Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24376 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/10/2017, (ud. 20/06/2017, dep.16/10/2017),  n. 24376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23506-2012 proposto da:

P.P., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato PAOLA LIBBI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA

VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA

D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2524/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/04/2012 R.G.N. 6952/09;

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata l’11.4.2012, la Corte d’appello di Roma ha confermato la statuizione di primo grado che aveva rigettato l’opposizione proposta da P.P. avverso la cartella esattoriale con cui le era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per contributi omessi in danno di due collaboratrici ritenute lavoratrici sue dipendenti; che avverso tale pronuncia P.P. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura;

che l’INPS, anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a., ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2094 c.c., per avere la Corte di merito errato nella ripartizione dell’onere probatorio e comunque nella valutazione delle prove documentali e testimoniali;

che, con il secondo motivo, la ricorrente si duole di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè di violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per essersi la Corte territoriale limitata a richiamare genericamente le statuizioni di primo grado, senza esaminare in modo specifico le censure dell’atto di appello;

che, con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. per non avere la Corte di merito ritenuto l’incapacità a testimoniare delle lavoratrici N. e R., in quanto portatrici di un interesse diretto nella causa;

che, con il quarto motivo, la ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e artt. 442,416 e 132 c.p.c., per non avere la Corte territoriale preso posizione in ordine al motivo di gravame fondato sulla sentenza penale di assoluzione dal reato p. e p. dall’art. 81 c.p. e D.L. n. 483 del 1983, art. 2 (conv. con L. n. 638 del 1983), in relazione ai medesimi fatti per cui è causa;

che l’esame del secondo motivo, con cui si censura la motivazione della sentenza impugnata per aver acriticamente recepito la pronuncia del primo giudice, è logicamente preliminare rispetto agli altri, trattandosi in ipotesi di error in procedendo che importa la nullità della sentenza (cfr., tra le tante, Cass. n. 20648 del 2015), laddove le censure di cui al primo, terzo e quarto motivo presuppongono viceversa una motivazione esistente, ancorchè in ipotesi viziata;

che, con specifico riguardo al secondo motivo, questa Corte ha da tempo fissato il principio secondo cui la motivazione per relationem della sentenza di appello è legittima quando il giudice di secondo grado, dopo aver richiamato nella sua pronuncia gli elementi essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, si faccia altresì carico di confutare le censure contro di essa formulate con il gravame (cfr. tra le tante Cass. nn. 11138 del 2011, 15483 del 2008, 3636 del 2007, 2268 del 2006), dovendo viceversa ritenersi la motivazione meramente apparente quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017);

che, nel caso di specie, la Corte di merito, dopo aver affermato che “l’appellante censura la sentenza per malgoverno delle risultanze istruttorie”, ha motivato la reiezione del gravame sostenendo esclusivamente che “alla luce degli elementi probatori acquisiti al processo, analiticamente e criticamente valutati in correlazione alle specifiche censure formulate dall’appellante, la statuizione del giudice di primo grado è corretta”, in quanto “la lettura delle singole deposizioni testimoniali è puntuale, coerente con le deposizioni rese, quali si leggono nei verbali di udienza”, e tenuto conto “del grado di conoscenza che i testi hanno riferito di avere dei fatti di causa e di quanto emerso in ordine alle modalità di svolgimento del lavoro svolto dalle lavoratrici in relazione alle quali è stata azionata la procedura di riscossione dei contributi”, limitandosi semplicemente ad aggiungere che il giudice di primo grado avrebbe “correttamente valutato le deposizioni rese dalle lavoratrici non solo in quanto capaci di testimoniare e avuto riguardo alla genuinità delle loro deposizioni ma anche in relazione agli ulteriori elementi probatori acquisiti agli atti del processo, ed, in particolare, quanto allo stabile inserimento delle lavoratrici nell’ambito della organizzazione aziendale, alla deposizione resa dal teste D.”;

che tale motivazione non spiega nè in cosa consistesse il “malgoverno delle risultanze istruttorie” lamentato nelle “specifiche censure formulate dall’appellante”, nè cosa in concreto abbiano riferito i testi, nè quali sarebbero gli “ulteriori elementi probatori acquisiti agli atti del processo” che corroborerebbero ciò che essi avrebbero riferito, nè in particolare cosa avrebbe riferito il teste D. “quanto allo stabile inserimento delle lavoratrici nell’ambito della organizzazione aziendale”; che una motivazione siffatta, ancorchè graficamente esistente, deve considerarsi apparente, dal momento che, risolvendosi in una sequenza di astratte tautologie, non reca alcuna argomentazione obbiettivamente idonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento;

che il potere di questa Corte di correggere la motivazione della sentenza impugnata anche in presenza di una motivazione solo apparente (cfr. in tal senso da ult. Cass. n. 23989 del 2014) è esercitabile solo allorchè la lacuna motivazionale concerna le ragioni giuridiche della decisione, non già quando riguardi l’accertamento in fatto, derivandone altrimenti un travalicamento dei limiti di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2;

che pertanto, assorbiti gli ulteriori motivi di censura, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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