Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2438 del 31/01/2018


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Cassazione civile, sez. II, 31/01/2018, (ud. 19/12/2017, dep.31/01/2018),  n. 2438

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’appello di Perugia in data 1/3/2016, la ricorrente chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per l’irragionevole durata del procedimento penale, in relazione al periodo dal 18 luglio 2011, allorquando le era stato notificato l’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., sino alla data del 9/9/2015 allorquando era divenuta irrevocabile la sentenza di assoluzione del Tribunale di Perugia in relazione al reato di falsa testimonianza per il quale era stata rinviata a giudizio.

Con decreto del 2/4/2016 il Consigliere delegato della Corte d’Appello rigettava la domanda, rilevando che non risultava presentata istanza di accelerazione nel processo penale presupposto.

2. Avverso tale provvedimento proponeva opposizione l’ O. e, nella resistenza del Ministero, la Corte di Appello in composizione collegiale, con decreto dell’11 ottobre 2016, confermava la decisione impugnata.

A tal fine osservava che non poteva avere seguito la tesi della opponente secondo cui alla fattispecie dovesse trovare applicazione la novella di cui alla L. n. 208 del 2015 atteso il chiaro tenore della norma transitoria di cui all’art. 6, in base alla quale la disciplina di cui all’art. 2, nella parte in cui fa rinvio ai rimedi preventivi di cui all’art. 1 ter, non si applica ai procedimenti che alla data del 31/10/2016 risultino già assunti in decisione, ovvero laddove a tale data nei processi presupposti risulti già superato il termine di durata ragionevole.

Alla luce di tali elementi, la disciplina de qua non era quindi invocabile nella fattispecie, dovendosi quindi ritenere ultrattiva la previgente disciplina di cui alla L. n. 134 del 2012, e precisamente quella dettata dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, lett. e) che, attesa anche la ratio comune rispetto alla successiva normativa di cui alla L. n. 208 del 2015, impone ai fini dell’accoglimento della domanda di equo indennizzo che nel processo penale sia stata avanzata istanza di accelerazione nei trenta giorni successivi al superamento del termine di durata ragionevole.

A tanto non aveva però provveduto la ricorrente, la cui domanda andava quindi disattesa.

3. Per la cassazione di questo decreto la ricorrente ha proposto ricorso affidato ad un motivo.

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

4. Con il ricorso principale si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 1 ter, 2 e 6 come modificati dalla L. n. 208 del 2015, nonchè dell’art. 6, par. 1 della CEDU e dell’art. 111 Cost., comma 2.

Si deduce che non appare giustificabile la decisione gravata nella parte in cui ha assicurato un’applicazione solo parziale della novella del 2015, ritenendo immediatamente applicabili le previsioni in tema di competenza o di determinazione del quantum, ed escludendo invece quella relativa all’istanza di accelerazione.

Peraltro la disciplina transitoria di cui all’art. 6, comma 2, nel far riferimento all’istanza di accelerazione come condizione di ammissibilità della domanda indennitaria solo per i processi assunti in decisione in data successiva al 31/10/2016 ovvero che superino il termine di durata ragionevole dopo tale ultima data, va intesa nel senso che per gli altri procedimenti è stata assicurata una sorta di sanatoria, facendo perdere quindi qualsiasi rilevanza all’omessa presentazione dell’istanza di accelerazione.

Peraltro, anche a voler seguire il ragionamento dei giudici dell’opposizione si sottopone l’indennizzo per la violazione del diritto alla durata ragionevole del processo alla presentazione di una richiesta che mira a sollecitare il pieno rispetto di un diritto che non scaturisce dall’istanza, ma risiede nelle stesse garanzie di cui alla Carta Costituzionale.

Inoltre, solo a seguito della novella del 2015 il legislatore ha riconosciuto al soggetto coinvolto nel processo penale un vero e proprio diritto ad ottenere una definizione rapida del processo.

5. Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, “Non è riconosciuto alcun indennizzo: (…) e) quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini cui all’art. 2-bis”.

La disposizione de qua, in forza del medesimo art. 55, comma 2, si applica “ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, e postula che l’istanza di accelerazione venga presentata nel procedimento penale allorquando questo abbia appena superato la durata ragionevole stabilita dall’art. 2.

Successivamente, con la L. n. 208 del 2015, in vigore dal 1 gennaio 2016, il legislatore ha modificato la disciplina dell’equa riparazione, introducendo l’istituto dei rimedi preventivi quale condizione per la possibilità di proporre la domanda di equa riparazione (L. n. 89 del 2001, art. 1-bis, comma 2, introdotto dalla citata L. n. 208 del 2015), ha abrogato l’art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), prevedendo che “l’imputato e le altre parti del processo penale hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’art. 2, comma 2-bis” (L. n. 89 del 2001, art. 1-ter, comma 2, introdotto dalla L. n. 208 del 2015), ma deve escludersi che la novella del 2015 sia applicabile alla vicenda in esame.

Ed, invero alla luce di quanto previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2 bis sempre come modificato dalla L. n. 208 del 2015, che prevede che “Nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’art. 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica l’art. 2, comma 1”, non è possibile invocare le conseguenze derivanti dal mancato esperimento dei rimedi preventivi.

5.1 Del tutto condivisibile, in quanto fondata proprio sul tenore letterale della previsione di diritto intertemporale, è l’interpretazione che ne è stata offerta nel provvedimento impugnato, essendo l’individuazione di una diversa data di efficacia delle previsioni contenute nella L. n. 208 del 2015 frutto di una precisa scelta del legislatore, finalizzata appunto ad impedire, in relazione al sistema dei rimedi preventivi, una penalizzazione della parte, di fatto impossibilitata a poter ottemperare a quanto previsto dalla legge stessa.

La previsione di un termine successivo di entrata in vigore della legge de qua impone poi di ritenere che anche l’effetto abrogante si ricolleghi, quanto alla valenza processuale dei rimedi preventivi, alla disposizione di cui all’art. 6, comma 2, palesandosi del tutto corretta la conclusione per la quale per i processi già assunti in decisione alla data del 31 ottobre 2016 ovvero per quelli che a tale data abbiano già superato il termine di durata ragionevole, trovi applicazione la disciplina di cui alla L. n. 134 del 2012, e con riferimento al caso in esame, la disposizione di cui all’art. 2, comma 2 quinquies, lett. e), che impone, a pena di esclusione del diritto all’indennizzo, di depositare apposita istanza di accelerazione nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine di durata ragionevole, ove intervenuta in data successiva all’entrata in vigore della stessa L. n. 134 del 2012.

5.2 In tale ottica appare quindi non condivisibile la lettura della ricorrente secondo cui la norma transitoria di cui all’art. 6, comma 2 avrebbe inteso compiere una sanatoria in relazione alle pretese indennitarie avanzate in data anteriore al 31 ottobre 2016, dovendosi comunque escludere che possa soddisfare il requisito di cui al predetto art. 2, comma 2 quinquies la semplice richiesta formulata dal difensore della O. all’udienza dibattimentale penale del 7/1/2015 di rinviare a breve il processo, e ciò sia perchè si tratta di richiesta non riconducibile in senso stretto all’istanza di accelerazione, sia perchè comunque, tenuto conto del dies a quo di durata del processo penale (18/7/2011) sarebbe intervenuta ben oltre il termine di trenta giorni dal superamento del termine di durata ragionevole.

Facendo quindi applicazione della previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, dovrebbe pervenirsi al rigetto del ricorso, avendone la Corte distrettuale offerto un’interpretazione conforme a quella scaturente in maniera palese dal testo della legge.

6. Tuttavia la ricorrente muove alcune considerazioni in merito all’effettiva utilità di tale istanza, che sollecitano una riflessione sulla medesima legittimità del sistema dei rimedi in esame e specificamente dell’istanza di accelerazione, e che impongono di verificare la compatibilità costituzionale del sistema introdotto dal legislatore, occorrendo altresì confrontarsi con i principi CEDU.

7. Ritiene il Collegio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012.

7.1 Nel caso di specie – quanto alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale – essendo stata proposta la domanda di equa riparazione nel marzo del 2016, relativamente ad un processo penale che aveva superato il termine di durata ragionevole in epoca successiva all’entrata in vigore della norma in esame, si rinvia a quanto esposto ai punti 5. e 5.1 che precedono, risultando quindi evidente che la domanda proposta è soggetta all’applicazione della norma in questione, della cui legittimità costituzionale, nei termini innanzi prospettati, si deve dubitare alla stregua dei più recenti approdi della giurisprudenza della Corte EDU.

7.2. Ed, invero, reputa il Collegio che debbano essere in massima parte condivise ed estese alla vicenda qui in esame le riflessioni che hanno di recente portato questa Corte a sollevare analoga questione di legittimità costituzionale delle previsioni in tema di istanza di prelievo (cfr. ex multis Cass. n. 28403/2017) nella parte in cui la sua mancata presentazione condiziona l’accoglimento della domanda di equa riparazione. La Corte EDU, con la sentenza nel caso Daddi c. Italia (n. 15476/09 del 2 giugno 2009), pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva però preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, in tema di istanza di prelievo, che avesse avuto per effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege Pinto relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008, solo in quanto non fosse stata presentata un’istanza di prelievo, avrebbe potuto essere di natura tale da esonerare i ricorrenti interessati dall’obbligo di esperire il rimedio interno; e che lo stesso sarebbe valso per quanto riguardava i procedimenti ancora pendenti in cui la fissazione d’urgenza dell’udienza fosse stata richiesta solo dopo l’entrata in vigore della disposizione in questione. In questi casi, aveva concluso la Corte di Strasburgo, non si sarebbe potuto escludere che la norma, interpretata dai giudici nazionali nel senso di escludere dalla determinazione della durata soggetta a indennizzo i periodi anteriori al 25 giugno 2008, avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente.

Più di recente, con la sentenza emessa nel caso O. c/ Italia del 22.2.2016 (ricorsi nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12 e 22994), in una fattispecie relativa a giudizi amministrativi iniziati nel 1990, e per i quali era stata presentata la nuova istanza di fissazione dell’udienza ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, ma non anche l’istanza di prelievo, il che aveva determinato l’inammissibilità del ricorso per equa riparazione, la Corte EDU ha affrontato in maniera diretta il problema dell’effettività dell’istanza nazionale ex L. n. 89 del 2001 soggetta alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2.

Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al suo ultimo testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, ha convertito in critica espressa e consapevole la riserva formulata con la sentenza resa nel caso Daddi.

La Corte Europea ha così affermato: a) che nè dal contenuto della norma nè dalla relativa prassi giudiziaria si evince che l’istanza di prelievo possa efficacemente accelerare la decisione in merito alla causa sottoposta all’esame del tribunale; b) che la condizione di ammissibilità di un ricorso “Pinto” previsto dalla L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 risulta essere una condizione formale che produce l’effetto di ostacolare l’accesso alla procedura interna; c) che l’inammissibilità automatica dei ricorsi per equa riparazione, basata unicamente sul fatto che i ricorrenti non abbiano presentato l’istanza di prelievo, priva questi ultimi della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente.

E, richiamata la propria giurisprudenza sul principio di effettività della tutela giurisdizionale, nel senso che è effettivo il rimedio interno se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all’interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano già verificate, ha concluso nel senso che “la procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dalla lettura del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 in combinato disposto con la Legge Pinto, non possa essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell’art. 13 Convenzione”.

7.3 Ancorchè riferito alla disciplina dell’istanza di prelievo, reputa il Collegio che le considerazioni espresse in ordine alla necessità che il rimedio interno possa essere ritenuto “effettivo” solo se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di fornire all’interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano già verificate, si estendano anche all’istanza di accelerazione che qui viene in discussione.

Va, infatti, rilevato che l’indirizzo espresso dalla citata sentenza O. c/ Italia, in punto di valutazione dell’effettività del rimedio interno, pur non avendo ricevuto l’avallo della Grand Chambre, può ritenersi ormai adeguatamente consolidato, in quanto costituisce il logico e preannunciato sviluppo del principio già espresso nella sentenza sul caso Daddi; è stato adottato all’unanimità; non presenta alcuna attitudine innovativa rispetto alla tecnica dell’interpretazione convenzionale fin qui seguita.

Inoltre, pur concernendo, come detto, una fattispecie diversa da quella in esame nella presente controversia, si connota per la generalità delle affermazioni rese, come idoneo ad orientare l’interpretazione delle diverse norme in tema di rimedi interni, collocandosi coerente nel solco della giurisprudenza di detta Corte Europea sul principio di effettività.

7.4 Con specifico riferimento all’istanza di accelerazione del processo penale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, lett. e) risulta evidente che la previsione di un siffatto strumento sollecitatorio non sospende nè differisce il dovere dello Stato di dare corso al procedimento e, dopo l’esercizio dell’azione penale, al processo, in caso di omesso esercizio dello stesso, nè implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio (così, e per tutte, S.U. n. 28507/05).

Risulta quindi evidente, in assenza di previsioni da parte del legislatore di strumenti, anche di tipo ordinamentale, che correlino alla proposizione dell’istanza di accelerazione de qua, una differente considerazione della vicenda processuale, al fine di assicurare una tendenziale sollecita definizione, che la previsione normativa in esame si risolva nell’imporre al ricorrente di prenotare gli effetti della riparazione per l’irragionevole durata del processo e peraltro in un momento in cui (dovendo essere presentata nei trenta giorni successivi al superamento del termine di durata ragionevole) il ritardo non ha ancora assunto un’entità tale da legittimare la richiesta indennitaria (tenuto conto di quanto disposto dalla stessa L. n. 89 del 2001, art. 2bis, comma 1 che prevede che il ritardo per essere indennizzato debba eccedere una frazione dell’anno superiore a sei mesi).

7.5 Se per la giurisprudenza della Corte EDU il rimedio interno deve garantire o la durata ragionevole del giudizio o l’adeguata riparazione della violazione del precetto convenzionale, sicchè ogni ostacolo che vi si frapponga rende non effettivo il rimedio stesso, essendo quindi necessario che sia efficacemente sollecitatorio, l’istanza di accelerazione non garantisce alcun effetto siffatto, ma risulta puramente dichiarativa di un interesse altrimenti già presente nel processo ed avente copertura costituzionale.

8. In assenza della possibilità di un’interpretazione convenzionalmente orientata di tale norma che non si traduca nella sua sostanziale e intera disapplicazione, essendo contraddittoria la stessa configurazione dell’istanza di accelerazione quale condizione d’accesso all’istanza indennitaria, così come configurata dal legislatore, ne discende la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionalità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, lett. e) come introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. a), n. 2 convertito modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui, relativamente ai giudizi penali in cui il termine di durata ragionevole di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis sia superato in epoca successiva alla sua entrata in vigore, e per la loro intera durata, subordina la proponibilità della domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata dei processi penali alla presentazione dell’istanza di accelerazione.

PQM

La Corte, visti l’art. 134 Cost. e L. n. 87 del 1953, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, e ai parametri interposti dell’art. 6, par. 1, art. 13 e art. 46, par. 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848, la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2,comma 2 quinquies, lett. e) come introdotto dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, art. 55, comma 1, lett. a), n. 2 del convertito modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n. 134; dispone la sospensione del presente giudizio e ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei ministri; ordina, altresì, che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018

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