Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2439 del 04/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 2439 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 1666-2008 proposto da:
DONA’

DALLE

ROSE

NICOLO’

DNDNCL37B25L736B,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE
38, presso lo studio dell’avvocato MONZINI MARIO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
CROSTA ROBERTO;
– ricorrente –

2013
2546

contro

DONA’ DALLE ROSE LUIGI DNDLGU39B05L736S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA MONSERRATO 34, presso lo
studio dell’avvocato GOLINO SILVIA, che lo rappresenta

Data pubblicazione: 04/02/2014

e difende unitamente all’avvocato VICARI DONATELLA;

con troricorrente

avverso la sentenza n. 2703/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 12/10/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MAZZACANE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 05/12/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 20-3-1998 Luigi Donà Dalle Rose conveniva in giudizio dinanzi al
Tribunale di Milano il fratello Nicolò Donà Dalle Rose chiedendo accertarsi e dichiarasi la nullità
della scrittura privata redatta e sottoscritta dai due fratelli in data apparente del 15-10-1993 con la

ripartizione di un patrimonio di ingente valore che, sebbene fosse stato indicato nella suddetta
scrittura come appartenente ai due fratelli, sarebbe stato in realtà, secondo l’attore, in gran parte
di proprietà dell’anziana madre, conseguendone che, dovendosi attribuire natura di patti
successori agli accordi contenuti nella medesima scrittura privata, questa doveva ritenersi nulla.

L’attore chiedeva inoltre, in via consequenziale all’accertata invalidità del negozio, la condanna del
convenuto alla restituzione in proprio favore della somma di lire 300 milioni corrispostagli in
esecuzione del negozio stesso.

Costituendosi in giudizio Nicolo Donà Dalle Rose chiedeva il rigetto delle domande attrici, in
particolare affermando che la convenzione sottoscritta dalle parti ricomprendeva, in realtà, non
uno, ma due negozi, da un lato una transazione tra i fratelli, e dall’altro la costituzione di un
vitalizio in favore della madre; eccepiva quindi che l’eventuale nullità del negozio di costituzione
del vitalizio non avrebbe potuto estendersi alla transazione, così che quest’ultima non avrebbe
potuto in nessun caso essere ritenuta invalida, visto che contemplava atti di disposizione efficaci
nell’attualità e non patti riferibili ad una futura successione.

Il Tribunale adito con sentenza del 29-4-2004 dichiarava la nullità della scrittura privata del 15-101993, dichiarava la nullità della clausola arbitrale contenuta nella scrittura suddetta e condannava
il convenuto a restituire all’attore la somma di euro 154.937,06 oltre interessi legali dalla data
della domanda al saldo.
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partecipazione della madre, la contessa Clelia Meroni Donà Dalle Rose, ed avente ad oggetto la

Proposto gravame da parte di Nicolò Donà Dalle Rose cui resisteva Luigi Donà Dalle Rose la Corte
di Appello di Milano con sentenza del 12-10-2007 ha rigettato l’impugnazione ed ha condannato
l’appellante al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza Nicolò Donà Dalle Rose ha proposto un ricorso articolato in sei

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve rilevarsi l’inammissibilità della documentazione allegata al ricorso ai sensi
dell’art. 372 c.p.c. in quanto non riguardante la nullità della sentenza impugnata né l’ammissibilità
del ricorso medesimo.

Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo il ricorrente, deducendo
nullità del procedimento, assume che erroneamente il giudice di appello ha confermato la
sentenza di primo grado relativamente alla declaratoria di tardività della eccezione di
improponibilità della domanda di controparte per effetto della clausola compromissoria contenuta
nella scrittura privata del 15-10-1933; invero la domanda attrice aveva sempre posto nelle proprie
conclusioni, quale “thema decidendum”, la validità della clausola compromissoria, considerato in
particolare il collegamento funzionale sussistente con l’altro giudizio pendente tra le stesse parti
avente ad oggetto la declaratoria di nullità del lodo a motivo della asserita nullità della clausola
compromissoria che vi stava a monte; quindi la validità della clausola medesima, in conseguenza
della eventuale nullità dell’accordo, era tema che era stato reso oggetto della cognizione dei
giudici di merito proprio e specificamente “ex adverso”.

La censura è infondata.

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motivi cui Luigi Donà Dalle Rose ha resistito con controricorso.

l

Come invero evidenziato dalla Corte territoriale, tutte le eccezioni sollevate dal convenuto,
rientrando nell’ambito della strategia difensiva, si ricollegano alla domanda attrice ed alle pretese
avanzate con essa dall’attore, e sono quindi finalizzate ad estinguere, impedire o modificare il
fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio dalla controparte, e proprio in relazione a tale loro

proposizione onde definire entro determinati limiti temporali l’oggetto del giudizio e quindi tutte
le questioni che in esso dovranno essere trattate; pertanto l’eventuale connessione dell’eccezione
riguardante la clausola compromissoria con l’oggetto del giudizio introdotto da Luigi Donà Dalle
Rose non è idonea a scongiurare la inammissibilità dell’eccezione stessa in quanto tardiva, non
essendo stata sollevata nel primo grado di giudizio nel termine di venti giorni prima della prima
udienza di trattazione, ma soltanto nella comparsa conclusionale.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità del procedimento conseguente allmerror in

procedendo”

consistente nella erronea supposizione della inapplicabilità alla clausola

compromissoria contenuta nella suddetta scrittura privata del principio di autonomia dell’accordo
compromissorio; invero qualunque tipologia di clausola compromissoria comporta il principio
dell’autonomia della clausola rispetto al contratto cui accede, con la conseguente devoluzione agli
arbitri della cognizione della invalidità del contratto medesimo, e con la preclusione dell’esercizio
della potestà giurisdizionale statale.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha anzitutto affermato che la ritenuta tardività e quindi l’inammissibilità
della suddetta eccezione relativa alla clausola compromissoria comportava logicamente
l’impossibilità di esaminare la questione riguardante il principio dell’autonomia della clausola

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finalità l’ordinamento prevede specifiche preclusioni in ordine alle modalità della loro

rispetto al contratto cui accede; ed è evidente che tale “ratio decidendi” , non oggetto di censure
specifiche, è sufficiente a sorreggere il convincimento espresso dal giudice di appello.

La Corte territoriale, comunque, ha pure aggiunto che il principio di autonomia della clausola
compromissoria si applica soltanto all’arbitrato rituale, e non anche all’arbitrato irrituale,

intervenire soltanto quali “mandatari a transigere”, la cui “determinazione” avrebbe avuto “a tutti
gli effetti valore contrattuale”; orbene, considerato che il ricorrente non contesta la natura
irrituale dell’arbitrato suddetto, ne consegue, in conformità dell’orientamento consolidato di
questa Corte, che il principio dell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al negozio di
riferimento vale in relazione all’arbitrato rituale, che si attua, per volontà delle parti
compromittenti, mediante l’esercizio di una potestà alternativa rispetto a quella del giudice
istituzionale e si risolve in un lodo avente tra le parti la stessa efficacia di sentenza, ma non può
essere invocato in relazione all’arbitrato irrituale, avente natura negoziale e consistente
nell’adempimento del mandato, conferito dalle parti all’arbitro, di integrare la volontà delle parti
stesse dando vita ad un negozio di secondo grado, il quale trae la sua ragione d’essere dal negozio
nel quale la clausola è inserita e non può sopravvivere alle cause di nullità che facciano venir meno
la fonte stessa del potere degli arbitri (Cass. 16-6-2000 n. 8222; Cass. 13-12-2001 n. 15753; Cass.
30-7-2004 n. 14557).

Con il terzo motivo Nicolò Donà Dalle Rose, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la nullità della
convenzione intercorsa tra le parti il 15-10-1993 per il fatto che essa avrebbe integrato una
violazione del divieto di patti successori sulla base di due profili argomentativi.

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ricorrente nella fattispecie, considerato che la clausola in oggetto conferiva agli arbitri l’incarico di

Il ricorrente anzitutto assume che la Corte territoriale ha ritenuto che la tesi dell’esponente
secondo cui la predetta scrittura privata non si traduceva in dei patti successori, ma in una mera
transazione, anche perché la maggior parte dei beni indicati nella scrittura stessa non sarebbe
stata di proprietà di Clelia Meroni, ma dei suoi figli, avrebbe trovato una chiara smentita

senza valutare altri documenti acquisiti agli atti idonei a sorreggere la tesi opposta; premesso poi
che i beni di cui il giudice di appello avrebbe accertato la proprietà in capo alla Meroni sarebbero
stati quelli oggetto della clausola 1.5 della scrittura privata predetta, in quanto quasi totalmente
coincidenti con quelli inseriti nella denuncia di successione predisposta e sottoscritta dai due
fratelli, il ricorrente rileva che nessuna valenza confessoria avrebbe potuto riconoscersi ad una
denuncia di successione, che inoltre il Palazzo Donà, seppure inserito nella denuncia di
successione, era già uscito dal patrimonio della disponente per atto di alienazione del 10-3-1994, e
che l’accordo del 1993 ricomprendeva ulteriori pattuizioni aventi ad oggetto beni di cui al punto
1.4 della scrittura privata menzionata di proprietà di società di famiglia, rispetto alle quali le parti
attualmente in causa e la Meroni si erano impegnate a garantire una certa destinazione
nell’esercizio non delle proprie facoltà dispositive, bensì dei poteri di influenza sulla gestione di un
soggetto terzo, e specificamente di una persona giuridica; il rilievo riguarda sia villa Corner, che
apparteneva alla Agricola Corner s.p.a., sia i cespiti in Portorotondo in quanto beni della
Techninvest s.r.l.

Il ricorrente assume che analoga conclusione valeva per gli impegni relativi alle partecipazioni
societarie; infatti il 20% del capitale di Techninvest s.r.I., di cui si prevedeva il trasferimento
all’esponente, non era neppure nella titolarità della Meroni, che era fiduciante del fiduciario
dottor Losito, che avrebbe dovuto egli provvedere al trasferimento formale; quanto poi alla s.p.a.
Arcado, la Meroni si era impegnata a trasferire ai figli il diritto di voto rispetto alle partecipazioni
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documentale, senza peraltro indicare i documenti che avrebbero legittimato tale conclusione, e

nella suddetta società di cui la stessa aveva il mero usufrutto, non ponendo in essere così alcun
patto successorio, atteso che l’usufrutto con la morte del suo titolare si estingue, e che in tale
contesto ella si era limitata a stabilire le modalità di fruizione di un proprio cespite patrimoniale
durante la sua vita; né poteva sostenersi che il trasferimento del diritto di voto equivalesse ad un

1989 la titolarità delle azioni della Arcado era stata trasferita a Nicolò Donà Dalle Rose ed a Luigi
Donà Dalle Rose, essendo stato riservato alla madre di costoro l’usufrutto delle azioni stesse; e
neppure poteva rilevare in senso contrario la proprietà meramente fiduciaria delle azioni, istituto
sconosciuto nel nostro ordinamento per quanto attiene ai rapporti con i terzi, e semmai rilevante
nei rapporti tra le parti, sempre però che sussista un atto scritto che provi il presunto accordo,
nella specie inesistente.

Infine il ricorrente deduce che il convincimento del giudice di appello è basato su una serie di
documenti il cui valore probatorio è invece del tutto inconsistente per ragioni sia logiche che
giuridiche.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando omessa ed insufficiente motivazione, censura la
sentenza impugnata per aver affermato che gli accordi di cui alla scrittura privata del 15-10-1993
configuravano dei patti successori, posto che la partecipazione al negozio dello stesso soggetto
della cui successione si trattava, ed il fatto che l’efficacia degli atti dispositivi — istitutivi si sarebbe
realizzata soltanto al momento della futura successione, come era stato in concreto provato in
ragione del raffronto tra i beni oggetto di quegli atti ed i beni contenuti nella denuncia di
successione, ma sulla base di una volontà non retrattabile, rendeva chiara la natura successoria di
quanto convenuto nella predetta scrittura; in realtà gli accordi suddetti alludevano ad un espresso
impegno di trasferire i diritti ivi contemplati a titolo di obbligo preliminare di cessione

“inter

vivos”, del tutto incompatibile con la subordinazione della loro efficacia all’atto della morte della
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atto di disposizione di azioni sostanzialmente di titolarità della Meroni, considerato che fin dal

Meroni, e soprattutto detti obblighi erano stati anche parzialmente realizzati in vita della
disponente per quanto specificatamente atteneva alla proprietà di un terzo di Palazzo Donà in
Fondamenta Nuove a Venezia ed all’immobile di Cortina, per il cui trasferimento la Meroni aveva
conferito procura speciale al ragionier Giannino Alberti, essendo poi risultato tale intento frustrato

Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando omessa ed insufficiente motivazione, premesso
che gli accordi del 15-10-1993 solo per una piccolissima parte avevano avuto ad oggetto beni della
Meroni, mentre per il resto i cespiti interessati avevano costituto oggetto di promesse del fatto del
terzo valide e ciascuna, per sé, idonea a porre capo ad una equilibrata ripartizione tra i due fratelli
dei cespiti facenti capo alle società di famiglia, assume che l’eventuale invalidità degli accordi
inerenti ai beni appartenenti a quel tempo alla Meroni avrebbe comportato l’applicabilità dell’art. (
1419 primo comma c.c., cosicché la Corte territoriale avrebbe dovuto affermare la validità delle
pattuizioni inerenti ai beni di proprietà delle società Arcado o Techninvest.

Con il sesto motivo il ricorrente, deducendo omessa ed insufficiente motivazione, censura la
sentenza impugnata per aver respinto il motivo di appello con il quale l’esponente aveva chiesto
una compensazione delle spese di lite, disattendendo i fatti dai quali risultava una precisa
responsabilità di Luigi Donà Dalle Rose nel dar causa alla presente controversia; quest’ultimo,
infatti, aveva sempre sostenuto la validità e efficacia della scrittura privata del 15-10-1993, come
emergeva dall’atto di contro — diffida notificato a sua istanza il 30-3-1994, nonché dalla lettera
inviata dall’avv. Ardizzone per suo conto il 26-1-1995; pertanto la controparte aveva dato causa al
contratto viziato da nullità, ne aveva tratto i suoi frutti, ed aveva insistito a lungo sulla vigenza
degli accordi con il fratello fino alla pronuncia di un lodo a lui sfavorevole; si trattava quindi di un
comportamento che non poteva essere premiato sotto il profilo della regolamentazione delle
spese del giudizio.
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solo per il suo prematuro decesso.

Tutti gli enunciati motivi sono inammissibili.

Il Collegio invero rileva che nella fattispecie, in presenza di una sentenza impugnata depositata il
12-10-2007, trova applicazione “ratione temporis” l’art. 366 “bis” c.p.c. che prescrive a pena di
inammissibilità per ciascun motivo, nel caso previsto dall’art. 360 primo comma numero 5 c.p.c.,

assume omessa o contraddittoria — ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende
inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Orbene tutti gli enunciati motivi con i quali, come sopra esposto, sono stati denunciati vizi di
motivazione, sono del tutto privi di un momento di sintesi del fatto controverso, cosicché essi
sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 “bis”c.p.c.

il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in
dispositivo.

P.Q.M.

La Corte
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di euro 200,00 per spese e di euro
6.500,00 per compensi.

Così deciso in Roma il 5-12-2013

Il Presidente

una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso — in relazione al quale la motivazione si

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