Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2439 del 04/02/2020
Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 04/02/2020), n.2439
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21510-2018 proposto da:
D.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che la
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALI DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del
legale rappresentante pro tempore, Attivamente domiciliato in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA
CORETTI, VINCENZO STUMPO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2073/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 14/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata dell’08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA
DE FELICE.
Fatto
RILEVATO
CHE:
la Corte d’appello di Roma ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado resa nel giudizio tra D.M.A. e l’Inps, avente ad oggetto l’asserita mancata corresponsione all’assicurata della somma residua e degli interessi dovuti in esecuzione di un decreto ingiuntivo del Tribunale, successivamente revocato, stante l’avvenuto pagamento della somma richiesta da parte dell’Inps;
la Corte territoriale ha riconosciuto che residuavano a carico dell’Inps Euro 3,74 a titolo di interessi per la ritardata restituzione (nove giorni), ed ha compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio;
la cassazione della sentenza è domandata da M.A. sulla base di un unico motivo, illustrato da successiva memoria; l’Inps ha resistito con tempestivo controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la ricorrente contesta “Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riguardo agli artt. 324, 112, 91 e 92, assenza di motivazione”; parte ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza gravata per aver compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio sebbene fosse risultata vittoriosa;
il motivo è infondato;
sotto il profilo della violazione di legge la sentenza gravata si muove in aderenza con quanto affermato da questa Corte secondo la quale “Nel procedimento per decreto ingiuntivo, la fase che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto non costituisce un processo autonomo rispetto a quello che si apre con l’opposizione, ma dà luogo ad un unico giudizio, nel quale il regolamento delle spese processuali, che deve accompagnare la sentenza con cui è definito, va effettuato in base all’esito della lite: ne consegue che, ove la somma chiesta con il ricorso sia riconosciuta solo parzialmente dovuta, non contrasta con gli artt. 91 e 92 c.p.c., la pronuncia di compensazione delle spese processuali, in quanto l’iniziativa processuale dell’opponente, pur rivelandosi necessaria alla sua difesa, non ha avuto un esito totalmente vittorioso, così come quella dell’opposto, che ha dovuto ricorrere al giudice per ottenere il pagamento della parte che gli è riconosciuta.” (Cass. n. 19120 del 2009);
nel caso in esame la Corte territoriale, riformando in parte la sentenza del Tribunale, ha riconosciuto dovuti all’odierna ricorrente solo gli interessi per il ritardo tra l’emissione del decreto e il pagamento dello stesso da parte dell’Inps; non ha invece ritenuto dovuto in favore della stessa un importo residuo di Euro 18,22, accogliendo un’eccezione dell’Ente in merito alle modalità di calcolo delle ore indennizzabili a titolo di CIG; non può, pertanto, riscontrarsi nessuna violazione delle norme di legge che regolano il principio di soccombenza (cfr. in tema Cass. n. 17692 del 2003; Cass. n. 2730 del 2012);
sotto il profilo del vizio di motivazione, la censura non è in grado di intaccare il ragionamento della Corte d’appello, che ha individuato la ratio ispiratrice della statuizione di compensazione:
1) nel comportamento delle parti (dal breve tempo intercorso tra l’emissione del decreto opposto e il pagamento, che testimonia un atteggiamento collaborativo da parte dell’Inps, alla notifica del provvedimento per intero nonostante l’avvenuto pagamento);
2) nell’esiguità della somma oggetto di condanna;
costituisce principio di diritto che, in tema di spese giudiziali, le “gravi ed eccezionali ragioni” richieste per giustificare la compensazione totale o parziale, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione applicabile “ratione temporis”, non siano determinabili “a priori” ma debbano essere specificate in via interpretativa dal giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche. “(Cass. n. 23059 del 2018);
nel caso in esame, la statuizione di compensazione delle spese dei gradi di merito è fatta scaturire da una valutazione del complessivo andamento del processo operata dal giudice dell’appello, dal quale peraltro emerge che l’odierna ricorrente non è risultata totalmente vittoriosa nel giudizio de quo;
in conclusione, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 500 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020