Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24392 del 09/09/2021

Cassazione civile sez. II, 09/09/2021, (ud. 01/04/2021, dep. 09/09/2021), n.24392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24662-2019 proposto da:

H.A., rappresentato e difeso dall’avv. GIOVANBATTISTA

SCORDAMAGLIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS) IN PERSONA DEL MINISTRO

PRO-TRMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

contro

PROCURA REPUBBLICA CATANZARO IN PERSONA DEL PROCURATORE PRO-TEMPORE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 265/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/04/2021 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con sentenza del 13.2.2019 la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto l’impugnazione proposta dal cittadino (OMISSIS) H.A. contro l’ordinanza del locale Tribunale di che aveva a sua volta confermato il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione emesso dalla Commissione Territoriale di Crotone.

Per giungere a tale conclusione il giudice di merito ha osservato;

– che, formatosi il giudicato sfavorevole al richiedente sulla questione dello status di rifugiato, l’esame andava circoscritto alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria;

– che, sulla scorta delle fonti consultate, nella regione del Punjab (luogo di provenienza dell’appellante) non risultava una situazione particolarmente critica sotto il profilo della sicurezza interna;

– che le dichiarazioni offerte dal ricorrente a sostegno della domanda di protezione internazionale (necessità di sottrarsi alle minacce di morte provenienti dal fratellastro per questioni ereditarie) non apparivamo credibili;

– che non sussisteva rischio di sottoposizione a torture o altre forme di maltrattamento in caso di, rientro nel paese di origine;

– che parimenti non ricorrevano le condizioni per concedere la protezione umanitaria, non avendo il richiedente allegato specifiche situazioni di vulnerabilità (anche per la lacunosità, incongruenza e inattendibilità delle dichiarazioni nonché per la mancanza di altri elementi e fonti di riscontro), sicché non poteva ritenersi sussistente il rischio di compromissione dei diritti fondamentali in caso di rientro in (OMISSIS);

– che la mera aspirazione a condizioni di vita migliori “può valere” (così si legge testualmente a pag. 20, ndr) a giustificare la protezione umanitaria, considerato altresì che la sussistenza di un contratto di lavoro può valere ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro il cui rilascio richiede presupposti e requisiti diversi rispetto a quello per motivi umanitari.

2 Contro tale provvedimento lo straniero ricorre per cassazione con quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 con riferimento ai profili di credibilità delle sue dichiarazioni.

Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 (cfr. quanto alla formula, Sez. U -, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017 Rv. 643549).

In materia di protezione internazionale, il giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente, da effettuarsi in base ai parametri, meramente indicativi, forniti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa – spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (v. Sez. 1 -, Ordinanza n. 13578 del 02/07/2020 Rv. 658237).

Sempre in tema di Protezione Internazionale, è stato altresì affermato che il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, impone al giudice soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili. Da ciò consegue che: a) la norma non potrà mai dirsi violata sol perché il giudice del merito abbia ritenuto inattendibile un racconto o inveritiero un fatto; b) non sussiste un diritto dello straniero ad essere creduto sol perché abbia presentato la domanda di asilo il prima possibile o abbia fornito un racconto circostanziato; c) il giudice è libero di credere o non credere a quanto riferito secondo il suo prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Sez. 1 -, Ordinanza n. 6897 del 11/03/2020 Rv. 657477).

E ancora, in materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11925 del 19/06/2020 (Rv. 658017).

Nel caso di specie, si è in presenza di una critica meramente fattuale perché in sostanza si intende contrapporre una diversa valutazione delle risultanze istruttorie (le dichiarazioni dell’interessato) sulle quali invece il giudice di merito si è soffermato sottolineando i profili di criticità: v. pag. 15 ove la Corte d’Appello evidenzia che le dichiarazioni non risultano sufficientemente circostanziate quanto alle persone coinvolte, (non risultando indicato il nome del fratello che voleva ucciderlo) e non sono stati forniti altri elementi essenziali da cui sarebbe stato possibile verificare la veridicità dei fatti, come ad esempio, la mancanza di documentazione comprovante la vicenda personale, mancanza non giustificata.

2 Col secondo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2 e art. 14, comma 1, lett. b) dolendosi del rigetto della domanda di protezione sussidiaria. In particolare, rileva che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, sussiste una situazione di violenza indiscriminata in (OMISSIS) e quindi il concreto pericolo per il ricorrente di essere ucciso.

Anche questa censura è inammissibile. Ancora una volta il ricorrente contrappone una propria ricostruzione della situazione interna nel territorio del (OMISSIS) che però la Corte territoriale ha esaminato (v. pagg 6 e ss.) indicando le fonti del proprio convincimento, anche con riferimento specifico al Punjab (regione di provenienza) ed escludendo pericoli di attacchi virulenti anche per la presenza di forze dell’ordine sul territorio (pag. 9 e ss): tale apprezzamento non è oggi sindacabile a meno di non voler snaturale la funzione del giudizio dei legittimità. Infatti, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 32064 del 12/12/2018 Rv. 652087; Sez. 1 -, Sentenza n. 30105 del 21/11/2018 Rv. 653226; più di recente, v. altresì Sez. 2 -, Ordinanza n. 23942 del 29/10/2020 Rv. 659606).

3 Col terzo motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, dolendosi del rigetto della domanda subordinata di protezione umanitaria; la Corte d’Appello, secondo il ricorrente, avrebbe del tutto omesso di prendere in esame la documentazione sanitaria attestante una grave infermità (Epatite c) e quindi avrebbe omesso di considerare l’aspetto sanitario e il rischio di compromissione del labile stato di salute in caso di rientro nel paese di origine.

4 Col quarto motivo, infine, si deduce errore di procedura, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione del principio del contraddittorio e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Violazione del diritto di difesa. Violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32. “Erronea valutazione violazione” dei diritti umani in patria. La Corte d’Appello, tralasciando di valutare la documentazione formatasi successivamente sulla integrazione nel paese ospitante, non avrebbe valutato l’integrazione del ricorrente nel territorio italiano e la grave situazione di pericolo in caso di rientro in (OMISSIS), in uno stato di indigenza e solitudine, in assenza di legami familiari e amicali, avendo lasciato il paese all’età di diciannove anni ormai da quattro anni.

Queste due censure, che ben si prestano ad esame unitario per la stretta connessione, sono invece fondate.

Le sezioni unite hanno affermato che in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019 Rv. 656062; sulla stessa scia, Sez. 2 -, Ordinanza n. 15319 del 17/07/2020; Sez. 1 -, Ordinanza n. 7599 del 30/03/2020 Rv. 657425).

Stesso principio si rinviene anche in Sez. 1 -, Sentenza n. 8020 del 21/04/2020: ai fini dell’accoglimento della domanda di protezione umanitaria occorre accertare la condizione di vulnerabilità del richiedente asilo desumibile dalla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione da lui raggiunto in Italia e la situazione cui si troverebbe esposto in caso di rientro nel paese di origine. Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

In tema di protezione umanitaria, al fine di verificare la sussistenza della condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, il giudice deve tenere conto delle eventuali menomate condizioni fisiche del richiedente, valutando se esse integrino un requisito di vulnerabilità tale da mettere a rischio il suo diritto alla salute in caso di rientro nel Paese di origine, in ragione sia del grado di sviluppo del sistema sanitario ivi vigente sia delle effettive possibilità di accesso alle cure (cfr. Sez. 1 -, Ordinanza n. 13765 del 03/07/2020 Rv. 658440).

Ne caso in esame, la Corte d’Appello si è limitata ad affermare, con riguardo alla particolare situazione del richiedente, che non risultava allegata nessuna situazione specifica di vulnerabilità e che ad ogni modo, per la lacunosità, incongruenza e inattendibilità delle dichiarazioni dell’interessato per la completa mancanza di altri elementi e di altre attendibili fonti di riscontro, non emergono sufficientemente comprovati fatti o accadimenti sulla cui base poter ragionevolmente ritenere la sussistenza in capo allo stesso di una condizione soggettiva tale da determinare il riconoscimento dell’invocata misura (pag. 19).

In tal modo, però, la Corte territoriale, omettendo perfino di valutare la ammissibilità della documentazione sanitaria formatasi nel 2018 (quindi dopo la conclusione del giudizio di primo grado), ha totalmente tralasciato l’esame delle condizioni fisiche del ricorrente e di valutare se esse integrassero un requisito di vulnerabilità tale da porre a rischio il suo diritto alla salute in caso di rientro al paese di origine, in ragione sia del grado di sviluppo del sistema sanitario ivi vigente sia delle effettive possibilità di accesso alle cure dei cittadini (OMISSIS).

Inoltre, sempre al fine di escludere la prova della situazione di particolare vulnerabilità del richiedente, ha adottato una ratio assorbente basata anche su un errore di diritto (utilizzo del giudizio di inattendibilità), laddove, invece, la costante giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso della completa autonomia della statuizione sulla protezione umanitaria rispetto al giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno di una domanda di protezione internazionale (cfr. Sentenza n. 8020/2020 cit; Sez. 3, Ordinanza n. 24186 del 2020; Sez. 1 -, Sentenza n. 10922 del 18/04/2019 Rv. 653474).

Si rende pertanto cassare il provvedimento impugnato con rinvio affinché la Corte territoriale, in diversa composizione, proceda a nuovo esame sulla vulnerabilità del richiedente sulla scorta dei principi sopra esposti.

All’esito di tale ulteriore accertamento la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo e secondo motivo di ricorso; accoglie i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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