Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2439 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. I, 03/02/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 03/02/2021), n.2439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16694/2019 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Barnaba Tortolini

30, presso lo studio dell’avvocato Ferrara Alessandro, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, alla via

dei Portoghesi 12, presso la sede dell’Avvocatura Generale dello

Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2689/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto da D.A., cittadino del (OMISSIS) richiedente asilo, contro l’ordinanza del tribunale che aveva a sua volta respinto il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale che gli aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o di quella umanitaria.

Il giudice di appello, dopo avere ricordato che il tribunale aveva valutato come non credibile il racconto di D. (il quale aveva affermato di aver lasciato il proprio Paese perchè imputato del reato di omosessualità) a causa delle notevoli divergenze fra quanto da questi riferito in sede amministrativa e quanto affermato in sede giurisdizionale (discordanza sulla natura della relazione intrattenuta con un turista inglese) e dell’assenza di elementi sui quali poter verificare l’attendibilità della sue dichiarazioni (quali le modalità con cui la polizia avrebbe scoperto la relazione omosessuale e/o le circostanze dell’arresto), ha rilevato che non risultavano allegati, tra i vari documenti trasmessi in via telematica, il verbale dell’audizione resa dal richiedente dinanzi alla C.T. ed il provvedimento amministrativo di diniego, sicchè il vaglio di credibilità andava svolto solo sulla base degli atti presenti nel fascicolo.

Ciò premesso, ha ritenuto che l’appello mancasse di valide argomentazioni volte a superare la decisione impugnata e che neppure la documentazione prodotta dall’appellante, relativa alla pendenza del giudizio penale in Gambia per il reato di omosessualità, a prescindere dalla sua mancata traduzione in lingua italiana, consentisse di pervenire a conclusioni difformi da quelle alle quali era pervenuto il primo giudice.

D. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi.

Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso, chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2, 3, 4 e 5, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 ed art. 11, come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2009, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 e art. 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 4. La Corte di appello, come già in precedenza il Tribunale, avrebbe disatteso l’obbligo di esercitare i propri poteri officiosi per verificare la veridicità dei fatti riferiti dal richiedente, accertando il contenuto della documentazione prodotta inerente l’accusa di omosessualità. Tale onere si sarebbe imposto a prescindere dalle incongruenze riscontrate nelle dichiarazioni, poichè, una volta accertata l’autenticità della documentazione, attestante l’esistenza del procedimento penale, sarebbero stati fugati i dubbi sulla verosimiglianza della vicenda narrata.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La Corte di appello non avrebbe spiegato le ragioni per le quali la documentazione allegata non era in grado di superare i dubbi in ordine alla veridicità delle dichiarazioni del richiedente e di comprovare i seri motivi di persecuzione riferiti. La motivazione della sentenza risulterebbe pertanto meramente apparente, non essendosi il giudice di appello nemmeno premurato di compiere attività semplici quali la traduzione della documentazione.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.

Questa Corte ha chiarito che in tema di protezione internazionale, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto. Detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni – Cass. n. 14674/2020.

Nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto che l’accertamento del primo giudice, di inattendibilità della vicenda narrata dal richiedente, fondato sulle contraddizioni rilevate nel suo racconto, non potesse essere superato dalla documentazione in lingua inglese prodotta da D., nonostante questa attestasse la pendenza a suo carico, nel Paese di origine, di un procedimento penale, per il quale era stato anche spiccato un ordine di cattura, relativo a “innatural acts”, punito dall’art. 44 c.p., del Gambia con pene gravissime (quali tortura, ergastolo, decapitazione).

Non v’è dubbio, per contro, che le discordanze rilevate nelle dichiarazioni dell’odierno ricorrente (che, per quanto può evincersi dalla lettura della sentenza impugnata, attengono alle date in cui questi sarebbe stato arrestato e all’effettiva natura della relazione da lui intrattenuta con un turista) risulterebbero del tutto marginali rispetto al fatto documentato; ciò, tanto più, in quanto il giudice non deve valutare nel merito la fondatezza dell’accusa (e dunque, nella specie, verificare se davvero il ricorrente sia omosessuale o abbia avuto rapporti omosessuali), ma deve invece accertare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2 e art. 14, lett. c), se tale accusa sia reale, cioè effettivamente rivolta al richiedente nel suo Paese, e dunque suscettibile di rendere attuale il rischio di persecuzione o di danno grave in relazione alle conseguenze possibili secondo l’ordinamento straniero (cfr., in fattispecie analoga alla presente, Cass. n. 2875/2018).

Va aggiunto che la corte territoriale non ha addotto alcuna motivazione a sostegno del proprio convincimento in ordine all’irrilevanza della documentazione prodotta dal ricorrente, ma si è limitata ad affermare, in via meramente assertiva, che “la stessa non consente di pervenire a conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il tribunale”.

Risulta dunque palese che la corte del merito ha violato sia il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, che le imponeva di tener conto di detta documentazione (disponendone la traduzione dalla lingua inglese nell’ipotesi in cui non fosse stata in grado di comprenderne l’effettivo contenuto), avente valore dirimente ai fini della verifica di fondatezza della domande di protezione internazionale, sia l’art. 132 c.p.c., n. 4, che obbliga il giudice a motivare le proprie decisioni.

La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio del procedimento alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

 

 

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