Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 244 del 05/01/2011

Cassazione civile sez. I, 05/01/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 05/01/2011), n.244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 15077/2009 proposto da:

G.R.C. ((OMISSIS)), O.A.

((OMISSIS)), A.L. ((OMISSIS)),

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso lo

studio dell’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio, che le rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto n. 55358/06 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

5.11.07, depositato il 28/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito per le ricorrenti l’Avvocato Mario Di Biagio (per delega avv.

Ferdinando E. Abbate) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO

FUCCI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “1.- G.R.C., O. A. e A.L. hanno adito la Corte d’appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, in riferimento al giudizio promosso innanzi al T.a.r. del Lazio con ricorso del gennaio 1995, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto ad ottenere rivalutazione monetaria e interessi su somme tardivamente erogate, definito in grado di appello dal Consiglio di Stato con sentenza del marzo 2006.

La Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 28.4.2008, avuto riguardo alla natura della controversia e tenuto conto della posta in gioco, ha determinato la ragionevole durata del giudizio in quattro anni per il primo grado e in due anni per il secondo grado e ha liquidato, per il periodo eccedente, pari a circa cinque anni, la somma di Euro 2.500,00, quindi nella misura di Euro 500,00 per ogni anno di ritardo, per ciascun ricorrente con il favore delle spese del giudizio, liquidate in Euro 800,00 di cui Euro 700,00 per onorari e Euro 100,00 per spese.

Per la cassazione di questo decreto le attrici hanno proposto ricorso affidato a tre motivi.

Non ha svolto attività difensiva la Presidenza del Consiglio dei ministri.

2.- Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè omessa, insufficiente, illogica e/o contraddittoria motivazione, nella parte in cui il decreto ha fissato la durata ragionevole del giudizio di primo grado in anni quattro, discostandosi dal parametro stabilito dalla Corte EDU, senza motivare adeguatamente, affidando la conclusione ad affermazioni disancorate dalla concreta fattispecie, senza tenere conto della natura giuslavoristica del processo presupposto. Prospettano la necessità di fissare il termine di ragionevole durata del giudizio facendo riferimento al parametro stabilito dalla Corte EDU (tre anni per il giudizio di primo grado).

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciane violazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, delle norme CEDU come interpretate dalla Corte europea) lamentando che il giudice del merito ha determinato la misura dell’equo indennizzo allontanandosi dai parametri stabiliti dalla Corte europea, di cui richiamano alcuni precedenti, senza tenere conto della natura giuslavoristica della causa. Sarebbe insufficiente la somma di euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo.

Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge (artt. 90 e 91 c.p.c., del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5; art. 2233 c.c.) e delle tariffe professionali, nella parte in cui il decreto ha liquidato le spese del giudizio e gli onorari ma non i diritti.

3.- Il primo motivo appare manifestamente fondato, entro i limiti di seguito precisati.

Secondo la consolidata giurisprudenza della S. Corte: la nozione di ragionevole durata del processo ha carattere relativo ed è condizionata da circostanze strettamente legate alla singola fattispecie, che impediscono di fissarla facendo riferimento a cadenze temporali rigide, come è dato evincere dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 8497 del 2008; n. 25008 del 2005) e in tal senso è orientata anche la Corte EDU, che pure privilegia una valutazione caso per caso (tra le tante, sentenza 1^ sezione del 23 ottobre 2003, sul ricorso n. 39758/98), benchè abbia stabilito un parametro tendenziale della durata ragionevole del giudizio di anni tre, due ed uno per il giudizio di primo, di secondo grado e di legittimità; dal parametro del giudice europeo è possibile discostarsi, ma soltanto in misura ragionevole, sempre che la relativa conclusione sia adeguatamente motivata, restando escluso che i criteri indicati nell’art. 2, comma 1, di detta legge permettano di sterilizzare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass., Sez. un., n. 1338 del 2004;

in seguito, tra le molte, Cass. n. 3928 del 2009; n. 8497 del 2008);

la natura del processo non comporta, da sola, la possibilità di stabilire un termine di durata rigido, così come la violazione del principio della ragionevole durata del processo non può discendere in modo automatico dalla accertata inosservanza dei termini processuali, dovendo in ogni caso il giudice della riparazione procedere a tale valutazione alla luce degli elementi previsti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass., 19352 del 2005; n. 6856 del 2004);

In applicazione di siffatti principi le censure sono manifestamente fondate nella parte in cui il decreto ha fissato la ragionevole durata in anni quattro, stante il difetto di indicazione degli elementi che hanno fondato la conclusione (concernenti la modalità di svolgimento del giudizio e la condotta delle parti). Ciò ha comportato un discostamento dal parametro CEDU (anni tre) in misura non ragionevole.

Accolta la censura relativa alla durata, determinato il ritardo in anni sei, la Corte potrà procedere – alla luce dei più recenti criteri CEDU – alla nuova liquidazione dell’equa riparazione, con conseguente assorbimento della censura relativa alle spese.

Il ricorso, dunque, può essere deciso in Camera di consiglio”.

p.2. – Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso.

Il decreto impugnato, pertanto, deve essere cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., la Corte deve procedere alla riliquidazione dell’indennizzo nella misura di Euro 6.000,00, considerato che nella concreta fattispecie il giudizio amministrativo presupposto ha avuto una durata di circa undici anni.

Invero, va tenuto conto della più recente giurisprudenza di questa Sezione e dei criteri desumibili dalle decisioni della Corte di Strasburgo del 2010 sui ricorsi MARTINETTI ET CAVAZZUTI c. ITALIE e GHIROTTI ET BENASSI C. ITALIE per i giudizi contabili e amministrativi e, in particolare, del principio enunciato da Sez. 1, Sentenza n. 13019 del 2010, secondo cui “deve ritenersi congrua, anche in base a quanto afferma la Corte d’appello in ordine alla esiguità della posta in gioco per l’esiguità del trattamento pensionistico chiesto e denegato dalla Corte dei Conti, la riparazione per la somma indicata di meno di Euro 500,00 annui, anche maggiore di quella recentemente determinata dalla C.E.D.U. per il danno non patrimoniale di un processo amministrativo italiano” (Sez. 2^, 16 marzo 2010, Volta et autres C. Italie, Ric. 43674/02).

Le spese processuali – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere a ciascuna parte ricorrente la somma di Euro 6.000,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio che determina:

per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 794,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge;

per il giudizio di legittimità nella complessiva somma di Euro 965,00 oltre spese generali e accessori come per legge. Dispone la distrazione delle spese in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2011

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