Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24384 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 03/11/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3203-2015 proposto da:

I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI

ITALIANI “GIOVANNI AMENDOLA”, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GABRIELE CAMOZZI 9, presso lo studio dell’avvocato GAVINA MARIA

SULAS, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

IL GAZZETTINO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO

9, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA MITTIGA ZANDRI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 10130/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/02/2014 r.g.n. 9779/2009.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha condannato Il Gazzettino spa a corrispondere all’INPGI a titolo di contributi dovuti per il giornalista A.M. Euro 17.675,18, per il giornalista G.A. Euro 20.007,57 e per la giornalista O.A. Euro 19.315. Ha confermato il rigetto delle ulteriori richieste dell’INPGI relative ad altri sette giornalisti.

Secondo la Corte,con riferimento ai tre giornalisti, sussistevano sia gli estremi della subordinazione, intesa come inserimento stabile ed organico nell’attività dell’impresa editoriale, sia le caratteristiche della qualifica di redattore avuto riguardo all’attività svolta di elaborazione quotidiana di notizie, servizi ed inchieste qualificante tale figura ai sensi dell’art. 1 CCNLG.

Con riferimento agli altri giornalisti ha affermato che risultava che essi proponevano pezzi che poi scrivevano da casa; che i contatti con la redazione avvenivano telefonicamente; che non risultava fossero tenuti a garantire la copertura di aree e che fossero stabilmente e funzionalmente inseriti nell’organizzazione aziendale o tenuti a mantenere le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro negli intervalli. La Corte territoriale ha poi rideterminato le somme dovute applicando la qualifica di redattore ex art. 1 CCNL e non quella erroneamente applicata di corrispondente ed ha confermato le somme richieste a titolo sanzionatorio rilevando che la società sul punto si era limitata ad una generica contestazione.

2.Avverso la sentenza ricorre in cassazione l’INPGI con 6 motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste il Gazzettino che formula anche ricorso incidentale.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3.Con il primo motivo l’Istituto denuncia motivazione inesistente, omesso esame di fatti decisivi (art. 112, 115, 132, 277) in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5; mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento della qualifica di redattore ordinario e di corrispondente; omessa pronuncia.

Osserva che manca qualsiasi specifica motivazione con riferimento a ciascuno dei 7 giornalisti, per i quali la Corte ha negato il rapporto di lavoro subordinato, avendo il collegio di merito adottato una motivazione unica e, di fatto, inesistente anche in ordine alla richiesta di riconoscimento della qualifica di redattore ordinario e di corrispondente.

4.Con il secondo motivo denuncia la mancanza di una vera motivazione circa i 7 giornalisti, l’omesso esame di fatti decisivi, in via subordinata la mancanza di decisione in ordine alla richiesta di inquadramento nelle qualifiche di redattore ordinario e corrispondente (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5). Esclusa la qualifica di redattore avrebbe dovuto esaminare quella inferiore di collaboratore fisso.

5.Con il terzo motivo denuncia in subordine omesso esame di fatto decisivo, violazione dell’art. 2094 c.c., degli artt. 1362,1363,2094c.c. e artt. 1 e 2 CCNLG in materia di subordinazione e di redattori ordinari, collaboratori fissi e corrispondenti.

Lamenta che la Corte si è limitata a confermare la sentenza del Tribunale senza fornire una specifica motivazione. Richiama le norme del CCNL con riferimento al redattore, al collaboratore ed al corrispondente. Ribadisce che tutti i giornalisti avevano svolto lavoro subordinato, che non si erano limitati a reperire notizie,ma anche alla loro rielaborazione, avevano utilizzato macchine e attrezzature fornite dal giornale.

6.Con il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 2094,26972700 c.c. in materia di onere della prova e di efficacia probatoria dei verbali ispettivi. L’Inpgi aveva fornito tutte le prove e la Corte non aveva valutato gli elementi probatori desumibili proprio dal verbale ispettivo.

7.Con il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 421,437 c.p.c. la Corte in presenza di numerosi indizi che propendevano per la natura subordinata, qualora avesse avuto residui dubbi,avrebbe potuto ammettere ulteriori mezzi istruttori.

8.Con il sesto motivo denuncia omesso esame di fatti decisivi (art. 360 c.p.c., n. 5) i quali l’utilizzo di computer e modem consegnati dalla società, i contatti giornalieri con il capo radattore, il numero dei pezzi, l’infondatezza, in questo quadro, dell’affermazione della mancata prova della subordinazione e della messa a disposizione delle energie lavorative da parte dei collaboratori negli intervalli non lavorativi, la misura del compenso.

9. La soc. controricorrente propone, a sua volta, ricorso incidentale con cui denuncia carenza di motivazione, violazione dell’art. 2697 c.c. in merito alla natura delle prestazioni rese dai giornalisti A., G. e O.. Osserva che i tre erano stati periodicamente contrattualizzati per sostituire dipendenti assenti con riconoscimento del lavoro subordinato, restando per il resto del tempo lavoratori autonomi. La circostanza che nei periodi di sostituzione essi prestavano la loro attività in redazione aveva consentito al giudice di affermarne la presenza, senza accertare se ciò fosse avvenuto nei periodi di sostituzione.

Specifica, circa l’ A., l’esistenza di un verbale di conciliazione successivo al giudizio in base al quale era esclusa l’unicità dei periodi lavorativi; circa il giornalista G. espone che lavorava come dipendente per La Padania e dunque la sua prestazione non poteva che essere saltuaria e infine, circa la O., osserva che era iscritta all’albo solo dal 2003 dopo la cessazione del rapporto con il Gazzettino e dunque i contributi non erano dovuti e il rapporto sarebbe stato nullo L. n. 69 del 1963, ex art. 45.

10. Entrambi i ricorsi sono infondati. Quanto al ricorso principale risulta infondata la censura con cui l’INPGI si duole che la Corte abbia assunte una motivazione unica per escludere la subordinazione dei 7 giornalisti. La censura, infatti, risulta del tutto irrilevante stante la sua genericità non avendo il ricorrente evidenziato le differenze esistenti tra l’attività svolta da ciascuno dei 7 giornalisti, non valutate dalla Corte.

11. La Corte ha, poi, escluso la sussistenza di rapporto di lavoro subordinato e dunque era irrilevante ogni approfondimento circa la figura del redattore ordinario, del collaboratore fisso o del corrispondente.

12. Di fatto il ricorso dell’Inpgi si risolve nella richiesta di una rivalutazione del materiale probatorio. Analoghe osservazioni, vanno fatte con riferimento al ricorso incidentale riguardante anch’esso l’accertamento della natura del rapporto di lavoro subordinato dei tre giornalisti per i quali la Corte ha, invece, riconosciuto la natura subordinata dell’attività.

Nella sostanza l’INPI e la soc. Il Gazzettino si dolgono che i giudici di appello abbiano escluso la natura subordinata di 7 giornalisti ed affermato per altri tre gli elementi sintomatici della subordinazione.

Ciò tuttavia fanno trascurando di considerare che così essi invocano una rivalutazione della ricostruzione fattuale operata dai giudici ai quali compete, anche attraverso il riferimento a materiali istruttori, ricostruzione che è invece affidata al sovrano apprezzamento del giudice di merito, in tal modo travalicando i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) di cui chi ricorre non tiene adeguato conto.

Come noto, nell’ambito delle controversie qualificatorie in cui occorre stabilire se certe prestazioni lavorative siano rese in regime di subordinazione oppure al di fuori del parametro normativo di cui all’art. 2094 c.c., la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nello schema contrattuale del lavoro subordinato o meno costituisce accertamento di fatto censurabile in Cassazione, secondo un pluridecennale insegnamento di questa Corte (tra molte, nel corso del tempo, v. Cass. n. 1598 del 1971; Cass. n. 3011 del 1985; Cass. n. 6469 del 1993; Cass. n. 2622 del 2004; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 9808 del 2011), solo per la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre può essere sindacata nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 tempo per tempo vigente, la scelta degli elementi di fatto cui attribuire, da soli o in varia combinazione tra loro, rilevanza qualificatoria (cfr., più di recente, Cass. n. 11646 del 2018 e Cass. n. 13202 del 2019). Invece i ricorrenti, nei motivi in esame, prospettano anche errores in iudicando, ma il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla “lettura” della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicchè il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti, come è nel caso che ci occupa (cfr Cass. n. 2526/2020).

13. Risultano poi inappropriati i richiami sia all’art. 2697 c.c. sia agli artt. 115 e 116 c.p.c.; per il primo aspetto la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece ove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), come nella specie laddove chi ricorre critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa l’esistenza della subordinazione, opponendo una diversa valutazione che non può essere svolta in questa sede di legittimità; per l’altro aspetto, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato (tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017).

14.Com’è noto, a seguito della indicata modifica legislativa che ha reso deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo della motivazione è stato confinato sub specie nullitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e graficò, di motivazione apparente, di contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 8053/14 cit.).

Le censure mosse dai ricorrenti si palesano inaccoglibili, atteso che la Corte territoriale ha spiegato, in maniera esaustiva e niente affatto perplessa, le ragioni della decisione.

Va, altresì rilevato che per la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il carattere subordinato della prestazione del giornalista presuppone la messa a disposizione delle energie lavorative dello stesso per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, di cui assume la responsabilità, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento degli obbiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, ciò che rende la sua prestazione organizzabile in modo strutturale dalla direzione aziendale (cfr. fra le tante Cass. nn. 833 del 2001, 4797 del 2004, 11065 del 2014 e da ultimo 8144 del 2017).

A tale parametro normativo si è attenuta la Corte territoriale nello scrutinio delle risultanze istruttorie.

14.Va ulteriormente rilevato, circa il ricorso incidentale, che non è inammissibile in quanto un’elaborazione degli atti sussiste e non vi è solo la “spillatura degli atti”, come denunciato, e che risulta infondata la censura secondo cui la Corte si sarebbe limitata a confermare la sentenza di primo grado senza svolgere una sua specifica motivazione,atteso che risulta agevolmente,dall’esame della sentenza impugnata, una specifica motivazione anche da parte del giudice d’appello.

15.Deve infine rilevarsi, circa l’ A., che l’esistenza di un verbale di conciliazione successivo al giudizio,in base al quale è stata esclusa l’unicità dei periodi lavorativi,non è opponibile all’INPGI in quanto, trattandosi di contributi previdenziali, il loro pagamento è dovuto se ne sussistono i presupposti, nè l’Istituto potrebbe rinunciarvi.

16. Non incide sull’accertamento in fatto svolto dai giudici di merito la circostanza non decisiva che il giornalista G. risulta aver lavorato come dipendente per La Padania e dunque la sua prestazione non poteva che essere saltuaria.

17. Infine, quanto alla giornalista O. va rilevato che la società non ha adeguatamente contestato l’affermazione della Corte secondo cui la deduzione era inammissibile in quanto introduceva una questione di fatto sollevata solo in appello.

18. In conclusione entrambi i ricorsi devono essere rigettati con spese compensate. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso principale e del ricorso incidentale sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta entrambi i ricorsi con spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale e incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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