Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24399 del 04/10/2018

Cassazione civile sez. II, 04/10/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 04/10/2018), n.24399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3122-2014 proposto da:

M.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

V.PIEMONTE 32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SPADA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO LODI, NUNZIA

COPPOLA LODI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 768/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 13/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

M.D. ha proposto ricorso in Cassazione articolato in tre motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 768/2013, depositata il 13 giugno 2013.

Resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS).

Con citazione del 19 luglio 2005, M.D. e R.C., soci assegnatari di alloggio compreso nell’edificio sito in (OMISSIS), costruito dalla Cooperativa Edilizia San Giuseppe 77 s.c. a r.l. in liquidazione, convennero davanti al Tribunale di Bergamo il Condominio (OMISSIS), chiedendo di dichiarare la nullità delle deliberazioni dell’assemblea del 18.5.2005. In particolare gli attori assunsero che le suddette delibere (approvazione consuntivo 2004 e preventivo 2005) erano nulle perchè prese da soggetto non validamente costituito (in quanto tra le parti esisteva il Condominio della Soc. Coop. Ed. S. Giuseppe 77 a r.l., e non anche il Condominio esterno (OMISSIS)) e, comunque, erano da considerarsi annullabili perchè non conformi ai criteri ex artt. 1123 e 1124 c.c., mancando il regolamento di condominio; dedussero gli attori che il preventivo 2005 relativo ai loro debiti (Euro 1.223,27) era smentito dal consuntivo 2004 (Euro 974,94), entrambi approvati; aggiunsero che non fossero dovuti all’amministratore per spese straordinarie non documentate i compensi liquidati di Euro 187,20 ed Euro 123,00 e che apparissero esagerati per un condominio di sedici partecipanti gli importi di Euro 268,58 per le voci corrispondenza/cancelleria/telefono e di Euro 4.965,41 per le spese legali; evidenziarono pure i condomini attori che, in quanto assenti, le delibere in questione erano state loro comunicate a mezzo di servizio postale con tentativo di consegna del giorno 29 maggio 2005, deposito presso l’ufficio postale del 30 maggio 2005 e avviso di deposito del 26 giugno 2005. Il Condominio (OMISSIS) eccepì l’inammissibilità dell’azione per decadenza degli attori dal diritto di impugnare le deliberazioni, essendo scaduto il termine di trenta giorni ex art. 1137 c.c. in data 28 giugno 2005; nel merito, il convenuto dedusse l’esistenza del Condominio (OMISSIS) a seguito dell’assegnazione in proprietà di tutti gli alloggi della cooperativa edilizia e sostenne la regolarità delle delibere impugnate in quanto le spese approvate erano supportate dai relativi documenti contabili, salvo l’errore materiale relativo all’importo di Euro 1.223,27 anzichè di Euro 974,94. Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 30 giugno 2009, dichiarò il procedimento inammissibile, evidenziando come gli attori non avessero dato alcuna prova di aver ricevuto la comunicazione delle deliberazioni soltanto in data 26 giugno 2005, anzichè in data 29 maggio 2005, con conseguente scadenza del termine di decadenza.

Fu proposto appello principale da M.D. e R.C. e appello incidentale dal Condominio (OMISSIS), quest’ultimo per la condanna degli attori al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata con riguardo al giudizio di primo grado. La Corte di Appello di Brescia rigettò entrambi i gravami, ritenendo che le delibere impugnate non fossero difformi dai criteri di ripartizione delle spese ex art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale, come tali annullabili, con conseguente scadenza del termine dei trenta giorni per la relativa impugnazione ex art. 1337 c.c., decorrente per gli attori dal giorno 29 maggio 2005, a partire dal quale avrebbero potuto avere conoscenza del contenuto della missiva, e non dal giorno 22 giugno 2005, in cui avevano ritirato il plico postale. La Corte di Brescia considerò poi non sussistente la colpa grave degli attori per la domanda introdotta in primo grado, stante l’opinabilità dei principi di diritto invocati dagli stessi, ma rilevò, di contro, il carattere di lite temeraria rispetto all’appello proposto da M.D. e R.C. (temerarietà “dimostrata dalla negligente applicazione dei principi di diritto esplicati dal giudice di primo grado nel fare propri i criteri enunciati dalla Suprema Corte”), e venne così liquidato il danno, ex art. 96 c.p.c., di Euro 2.000,00.

Va premesso che il ricorso per cassazione è stato proposto soltanto da M.D. nei confronti del Condominio (OMISSIS) (pur facendosi richiamo nelle conclusioni ai “ricorrenti” che “chiedono”). Era stata tuttavia parte dei pregressi gradi di merito del giudizio, ed in particolare appellante, come emerge dalla sentenza impugnata, altresì R.C.. Secondo unanime orientamento di questa Corte, l’impugnazione di una delibera assembleare di condominio determina fra i condomini che siano stati parte del giudizio una situazione di litisconsorzio processuale, sicchè, ove la sentenza che ha statuito su tale impugnativa venga impugnata da alcuni soltanto di tali condomini, il giudice del gravame deve disporre, ex art. 331 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri, quali parti di una causa inscindibile (da ultimo, Cass. Sez. 2, 26/09/2017, n. 22370). Tuttavia, nel caso in esame, la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, deve ritenersi superflua, in quanto il ricorso appare “prima facie” infondato, e l’integrazione del contraddittorio si rivela, perciò, attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (Cass. Sez. U, 23/09/2013, n. 21670).

Il primo motivo di ricorso di M.D. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123,1135 e 1137 c.c. Assume il ricorrente che la delibera impugnata sarebbe nulla quanto meno per l’addebito a carico del ricorrente delle spese legali relative a giudizi tra il Condominio e i condomini M. e R.. Parimenti causa di nullità è l’approvazione di un compenso straordinario in favore dell’amministratore. Segue un excursus del contenzioso esistente tra i signori M. e R. e l’amministratore condominiale F.R., che si conclude con la relazione di CTU espletata in ulteriore giudizio intrapreso davanti al Tribunale di Bergamo nel 2010.

1.1. Il primo motivo di ricorso di M.D. è in parte inammissibile ed in parte infondato. Per superare la qualificazione dei vizi dedotti, operata dalla Corte d’Appello, in termini di annullabilità e non di nullità dei vizi denunciati, e ciò ai fini dell’osservanza del termine di decadenza di cui all’art. 1137 c.c., il ricorrente fa in particolare riferimento alla nullità della deliberazione per aver disposto anche a carico del Damiano il pagamento delle spese legali sostenute dal condominio in un giudizio che vide contrapposte le medesime parti. Di tale specifica questione non c’è però alcun cenno nella sentenza della Corte d’appello di Brescia, sicchè il ricorrente era onerato, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specificare che tale punto era stato, oltre che compreso nella causa petendi della citazione di primo grado (come si espone a pagina 4 di ricorso), altresì oggetto di specifico motivo d’appello. La sussistenza di un vizio di invalidità della delibera condominiale (nella specie, di nullità per aver posto pro quota a carico di un condomino, il quale era stato contrapposto in un giudizio al condominio, il pagamento delle spese legali sostenute da quest’ultimo) comporta la necessità di espressa e tempestiva domanda “ad hoc” proposta dal condomino. Di tal che, ogni richiesta di declaratoria di invalidità di una determinata delibera dell’assemblea dei condomini si connota per la specifica esposizione dei fatti e delle collegate ragioni di diritto, ovvero per una propria autonoma “causa petendi”, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c. (arg. da Cass. Sez. 2, 28/92/2018, n. 4686; Cass. Sez. 2, 18/02/1999, n. 1378; Cass. Sez. 2, 20/08/1986, n. 5101). Ne consegue che solo la prospettazione in domanda e poi, in caso di soccombenza in primo grado, come motivo di appello, di una specifica ragione di invalidità della deliberazione assembleare impugnata obbliga il giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), a prendere in esame la questione oggetto di doglianza. Il lamentato difetto di attività del giudice di secondo grado, per non aver proprio preso in esame la ragione di nullità della deliberazione assembleare correlata all’imposizione al Damiano del pagamento delle spese legali sostenute dal condominio in un giudizio che vide contrapposte le medesime parti, rende comunque inammissibile la censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione degli artt. 1123,1135 e 1137 c.c. (come proposta), e pertinente, piuttosto, una denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c.

Sono altresì inammissibili tutte le considerazioni svolte nel primo ricorso con riferimento alla CTU espletata nel procedimento RG 3573/2010 Tribunale di Bergamo, in quanto evidentemente carenti di riferibilità alla sentenza impugnata. Per il resto, circa la assunta nullità del punto relativo al compenso dell’amministratore, va ribadito che è nulla per impossibilità dell’oggetto la sola delibera condominiale che, a maggioranza ed in deroga al criterio legale o regolamentare, ripartisca le spese modificando la misura degli obblighi dei singoli condomini fissata dalla legge o per contratto (cfr. Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651). Viceversa, secondo costante orientamento di questa Corte, in tema di condominio negli edifici, il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi ad un riscontro di legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, può abbracciare anche l’eccesso di potere, purchè la causa della deliberazione risulti – sulla base di un apprezzamento di fatto del relativo contenuto, che spetta al giudice di merito falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all’art. 1137 c.c. non è finalizzato a controllare l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell’assemblea. Ne consegue che esulano dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall’assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose e ai servizi comuni (Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20135).

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., in quanto, seppur si volessero considerare le delibere impugnate annullabili e non nulle, il ricorso sarebbe ammissibile in quanto il termine previsto dalla norma citata decorrerebbe dalla data di effettiva conoscenza del verbale dell’assemblea, alla quale il condomino era assente, e non dalla data di arrivo dell’atto al suo indirizzo.

2.1. Il secondo motivo di ricorso è altrettanto infondato. La decisione della Corte di Brescia, secondo cui il termine di trenta giorni ex art. 1137 c.c. era decorso sin dal giorno in cui la deliberazione assembleare era stata comunicata a mezzo di servizio postale col tentativo di consegna del giorno 29 maggio 2005 e relativo rilascio dell’avviso di giacenza (e non quindi dal giorno 22 giugno 2005, in cui gli attori avevano ritirato il plico postale) è conforme all’interpretazione di questa Corte, che qui si intende ribadire, secondo cui, ai fini del decorso del termine di impugnazione, ex art. 1137 c.c., ove la comunicazione del verbale assembleare al condomino, assente all’adunanza, sia stata data a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, la stessa deve aversi per eseguita, in caso di mancato reperimento del destinatario da parte dell’agente postale, alla stregua dell’art. 1335 c.c., al momento del rilascio del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, in quanto idoneo a consentirne il ritiro (e quindi indipendentemente dal momento in cui la missiva viene ritirata), salvo che il destinatario deduca e provi di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di acquisire la detta conoscenza (cfr. Cass. Sez. L, 06/12/2017, n. 29237; Cass. Sez. 2, 06/10/2017, n. 23396; Cass. Sez. 2, 03/11/2016, n. 22311; Cass. Sez. 6 – 2, 27/09/2013, n. 22240).

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione. La Corte di Appello non avrebbe ben giustificato la condanna per lite temeraria, tenuto conto della sentenza n. 15629/2010 della Suprema Corte, intervenuta tra le stesse parti, con la quale è stata esclusa la responsabilità aggravata del M., non avendo controparte dimostrato la ricorrenza del dolo o della colpa grave.

3.1. La Corte d’Appello ha spiegato la condanna per responsabilità aggravata del D. nel giudizio di impugnazione per non aver lo stesso tratto insegnamento dai principi giurisprudenziali richiamati dal giudice di primo grado. Ora, come da questa Corte ribadito di recente proprio in precedente giudizio corrente tra queste stesse parti (Cass. Sez. 2, 05/02/2018 n. 2758), in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo che entro i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. 3, 29/09/2016, n. 19298). Tale disposizione, dopo la riformulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, restringe il controllo logico della Corte di cassazione alla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), da indicare in ricorso nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. A differenza di quanto supposto, pertanto, nel terzo motivo di ricorso, non ha quindi più rilevanza il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, nè, come nella specie, denunciato, la mancata considerazione di un diverso grado di opinabilità delle questioni controverse ai fini della ravvisabilità, in tema di responsabilità processuale aggravata, del carattere temerario della lite. Neppure il ricorrente ha formulato specifico motivo di nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dovuta a mancanza o apparenza della motivazione.

6. Il ricorso va dunque rigettato e, in ragione della soccombenza, il ricorrente va condannato a rimborsare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, in favore del controricorrente.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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