Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24398 del 04/10/2018

Cassazione civile sez. II, 04/10/2018, (ud. 07/06/2018, dep. 04/10/2018), n.24398

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13352/2014 proposto da:

O.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI n. 53, presso lo studio dell’avvocato CARMELA GIUFFRIDA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MANUELA MINCIULLO;

– ricorrente –

contro

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO RIBOTY

n. 3, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PETTINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato WALTER MANGANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 180/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 11/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

viste le conclusioni scritte del P.G. Dott. FULVIO TRONCONE, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 29.10.1996 O.R. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di R.G. per la somma di Lire 58.039.944 a fronte di prestazioni professionali rese dall’opposto in favore dell’opponente. Nella narrativa dell’atto di citazione, l’ O. deduceva di non essere debitore della somma ingiunta e di aver già retribuito il R. per il lavoro da quegli effettivamente svolto.

Si costituiva il R. e il Tribunale di Patti, all’esito dell’istruttoria, accoglieva parzialmente l’opposizione revocando il decreto ingiuntivo e condannando l’ O. a pagare la sola somma ulteriore di Euro 6.197,00 con interessi dalla domanda.

Proponeva appello il R. e la Corte di Appello di Messina, con la sentenza impugnata n. 180/2014, accoglieva il gravame e condannava l’ O. al pagamento della somma di Euro 17.600 detratti gli acconti già versati, compensando le spese per metà e ponendo la restante metà a carico dell’ O.. A sostegno della propria decisione, la Corte territoriale riteneva che la CTU supplementare ammessa in secondo grado avesse dimostrato la spettanza del compenso al professionista anche per una serie di elaborati grafici da quegli redatti, ancorchè materialmente non presentati al Comune dal committente.

Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza l’ O., affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso il R..

Il P.G., nella persona del sostituto procuratore Dott. Fulvio Troncone, ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe errato nel valorizzare la circostanza che le opere oggetto della progettazione svolta dal controricorrente fossero state effettivamente realizzare dal ricorrente, facendo da ciò derivare la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico. Ad avviso del ricorrente, infatti, il ragionamento seguito dal giudice di secondo grado si risolve in un’illegittima inversione dell’onere della prova circa l’effettivo svolgimento dell’incarico professionale, che il R. avrebbe dovuto fornire.

La censura è inammissibile, in quanto si risolve in una richiesta di rivalutazione del giudizio di merito proposto dalla Corte territoriale. Il ricorrente invoca infatti una ricostruzione dei dati di fatto alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte territoriale, senza considerare che “Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017, Rv. 646976; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4916 del 15/04/2000, Rv. 535737).

In continuità con il precetto contenuto nella sentenza delle S.U. di questa Corte n. 24148 del 25/10/2013 (Rv. 627790), va riaffermato che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”.

Nel caso di specie, il giudice di appello ha ritenuto che l’utilizzazione del lavoro svolto dal progettista costituisse elemento idoneo ai fini della prova del conferimento dell’incarico e della relativa esecuzione, operando in tal modo un apprezzamento di merito sottratto al sindacato di questa Corte.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe fondato la propria decisione sulla sola circostanza che l’ O. aveva realizzato le opere progettate dal R., senza considerare che il ricorso allo strumento della presunzione postula la verifica dell’esistenza di una pluralità di elementi gravi, precisi e concordanti.

La doglianza è infondata, posto che “Il convincimento del giudice può ben fondarsi anche su una sola presunzione, purchè grave e precisa, nonchè su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari. Nè occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16993 del 01/08/2007, Rv. 600283; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8484 del 08/04/2009, Rv. 607552).

Legittimamente, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto sufficiente, ai fini della prova del fatto, la circostanza che l’ O. avesse in concreto realizzato le opere oggetto della progettazione svolta dal R..

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., a fronte dell’omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Anche questa censura va respinta, in quanto – diversamente da quanto argomentato dal ricorrente – la Corte territoriale ha reso puntuale e specifica motivazione a sostegno della propria decisione, onde non risulta violata la norma di cui all’art. 132 c.p.c., nè si ravvisa alcuna ipotesi di omissione della motivazione. Piuttosto, il ricorrente invoca un apprezzamento di merito diverso da quello fatto proprio dalla Corte territoriale, il che riconduce anche la doglianza in esame nell’ambito dell’inammissibilità.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe errato nel compensare parzialmente le spese del grado “per gravi motivi”, senza considerare che l’ O. era risultato sostanzialmente vittorioso, in secondo grado, rispetto alla pretesa creditoria del R., e quindi avrebbe avuto diritto ad una pronuncia di pieno ristoro delle spese di lite del corrispondente grado di giudizio.

Anche questa censura è infondata, in quanto “In materia di liquidazione delle spese giudiziali nel giudizio di appello, il criterio di individuazione della soccombenza, sulla base del quale va effettuata la statuizione delle spese, deve essere unitario e globale, anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite, condannando poi per il residuo una delle due parti; in tal caso, l’unitarietà e la globalità del suddetto criterio comporta che, in relazione all’esito finale della lite, il giudice deve individuare la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale il giudice del gravame è tenuto a provvedere sulle spese secondo il principio della soccombenza applicato all’esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17523 del 23/08/2011, Rv. 619214; conformi, Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 6259 del 18/03/2014, Rv. 629993; Cass. Sez. L, Sentenza n. 11423 del 01/06/2016, Rv. 639931; nonchè Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20289 del 09/10/2015, Rv. 637441, secondo cui il principio si applica financo al giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere alle spese del giudizio di legittimità, il quale “… si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, e può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte”).

Alla luce dei principi sopra richiamati è corretta la decisione operata dalla Corte territoriale che, alla luce del complessivo esito del giudizio – che aveva visto riconosciuta la pretesa creditoria del R., sia pure per un importo minore di quello originariamente rivendicato in sede di ricorso per decreto ingiuntivo – ha ritenuto opportuno disporre la compensazione parziale delle spese di lite, in ragione della metà, e l’accollo della residua metà a carico dell’attuale ricorrente, risultato in concreto soccombente nelle fasi di merito.

In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese del grado, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del grado, che liquida in Euro 2.500 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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