Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2438 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. I, 03/02/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 03/02/2021), n.2438

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16644/2019 proposto da:

O.P., elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico 38,

presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco, che lo rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

alla via dei Portoghesi 12 presso la sede dell’Avvocatura Generale

dello Stato che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1964/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

O.P., nato in (OMISSIS), ha impugnato innanzi al Tribunale di Roma il provvedimento della competente Commissione Territoriale, di rigetto della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o di quella umanitaria.

Avverso l’ordinanza di rigetto il richiedente ha proposto appello innanzi alla Corte di appello di Roma che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’impugnazione.

Il giudice di appello ha rilevato, in particolare, che: a)l’interrogatorio di O. non era stato disposto dal tribunale in quanto questi non si era presentato all’udienza fissata per la comparizione; b) l’appellante non aveva prodotto il fascicolo di parte relativo al giudizio di primo grado nè il verbale della Commissione ed il provvedimento da questa adottato; c) non ricorreva l’ipotesi dell’acquisizione di ufficio del fascicolo di primo grado, poichè, nonostante i numerosi rinvii disposti a tal fine e l’autorizzazione alla ricostituzione degli atti, il difensore del richiedente aveva chiesto che la causa fosse posta in decisione; d) in conseguenza, non ricorrevano elementi per valutare la credibilità della narrazione e neppure la tempestività delle allegazioni; e) le fonti informative esaminate-rapporto annuale Amnesty International, rapporto UNHCR, sito Dipartimento sulla libertà religiosa- escludevano la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); f) non ricorrevano situazioni soggettive tali da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

O. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidato a due motivi. Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame delle dichiarazioni da lui rese innanzi alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della sua condizione personale.

Osserva che la corte d’appello, dopo avere verificato l’assenza del verbale della Commissione all’interno del fascicolo, invece di decidere, avrebbe dovuto utilizzare il proprio potere officioso disponendo la rimessione sul ruolo della causa ed ordinando l’acquisizione del fascicolo oppure ordinandogli la produzione del verbale delle dichiarazioni da lui rese in primo grado, ritenute inattendibili dal tribunale, o, ancora, disponendo la sua audizione.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lamentando il ricorrente il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), tenuto conto del grado di pericolosità della situazione interna al Ghana.

Con il terzo motivo si prospetta l’omessa applicazione al ricorrente dell’istituto del permesso per motivi umanitari, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, nonchè l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost..

Il Ministero dell’Interno ha dedotto l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso, incombendo sul richiedente l’onere di individuare ed allegare i fatti costitutivi della sua pretesa e riguardando l’fatti narrati vicende squisitamente interpersonali, non tutelabili a livello internazionale e del tutto avulse dal contesto politico sulla regione di provenienza.

Il primo motivo di ricorso, da riqualificare quale denuncia di un vizio processuale atto a determinare la nullità della sentenza, è fondato e va accolto, con assorbimento degli altri motivi.

Ed invero, la Corte di appello, pur dando atto che, in assenza del verbale contenente le dichiarazioni del migrante, non era possibile conoscere le ragioni per le quali questi aveva lasciato il paese di origine e non vi erano elementi per valutare la credibilità della sua narrazione e la tempestività delle sue allegazioni, ha ritenuto di poter confermare la decisione di rigetto del primo giudice in quanto era “verosimile” che detto verbale e il provvedimento amministrativo si trovassero nel fascicolo di parte del richiedente, che non lo aveva depositato in appello, e ciò nonostante, il suo difensore aveva insistito per la decisione della causa.

Poichè in sede di gravame O. aveva lamentato che il tribunale avesse erroneamente ritenuto inattendibili le dichiarazioni da lui rese dinanzi alla CT, tali atti erano però indispensabili per la decisione. Risulta dunque evidente che la loro mancata acquisizione ha leso il diritto di difesa del richiedente sull’oggetto della domanda giudiziale, condizionata quanto al suo esito proprio dal contenuto dell’audizione, espressiva del diritto fondamentale ad essere ascoltato, protetto oltre che a livello costituzionale, in modo diretto dall’art. 47 della Carta UE dei diritti fondamentali. Sul punto è anzi appena il caso di rammentare che Corte Giust., 26 luglio 2017, C348/16, Moussa Sacko, ha chiarito che le procedure contemplate dal capo V della direttiva 2013/32 devono essere orientate a garantire che l’esercizio del diritto al ricorso contro la decisione che possa incidere in modo negativo sugli interessi del richiedente sia effettivo sicchè il giudice nazionale deve essere in condizioni di verificare la fondatezza dei motivi che hanno indotto l’autorità amministrativa competente a considerare la domanda di protezione internazionale infondata o abusiva (v., p. 36 sent. cit.).

L’operato del giudice di appello non è stato informato al rispetto dei principi superiormente ricordati, nè a quelli espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte, che ha da tempo ritenuto di approntare una particolare tutela alla condizione di vulnerabilità del richiedente lo status di rifugiato, precisando che l’autorità amministrativa esaminante ed il giudice devono svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria (cfr. Cass. S.U. n. 27310/2008), come, del resto, chiaramente evincibile del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8, applicabile ratione temporis.

Ne consegue che il giudice di appello una volta verificato che la documentazione sulla base della quale il primo giudice aveva affermato l’inattendibilità del racconto dell’appellante non era allegata al fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, avrebbe dovuto ordinarne d’ufficio l’acquisizione presso la competente C.T.; ciò a prescindere dal rilievo che, pur in mancanza di detta documentazione, la valutazione di merito devoluta alla corte d’appello avrebbe ben potuto, e dovuto, essere compiuta disponendo una nuova audizione del richiedente.

La sentenza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, va dunque cassata, ed il giudizio va rinviato alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà pure alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

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