Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24380 del 16/10/2017

Cassazione civile, sez. VI, 16/10/2017, (ud. 08/06/2017, dep.16/10/2017),  n. 24380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2791-2016 proposto da:

M.G.S., F.E., in proprio e nella qualità

di esercenti la potestà genitoriale sul minore F.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F. DE SANCTIS N. 15, presso

lo studio dell’avvocato PIER PAOLO POLESE, rappresentati e difesi

dall’avvocato CARLO ZAULI;

– ricorrenti –

contro

MARIA CECILIA HOSPITAL SPA (già SAN PIER DAMIANO HOSPITAL SPA), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MARESCIALLO PILSUDSKI N. 11, presso lo

studio dell’avvocato FABRIZIO PAOLETTI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANDREA MASSIMO ASTOLFI ed EMANUELA PAO

LETTI;

– controricorrente –

nonchè contro

HDI GLOBAL SE (già HDI GERLING INDUSTRIE VERSICHERUNG AG,

RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA), in persona del Direttore

Generale e rappresentante legale pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEL POZZETTO 122, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO CARBONE, che la rappresenta e difende unitamente

e disgiuntamente agli avvocati ROBERTO ALBERTO e CRISTINA CAVALIERE;

– controricorrente –

nonchè contro

T.E., GENERALI ITALIA SPA e per essa GENERALI BUSINESS

SOLUTIONS SPA;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 22318/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 02/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’ 08/06/2017 dal Consigliere Dott. SESTINI DANILO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

il F. e la M.G., anche in rappresentanza del figlio minore M., hanno proposto ricorso per revocazione dell’ordinanza n. 22318/2015 emessa da questa Corte sul regolamento di competenza proposto dai medesimi ricorrenti avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Ravenna in data 11.6.2014 nel procedimento n. 2767/2012, con cui era stata respinta l’istanza di declaratoria di continenza fra il giudizio pendente avanti a quel Tribunale e altro giudizio (n. 1977/2014) instaurato avanti al Tribunale di Forlì;

questa Corte ha dichiarato inammissibile il regolamento di competenza rilevando che il Tribunale di Ravenna aveva già riconosciuto la propria competenza a decidere la causa n. 2767/2012 con ordinanza del 19.10.2013, che non era stata impugnata, e osservando che la decisione sulla competenza era quindi “divenuta inoppugnabile” e che il regolamento di competenza non poteva “costituire strumento finalizzato a riaprire termini in ordine a decadenze già verificatesi”; ha aggiunto che i ricorrenti erano privi di interesse e legittimazione a contestare il foro ravennate che essi stessi avevano scelto; ha rilevato, da ultimo, che il foro del consumatore è “inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche o private operanti in regime di convenzione con il servizio sanitario nazionale”;

con l’odierno ricorso, il F. e la M.G., dopo l’esposizione del fatto, a pagina 29 hanno individuato -in termini generali – l’errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, nell'”errore fattuale e di lettura nonchè di comprensione commesso dalla Corte di Cassazione” che “si è concretizzato nell’aver escluso la continenza tra le cause pendenti a Forlì e a Ravenna”;

dopo un paragrafo intitolato “la premessa ai motivi di revocazione ordinaria”, che si dilunga con considerazioni su come dovrebbero essere trattate le domande di revocazione di una sentenza, nonchè altro paragrafo, che si spinge a spiegare come dovrebbe essere composta la Corte di Cassazione (il tutto fino alla pagina 33), con i successivi sette motivi, i ricorrenti censurano l’ordinanza della Corte per “mancata comprensione delle censure benchè spiegate chiaramente ed errore di lettura degli scritti e dei motivi del ricorso” che illustravano come “il foro del consumatore imponesse Forlì con esclusione di altri fori” (primo motivo); per “non aver considerato che la causa pendente a Forlì (era) svolta contro il medico in virtù del rapporto paziente/professionista” (secondo); per non essersi “pronunciata in alcun modo” sulla questione di continenza (terzo); per il fatto che la Corte non aveva considerato che era stata impugnata col regolamento “non già l’ordinanza cui (alludeva) la Corte, per difetto di lettura, ma un’altra sulla quale non (v’era) stata pronuncia alcuna e cioè la mancata declaratoria di continenza” (quarto); per “aver dato seguito a quanto (scritto dal) PG sulle ragioni del regolamento di competenza (quinto); per essere incorsa nella “violazione della legislazione europea e dei principi comunitari peraltro tralatici aventi valenza di primautè” (sesto); per “errore di fatto o di comprensione di sentenze della Corte UE” in materia di foro del consumatore;

hanno proposto distinti controricorsi la soc. Maria Cecilia Hospital s.p.a. e la HDI GLOBAL SE, già HDI-GERLING INDUSTRIE VERSICHERUNG AG, Rappresentanza Generale per l’Italia;

il P.M. ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

hanno depositato memoria i ricorrenti e la controricorrente Maria Cecilia Hospital s.p.a..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

il ricorso è inammissibile, in quanto difetta della struttura minima richiesta perchè nella postulazione di giudizio che la parte rivolge alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 391 – bis c.p.c., possa dirsi effettivamente individuato un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4;

la stessa dichiarazione programmatica di voler dar conto di un “errore fattuale e di lettura nonchè di comprensione commesso dalla Corte di Cassazione” che “si è concretizzato nell’aver escluso la continenza tra le cause pendenti a Forlì e a Ravenna” non si prestava certo, se presa alla lettera, a preannunciare l’individuazione di un errore di fatto, atteso che parlare di “errore… di lettura” e di “errore di comprensione” sottende evidentemente un profilo di denuncia non già di un errore percettivo, bensì valutativo;

la lettura dei sette motivi conferma, già per la loro stessa intestazione, l’impressione preliminare;

va premesso innanzitutto che, con l’ordinanza impugnata, la Corte ha mostrato di aver correttamente percepito che col regolamento era stato censurato il rigetto dell’istanza di declaratoria di continenza, escludendo tuttavia di poter esaminare la censura in ragione del preliminare rilievo dell’inammissibilità del ricorso (per mancata impugnazione di una precedente ordinanza);

poichè tale motivazione è risultata del tutto decisiva e la Corte ha poi enunciato le altre considerazioni soltanto per ulteriormente evidenziare come la prospettazione del ricorso fosse pure priva di fondamento, l’impugnazione per revocazione doveva necessariamente denunciare un errore di fatto inerente alla percezione o dell’esistenza stessa della precedente ordinanza o del suo contenuto, mentre nessuno dei motivi lo fa, sicchè resta confermata l’enunciazione di cui sopra nel senso che il ricorso in esame non presenta affatto la struttura del ricorso per revocazione;

non solo non risulta denunciato alcun errore percettivo, ma – a monte – nemmeno ci si confronta con la decisiva motivazione dell’ordinanza impugnata per individuarlo;

nel primo motivo, conforme a ciò che non può rispondere al profilo dell’impugnazione per revocazione di fatto, si dice, infatti, che l’ordinanza impugnata non avrebbe compreso perchè era stato iniziato l’altro giudizio rispetto al quale si poneva la questione di continenza, ma così facendo si omette appunto – di confrontarsi con la ragione di inammissibilità enunciata dall’ordinanza;

gli altri motivi, che prescindono anch’essi dal tenore della motivazione dell’ordinanza, ripropongono questioni attinenti alla fondatezza della eccezione di continenza o investono questioni non attinenti al tema dell’errore revocatorio;

inoltre, in una logica del tutto estranea al minimum di un ricorso per revocazione ex art. 391 – bis c.p.c., si evocano precedenti, anche della Corte di Giustizia dell’UE, e si sollecita un’istanza di rimessione con riferimento a questioni che sarebbero state rilevanti solo se la Corte avesse potuto esaminare nel merito il ricorso per regolamento di competenza;

il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite;

alla luce dei rilievi che precedono, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, giacchè le evidenziate deficienze strutturali del ricorso per 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, liquidate, per compensi, in Euro 3.500,00 in favore della Maria Cecilia Hospital s.p.a. e in Euro 2.500,00 in favore della HDI Global SE, oltre – per ciascuna controricorrente- alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Visto l’art. 96 c.p.c., comma 3, condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento di Euro 2.000,00 in favore di ciascuna controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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