Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24393 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. I, 30/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 30/09/2019), n.24393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12830/2018 proposto da:

G.K., rappresentato e difeso dall’avv. Valentina Maria

Elisabetta Vitale del foro di Milano giusta procura in calce al

ricorso ed elettivamente domiciliato in Velletri, via Artemisia

Mammuccari n. 32, presso la signora Valentina Quattrocchi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Milano confermava il rigetto della domanda di protezione internazionale proposta da G.K., cittadino del Togo, disposto dal Tribunale di Milano.

2. La Corte riferiva che il richiedente aveva esposto alla Commissione di essere nato a (OMISSIS), dove aveva vissuto con il padre e la madre, quattro fratelli, la moglie e tre figli di cui non aveva notizia; di essere attivista appartenente al partito ANAC e di essersi trasferito nella capitale (OMISSIS) successivamente alla vittoria elettorale del partito politico opposto UNIR nel 2015; di essere stato rintracciato a (OMISSIS) da soggetti presunti appartamenti al partito UNIR e di essere, dunque, fuggito in Benin, abbandonando la moglie e i figli; di non avere mai subito in precedenza ritorsioni; di avere lasciato il Benin per mancanza di lavoro e, dopo un passaggio in Libia, di essere giunto in Italia nel 2015; di ritenere, in caso di rientro in Togo, di essere perseguitato per la sua appartenenza politica.

3. La Corte negava la sussistenza dei presupposti per lo status di rifugiato, in quanto la presunta persecuzione personale appariva invocata in modo del tutto generico, avendo riconosciuto lo stesso richiedente di aver continuato a soggiornare senza problemi in Benin, paese dal quale era fuggito per motivi di lavoro, nè pareva seriamente circostanziata l’appartenenza al partito ANAC, dal momento che l’appellante non era in grado di spiegare neppure sommariamente la sostanziale differenza tra gli orientamenti politici antagonisti. In merito alla protezione sussidiaria, riteneva non configurabili i presupposti di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. a) e b) in ragione della non credibilità del racconto; in merito al paese di provenienza rilevava che dalle fonti internazionali la situazione in (OMISSIS) non appariva caratterizzata da conflitti interni di particolare rilevanza, non essendo il paese indicato tra quelli per i quali la competente agenzia delle Nazioni Unite UNHCR ha richiesto ai singoli Stati aderenti la sospensione dei rimpatri forzati; inoltre, la famiglia del richiedente ha potuto continuare a vivere nel paese di origine senza alcuna difficoltà e la documentazione prodotta in primo grado, essendo tutta inerente le libertà politico religiose, nulla provava con riferimento all’esistenza di un conflitto armato interno al paese. Negava infine la protezione umanitaria, neppure essendo dedotta una situazione di particolare vulnerabilità.

4. Per la cassazione della sentenza G.K. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Come primo motivo di ricorso il richiedente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto del tutto generico il suo racconto, in contrasto con la documentazione depositata e con le risposte fornite alla Commissione, che sarebbero idonee a dimostrare il proprio coinvolgimento politico.

6. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6,7,8 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 32. Sostiene di aver denunciato il rischio effettivo di subire un grave danno nel caso in cui faccia rientro nel proprio paese d’origine, in quanto avendo subito rappresaglie dal partito al governo non può avvalersi della protezione di tale paese. Lamenta che la Corte abbia valorizzato la circostanza che la sua famiglia ha continuato a vivere nel paese di origine senza alcuna difficoltà quando egli stesso ha dichiarato di non essere stato in grado di contattare la famiglia la quale risulta essere scomparsa. Inoltre in merito al requisito della violenza generalizzata di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) lamenta che la Corte non abbia valorizzato le fonti internazionali – quali in particolare il rapporto annuale di Amnesty International 2015-2016, da cui risulta la limitazione delle libertà fondamentali in (OMISSIS) e l’esistenza di disposizioni che puniscono i reati di opinione commessi dai difensori dei diritti umani.

7. Come terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 4, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 32 per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

8. Il primo motivo è inammissibile.

La domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 (cfr. Cass., 15/02/2018, n. 3758). La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce poi un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni rese siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c) (Cass. 3340/2019). Ed infatti, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – nel Paese di origine, salvo che ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 27/06/2018, n. 16925; Cass. 12/11/2018, n. 28862). L’accertamento di fatto in ordine alla credibilità del richiedente integra poi un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. (Cass., 21/11/2018, n. 30105).

9. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato, con adeguata motivazione, che il richiedente ha riferito di un solo episodio, del quale sarebbero stati protagonisti due soggetti, senza spiegare per quali ragioni, pur essendosi detti soggetti presentati formalmente per proporgli un lavoro, li abbia identificati come esponenti del partito di opposizione, e che l’istante non ha comprovato la sua appartenenza ad uno dei due partiti, nè ha saputo spiegare, neppure sommariamente, la differenza tra gli orientamenti politici antagonisti. La censura cerca di scardinare tale giudizio di fatto, riproponendo una lettura diversa mediante la riproposizione inammissibile in questa sede – di questioni di merito.

10. Il secondo motivo è invece fondato, sotto il profilo del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Per quanto concerne, infatti, la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 28/06/2018, n. 17075; Cass., 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., 26/04/2019, n. 11312). Nel caso concreto, la Corte d’appello si è limitata all’apodittica affermazione secondo cui “emerge dall’esame delle fonti internazionali che la situazione in (OMISSIS) non appare caratterizzata da conflitti interni di particolare rilevanza”, senza indicare in alcun modo le fonti di tale convincimento.

11. Il secondo motivo di ricorso deve quindi essere accolto nei limiti di cui in motivazione, con cassazione in parte qua della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione che dovrà procedere a nuovo esame in coerenza con quanto sopra detto e dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

12. Resta assorbito il terzo motivo, che ha ad oggetto la protezione umanitaria, da trattarsi solo ove vengano rigettate nel merito le domande rivolte verso gli strumenti tipici di protezione internazionale (Cass. n. 11261 del 24/4/2019). Tanto esonera dall’esame dello ius superveniens costituito dal decreto L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in L. n. 132 del 2018.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, rigettato il primo ed assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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