Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24390 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 03/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 03/11/2020), n.24390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6865-2015 proposto da:

W.Z., in proprio e quale legale rappresentante della ditta CHINA

TOWN S.N.C. DI W.Z. & C., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PO, 25, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO SAMENGO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO TALLARICO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, e per la DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI

VICENZA, in persona del Direttore pro tempore, domiciliati in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 227/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 227/2014 la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la ordinanza con la quale la Direzione Provinciale del Lavoro di Vicenza aveva ingiunto a W.Z., in proprio e quale legale rappresentante della ditta China Town s.n.c. di W.Z., il pagamento, a titolo di sanzione amministrativa, della somma di Euro 18.900,00 per avere, in violazione del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito nella L. n. 73 del 2002, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, comma 7, convertito nella L. n. 248 del 2006, impiegato lavoratori non risultanti dalle scritture contabili o da altra documentazione obbligatoria;

2. la Corte di merito, per quanto ancora di interesse in questa sede, ha affermato l’errore di diritto del primo giudice per avere ritenuto che la verifica della sussistenza della violazione alla base della sanzione amministrativa irrogata dovesse essere condotta avendo riguardo ai soli lavoratori subordinati laddove, alla luce della modifica introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, comma 7, convertito nella L. n. 248 del 2006, applicabile ratione temporis, ciò che rilevava era l’impiego, a qualunque titolo, di soggetti non regolarmente denunziati alla P.A., circostanza questa che aveva trovato ampio riscontro nella istruttoria espletata; tanto giustificava l’assoggettamento alla sanzione di cui alla ordinanza opposta;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso W.Z., in proprio e quale legale rappresentante della ditta China Town s.n.c. di W.Z., sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, convertito nella L. n. 73 del 2002, nella L. n. 73 del 2002, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, comma 7, convertito nella L. n. 248 del 2006, censura la sentenza impugnata per avere omesso di considerare che presupposto indefettibile per la configurabilità di un rapporto lavorativo – di natura subordinata o meno – è costituito dalla previsione di un corrispettivo per l’attività prestata, circostanza questa positivamente esclusa dalle dichiarazioni rese in sede ispettiva dai presunti lavoratori;

2. con il secondo motivo di ricorso, deduce omessa motivazione in merito alla eccepita gratuità della prestazione, fatto questo controverso e decisivo per il giudizio. Lamenta che in assenza di pattuizione e concreta erogazione di un compenso la Corte di merito era tenuta a ricostruire la volontà negoziale dalla quale desumere la corretta qualificazione del rapporto; in questa prospettiva evidenzia che le risultanze processuali convergevano nel ricostruire le prestazioni rese dai soggetti rinvenuti in sede di ispezione presso il locale ristorante gestito dalla società come rese affectionis e benevolentiae causa, in ragione dei vincoli di solidarietà emergenti dal rapporto di amicizia tra i gestori ed i soggetti rinvenuti nel locale;

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni del decisum le quali non contengono alcuna affermazione in contrasto con la naturale onerosità del rapporto di lavoro ma si limitano ad osservare che al fine di ritenere integrata la fattispecie sanzionata era sufficiente l’impiego di lavoratori, a qualunque titolo, non regolarmente denunziati alla P.A.; l’ulteriore doglianza, incentrata sull’esclusione del carattere oneroso dei rapporti alla base della violazione sanzionata, investe l’accertamento di fatto del giudice di merito censurabile in sede di legittimità solo attraverso la deduzione di omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, neppure formalmente enunziata dal ricorrente;

4. parimenti inammissibile il secondo motivo di ricorso non articolato in conformità del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis, il quale ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (non denunciata nella fattispecie) (v., tra le altre, Cass. Sez. Un. 31/12/2018 n. 33679; Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053);

4.1. le critiche alla sentenza di primo grado non indicano alcuno specifico fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte di merito ma insistono sulla natura affectionis vel benevolentiae causa dell’attività prestata dai soggetti rinvenuti nel locale ristorante gestito dalla società chiedendo in sintesi una rivisitazione delle risultanze istruttorie, peraltro neppure evocate nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e si risolvono, pertanto, nella richiesta di una rivalutazione nel merito degli elementi fattuali, rivalutazione sottratta al sindacato di legittimità (tra le altre, v. Cass. del 7/1/2014, n. 91, Cass. 2/7 2008, n. 18119; Cass. 11/7/ 2007, n. 15489; Cass. 21/9/ 2006, n. 20455; Cass. 20/10/2005, n. 20322);

5. le spese di lite sono regolate secondo soccombenza;

6. sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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