceva alcuna distinzione tra interessi passivi ed altri costi ed oneri (trattati, quanto, all’inerenza, allo stesso modo).

L’art. 75, comma 5 del cit. T.U.I.R., invece, pone una disciplina diversa poichè prevede che “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito”. Da tale norma, sicuramente di portata generale per la determinazione del reddito d’impresa, emerge chiara la volontà legislativa di riconoscere un trattamento differenziato per gli interessi passivi rispetto al vari componenti negativi del reddito d’impresa, nel senso che il diritto alla deducibilità degli interessi è riconosciuto sempre, senza alcun giudizio sulla inerenza, anche se nei limiti della disciplina contenuta nell’art. 63 del cit. T.U.I.R. (che costituisce la norma che indica la misura e le modalità di calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale nella previsione del comma 1, ed in via particolare nella fattispecie disciplinata nel comma 3). Si deve, quindi, ritenere che la disciplina del T.U.I.R. è diversa rispetto a quella prevista dal D.P.R. n. 597 del 1973, poichè il diritto alla deducibilità, ai sensi dell’art. 75, comma 5, è svincolato da un giudizio di inerenza – giudizio che continua ad essere necessario per le spese e per gli altri componenti negativi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale (Cass. 14702/2001).

Gli altri capi della sentenza oggetto di ricorso sono quelli concernenti le riprese operate con gli avvisi impugnati ai punti 2, 5 e 6. Il punto 2 è relativo a “spese varie recuperate a tassazione per L. 773.060.294”. L’Ufficio aveva ritenuto che non ricorresse il requisito dell’inerenza, mentre la CTR ha accolto la impugnazione della contribuente motivando tra l’altro che “… trattasi di spese di rappresentanza sostenute per le frequenti visite commerciali effettuate in paesi esteri dal personale della società IAI, nonchè di quelle sostenute per ospitare in Italia persone di nazionalità estera, incaricate di condurre importanti trattative commerciali con la società ricorrente, alle quali non può essere disconosciuta la deducibilità dal reddito fiscale. Ciò alla luce anche della loro esigua entità in rapporto al fatturato e del fatto che sono state, tutte, dedotte nei limiti previsti dall’allora vigente art. 74 del cit. T.U.I.R.”.

Col ricorso, si assume che la deducibilità delle spese di rappresentanza presuppone l’accertamento dei requisiti di competenza, certezza e determinabilità e dell’inerenza, e che tali condizioni sarebbero state del tutto ignorate dai giudici di appello. Ma il rilievo è infondato, perchè la motivazione della CTR chiarisce a sufficienza il contenuto delle spese di cui trattasi e le ragioni per le quali dovessero considerarsi inerenti alla produzione del reddito dell’esercizio, e la censura non esplicita profili di incongruenza della decisione.

Gli altri motivi di ricorso concernono i capi della sentenza che hanno deciso sui rilievi (nn. 5 e 6) coi quali l’Ufficio aveva contestato la deducibilità, per l’anno di imposta 1993, dell’importo di L. 601.000.000 in relazione alla rivendita ad un cliente libico di una linea per la preparazione di succhi di frutta, e dell’importo di L. 70.000.000 relativo alla rivendita in (OMISSIS) di un generatore.

L’Amministrazione aveva rilevato che sia l’impianto di produzione di succhi di frutta che il generatore risultavano rivenduti al cliente libico in perdita, per un prezzo inferiore a quello al quale erano stati acquistati dalla società Mase. Questa aveva a sua volta acquistato l’impianto di produzione da altra società facente capo alla stessa persona fisica titolare della Mase, per un prezzo notevolmente inferiore a quello al quale era stato rivenduto alla I.A.I. s.r.l. Erano stati in tal modo consentiti alla Mase consistenti guadagni, che l’Ufficio aveva considerato dipendenti da triangolazioni prive di giustificazione economica e quindi – per gli oneri che ne erano derivati alla IAI s.r.l. – indetraibili. La CTR ha annullato le riprese osservando che le operazioni commerciali andavano considerate nella loro interezza e per il loro risultato economico complessivo, che era stato largamente positivo. Col ricorso si sostiene che ai fogli 34, 35 e 36 del processo verbale di accertamento era dimostrata la fondatezza dei rilievi dell’amministrazione, con considerazioni delle quali la CTR non avrebbe tenuto conto.

Rileva il collegio che le censure in tal modo svolte sono prive di autosufficienza, perchè non riportano il contenuto testuale dei rilievi di fatto dei quali la CTR non avrebbe tenuto conto e non specificano in quali passi delle difese di merito sarebbero state esposte le considerazioni rappresentate col ricorso per cassazione.

Per quel che è dato comprendere dal tenore dei motivi e della sentenza impugnata questa si sottrae alle critiche spiegate, perchè si fonda sulle osservazioni non incongrue che le operazioni commerciali andavano valutate nella loro interezza e che in un più ampio giro d’affari poteva anche giustificarsi una singola operazione in perdita. Come ammesso dall’amministrazione ricorrente l’impianto di produzione costituiva infatti solo “l’apparato principale” dell’intera linea di produzione dei succhi di frutta, la cui rivendita aveva comportato un consistente utile complessivo.

Il ricorso va dunque respinto, e le Amministrazioni ricorrenti condannate al rimborso delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al rimborso delle spese processuali, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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