Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24399 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. I, 30/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 30/09/2019), n.24399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29490/2018 proposto da:

E.W., elettivamente domiciliato in Potenza, via Nazario Sauro n.

102, presso lo studio dell’avv. Valeria D’Addezio che lo rappresenta

e difende per procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositato il

13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/07/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Potenza rigettava la domanda di protezione internazionale proposta da E.W..

2. Il Tribunale riferiva che il richiedente aveva dichiarato alla Commissione territoriale di essere cittadino della Nigeria e di essersi trasferito con la famiglia a (OMISSIS) quando aveva 16 anni, di essere stato introdotto alla prostituzione da un uomo ivi conosciuto e di aver accettato al fine di garantire sostentamento della propria famiglia, stanti le condizioni di estrema indigenza in cui vivevano. All’età di 21 anni, mentre era in atteggiamenti intimi con un uomo, veniva scoperto dalla polizia, chiamata da ignoti, alla quale però era riuscito a fuggire e di essere immediatamente scappato per paura di essere impiccato, di temere il rimpatrio per le pene previste in Nigeria contro gli omosessuali. Il Tribunale riteneva la totale assenza agli atti di causa di documentazione in genere ed altre prove raccolte che potessero far ritenere credibili gli orientamenti sessuali dichiarati dall’istante. Nessuna valutazione psicologica e o medica era stata prodotta agli atti anche al solo fine di dare una parvenza di credibilità ai fatti narrati, così come, più in generale, nessun mezzo istruttorio era stato articolato nè richiesto al riguardo. Esponeva inoltre le molteplici incongruenze e lacunosità emergenti dal racconto.

3. Non potevano quindi essere riconosciuti lo status di rifugiato nè la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). In merito alla lett. c), rilevava che secondo quanto esposto dal rapporto annuale 26/12/2017 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il principale pericolo per la sicurezza dello stato della Nigeria è rappresentato da (OMISSIS), organizzazione terroristica sunnita che continua a effettuare raid e incursioni, prendendo di mira luoghi affollati e recentemente anche le forze di sicurezza. Tuttavia nell’aggiornamento mensile della situazione in Nigeria redatto da UNHCR del 3 novembre del 2017 le zone colpite sono gli Stati del Borno, Yobe e Adamawa, tutte zone lontane dallo Stato Edo di provenienza della ricorrente. Tali informazioni risultavano confermate dal rapporto Human Rights Watch e dal rapporto 2016/2017 di Amnesty International, che riporta di attacchi compiuti da parte del gruppo Delta Niger Avengers in danno di oleodotti presenti nel Delta del Niger che stanno provocando un rallentamento della produzione di petrolio, senza rappresentare un pericolo per la popolazione locale. Con riferimento alla protezione umanitaria, non sussisteva infine nel caso concreto alcuna situazione di vulnerabilità determinante il riconoscimento.

4. E.W. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’interno non ha opposto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo di ricorso attiene al diniego dello status di rifugiato e la relativa argomentazione del Tribunale viene censurata per violazione di legge in relazione alla valutazione di credibilità del ricorrente e all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla situazione presente in Nigeria nei confronti degli omosessuali, nonchè per mancato esame del principio di non refoulement.

6. Il secondo motivo attiene al diniego della protezione sussidiaria, che viene censurato per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e mancata valutazione della fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in relazione al timore del ricorrente di subire in patria torture o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante in ragione della sua natura omosessuale, nonchè alla sussistenza di una situazione di conflitto armato nel paese ai sensi della lett. c) per la presenza delle minacce di (OMISSIS).

7. Il terzo motivo attiene al diniego della protezione umanitaria che viene censurato per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in ragione della vulnerabilità del richiedente asilo, nonchè per violazione di legge considerato che la Nigeria è un paese dove le condizioni di vita sono precarie anche dal punto di vista sanitario con un’ elevata mortalità infantile e una bassa speranza di vita, dove le violazioni dei diritti umani fondamentali sono costanti e larga parte della popolazione non ha accesso ai servizi pubblici essenziali e al cibo.

8. Il primo e secondo motivo di ricorso (status di rifugiato e protezione sussidiaria) sono inammissibili.

9. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni rese siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), (Cass. 3340/2019). Ed infatti, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – nel Paese di origine, salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 27/06/2018, n. 16925; Cass. 12/11/2018, n. 28862). L’accertamento di fatto in ordine alla credibilità del richiedente integra poi un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 21/11/2018, n. 30105).

10. Nel caso concreto, il Tribunale ha ampiamente motivato in ordine alle ragioni per le quali la narrazione dell’istante non è credibile, con particolare riferimento alla sua pretesa omosessualità, considerando la mancanza di prove e di richieste istruttorie a sostegno della stessa, le incongruenze e le contraddizioni nella narrazione dei fatti che avevano indotto il richiedente ad abbandonare il suo Paese, la mancanza di indicazioni circa le modalità organizzative con le quali il medesimo esercitava la prostituzione, le incongruenze in ordine alle modalità della sua scoperta da parte della polizia, l’ammontare del guadagno conseguito con l’esercizio della prostituzione.

11. Le censure si traducono, per contro, in una sostanziale, inammissibile, richiesta di riesame del merito della vicenda, riproducendo temi di indagine già percorsi nel giudizio davanti al Tribunale. La non credibilità del richiedente esclude in radice la riconoscibilità dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), trattandosi di forme di protezione che richiedono la sussistenza di una situazione personalizzata di rischio.

12. Per quanto concerne, poi, la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione generalizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 28/06/2018, n. 17075; Cass., 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., 26/04/2019, n. 11312). Tali accertamenti, una volta effettuati, danno luogo ad un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass., 12/12/2018, n. 32064). Nel caso concreto, il Tribunale ha fatto riferimento a fonti internazionali aggiornate, indicate nella sentenza, ed il motivo propone una diversa valutazione degli stessi fatti.

13. Anche il terzo motivo di ricorso (protezione umanitaria) è inammissibile. L’attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass. 4455/2018). Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

14. Nella specie, l’immigrato è stato motivatamente ritenuto inattendibile, circa il paventato pericolo della compressione dei diritti fondamentali, in caso di rientro in patria, ed il mezzo si risolve nella generica esposizione del regime giuridico della misura di protezione in esame.

15. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

16. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva del Ministero.

17. Non sussistono i presupposti per l’applicazione del doppio

contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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