Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24378 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. un., 03/11/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 03/11/2020), n.24378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di sez. –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3764-2020 proposto da:

B.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE

FILIBERTO 16, presso lo studio dell’avvocato LOREDANA SERVA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA

CUCCHIARELLI;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TIVOLI, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 142/2019 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 05/12/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Francesca Cucchiarelli.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Consiglio Nazionale Forense, con la impugnata sentenza del 5 dicembre 2019, ha confermato la decisione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA) di Tivoli che aveva inflitto all’avvocato B.D. la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione forense per tre mesi.

Il COA aveva ritenuto fondati due dei tre addebiti disciplinari contestati: avere negligentemente difeso il Signor L.M. in un giudizio civile, avendo omesso di depositare le memorie istruttorie nel termine decadenziale prescritto, con inescusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita; avere proceduto all’iscrizione a ruolo di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, innanzi al Giudice di Pace di Tivoli, mediante falsificazione materiale della velina della citazione in opposizione con l’inserimento di una vocatio in ius assente nell’originale dell’atto.

L’avvocato B., in sede di gravame, aveva lamentato la mancata valutazione da parte del COA di un certificato medico inviato via pec, a sostegno della richiesta di audizione che assumeva essere ingiustificatamente mancata, con conseguente lesione del diritto di difesa che le aveva impedito di produrre documenti e formulare istanze istruttorie; aveva eccepito la prescrizione quinquennale dell’azione disciplinare, in relazione al capo di incolpazione concernente l’introduzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; aveva dedotto l’inesistenza degli illeciti contestati, concernenti la falsificazione materiale dell’atto di citazione in opposizione e il mancato deposito delle memorie istruttorie, quest’ultimo derivante da una scelta processuale concordata con il cliente.

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha rigettato i motivi di ricorso sulla base delle seguenti considerazioni: l’interessata era stata convocata ma non si era presentata per l’audizione, senza provare la sussistenza di un legittimo impedimento, avendo prodotto una certificazione medica non idonea ad attestare l’impedimento; la prescrizione decorreva non dalla commissione del fatto concernente la falsificazione della citazione in opposizione (in data 25 luglio 2012) ma dalla data di cessazione della condotta, coincidente con la conclusione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo (in data 30 gennaio 2014), sicchè il termine quinquennale di prescrizione di cui al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51 non era decorso; il mancato deposito delle memorie istruttorie non derivava da una scelta processuale concordata con il cliente ma dallo smarrimento dello scadenziario, come emergeva dall’istanza di rimessione in termini, avente valore confessorio, successivamente presentata dall’avv. B. nel giudizio; l’apposizione artefatta della vocatio in ius nella citazione in opposizione era imputabile alla B. a titolo di dolo, essendo rimasta priva di prova la circostanza secondo cui il fatto era imputabile a una sua collaboratrice.

Avverso questa decisione la B. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 30 codice deontologico, in relazione all’art. 2 c.p.p., eccesso di potere e vizio di motivazione, per non avere sospeso il procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale che sarebbe relativo ai medesimi fatti, quest’ultimo conclusosi con decreto di archiviazione, successivo al deposito del ricorso al CNF, che non le era stato consentito di depositare nel giudizio, con conseguente mancata considerazione dell’esito del procedimento penale e lesione del diritto di difesa, non avendo potuto dimostrare che la vicenda della falsificazione degli atti relativi all’iscrizione a ruolo del giudizio di opposizione era esclusivamente imputabile a una sua collaboratrice.

Il motivo è inammissibile nella parte relativa alla questione della imputabilità all’avvocato B. o a una sua collaboratrice della falsificazione materiale della citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, che si risolve nella richiesta di rivisitazione di un giudizio di fatto, non attinto da pertinente censura di omesso esame di fatti decisivi, nella ristretta eccezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e, dunque, incensurabilmente compiuto dal giudice disciplinare, il quale ha giudicato la B. responsabile per culpa in vigilando nei confronti della collaboratrice.

Esso, inoltre, è infondato nella parte relativa al denunciato ma inesistente contrasto tra il giudicato riferibile al decreto di archiviazione e la sentenza del CNF, alla luce del principio secondo cui il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale non ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare, non essendo equiparabile ad una sentenza definitiva di assoluzione per insussistenza del fatto o per non averlo l’imputato commesso (vd. Cass., sez. un., n. 14551 del 2017, n. 16277 del 2010). Ne consegue l’assorbimento per perdita di rilievo decisorio della questione, concernente la invocata sospensione del giudizio disciplinare, peraltro impropriamente introdotta per la prima volta in questa sede.

Nel motivo sono inserite alcune considerazioni circa la decorrenza del termine di prescrizione, invero eccentriche rispetto alle ragioni impugnatori riassunte (e ai parametri normativi indicati) nella rubrica e, comunque, non sviluppate nè idonee a contrastare il decisum, con il quale il CNF argomentato in ordine alla decorrenza del predetto termine dalla cessazione della condotta falsificatrice, coincidente con la conclusione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.

Il secondo motivo, che denuncia “omessa pronuncia circa un punto decisivo della controversia precisamente sulle richieste istruttorie dell’incolpata”, imputa al CNF di non essersi pronunciato su una richiesta di produzione di documenti e ammissione di testimoni, tramite i quali la ricorrente sostiene che avrebbe potuto dimostrare il suo legittimo impedimento a comparire nel giudizio disciplinare, risultante da una comunicazione inviata via pec, tuttavia ignorata dal COA.

Il motivo in esame non coglie la ratio decidendi, avendo il CNF riferito che il COA aveva esaminato la documentazione trasmessa via pec, giudicandola “estremamente generica”, tant’è che l’incolpata aveva chiesto di essere autorizzata a produrre documentazione integrativa; per altro verso, esso non precisa quale fosse il contenuto delle istanze istruttore non ammesse, ed è dunque privo di specificità, facendo riferimento a documenti e testimonianze su circostanze di fatto di contenuto imprecisato. Esso è inammissibile, risolvendosi in definitiva in una impropria richiesta di rivisitazione di apprezzamenti di fatto, incensurabili in sede di legittimità, in relazione all’esistenza di un legittimo impedimento a comparire nel giudizio dinanzi al COA.

Il ricorso è rigettato. Nessuna statuizione va adottata in punto di spese, mancando avversa attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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