Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24376 del 04/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 04/10/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 04/10/2018), n.24376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14227-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore e

legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA piazza Cavour

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato VALERIA DI GRAZIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 639/13/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI PALERMO SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata il

22/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/07/2018 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA

TORRE.

Fatto

RILEVATO CHE

Con sentenza in data 1 febbraio 2017 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 430/4/12 della Commissione tributaria provinciale di Ragusa che aveva parzialmente accolto il ricorso di P.R., quale erede di I.G., contro il diniego di rimborso per II.DD. ed IVA 1990/1992. La CTR osservava in particolare che, interpretando in senso costituzionalmente orientato la disposizione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, la pretesa creditoria restitutoria dell’appellato, in detta qualità ereditaria, trovava fondamento ancorchè si trattasse di somme già versate, dovendosi comunque affermare la tempestività dell’istanza di rimborso in virtù del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21,comma 2, u.p..

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.

Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO CHE

Con l’unico motivo dedotto – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 107,108, TFUE, artt. 11, 12, Reg. CE 659/1999, L. n. 190 del 2014, art. 2, comma 665, poichè la CTR ha confermato il diritto creditorio azionato dal contribuente (jure hereditario) senza in particolare tenere conto della decisione della Commissione UE 5549 final, dovendosi appurare se tale riconoscimento di debito erariale non configuri un “aiuto di Stato”, vertendosi in un’ipotesi di reddito di impresa e di IVA.

La censura è fondata nei termini che seguono.

Si deve anzitutto premettere che nel caso di specie lo svolgimento da parte del contribuente di un “attività di impresa”, nel senso di cui infra, deve desumersi dal fatto che tra le imposte oggetto di lite vi sia anche l’ILOR, trattandosi di tributo dovuto appunto soltanto da chi detta attività esercita.

Ciò rilevato, va osservato che lo svolgimento di un’attività di impresa costituisca un limite all’applicabilità del beneficio in esame, così come previsto dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, prima parte, posto che il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, in favore dei “soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990” è escluso per “quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilita del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea” ed altresì atteso che la Corte di giustizia nella sentenza del 17/07/2008, in causa C-l32/06 aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche di cui alla L. n. 289 del 2002 con il sistema comune dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alteravano il principio di neutralità fiscale.

Inoltre bisogna poi osservare che con riferimento a tale beneficio la Commissione UE, con la decisione del 14/08/2015, C (2015) 5549 final – senz’altro da ritenersi vincolante per il giudice nazionale, che deve darvi attuazione anche attraverso la disapplicazione delle norme interne con essa contrastante (Cass. n. 15354 del 2014 e n. 22377 del 2017), all’art. 1 ha stabilito, in via generale, che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90, e successive modifiche e integrazioni; L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 363, e successive modifiche e integrazioni; L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1,comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 109, e successive modifiche e integrazioni; D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, comma 4-bis e 4-ter, e successive modifiche e integrazioni; L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 33, comma 28, e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono incompatibili con il mercato interno”, salvo che si tratti di aiuto individuale che, al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014, ovvero dei regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 della decisione) o che, al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’art. 1 del regolamento (CE) n. 994/98 (del 7 maggio 1998, sull’applicazione degli artt. 92 e 93 ora 87 e 88 del trattato che istituisce la Comunità Europea a determinate categorie di aiuti di Stato orientali) “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (art. 3).

Tale decisione della Commissione UE, impugnata da una società siciliana (T-172/16), è stata confermata dal Tribunale di primo grado UE’ con sentenza del 26 gennaio 2018.

Si deve tuttavia precisare che secondo la Commissione UE una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sè aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perchè il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perchè il beneficio individuale è in linea con il regolamento de minimis applicabile oppure perchè il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione) (p. 134 della “decisione”).

Diverse le conseguenze che discendono da tale affermazione.

La prima, ovviamente, è quella della necessità di individuare la categoria di impresa “comunitaria”, all’interno della quale collocare i vari soggetti economici, perchè evidentemente soltanto l’appartenenza a tale categoria rende di per sè inapplicabile, salvo le precisazioni di cui ai citati artt. 2 e 3 della decisione (di cui si dirà in prosieguo), il beneficio di cui alla disposizione in esame.

A livello di normazione unionale, manca una specifica definizione di impresa, proprio come avviene nell’ordinamento interno, in cui dalla definizione di imprenditore di cui agli artt. 2082 e 2083 c.c., può dedursi che per impresa si deve intendere un’attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. E proprio come nell’ordinamento unionale, la nozione di impresa, che può ricavarsi dall’ampia profusione giurisprudenziale, presenta caratteri comuni a quella di attività economica, perchè questa ne rappresenta l’elemento costitutivo.

Sono quindi rilevanti sul piano normativo l’art. 9, par. 1 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, stabilisce – in maniera sostanzialmente identica alla precedente Sesta Direttiva (77/388/CEE) – che sia considerato soggetto passivo chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività, specificando che per attività economica deve intendersi qualsiasi attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, cui si unisce ogni forma di sfruttamento di un bene materiale o immateriale cui consegua un guadagno stabile; ma anche l’art. 1, par. 8 della Direttiva 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, secondo cui i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi. Più esplicita è, invece, la giurisprudenza unionale (cfr., ad esempio, Corte di giustizia CE, sentenza 26 marzo 2009, causa C-I 13/07, Selex Sistemi Integrati/ Commissione e Eurocontrol), secondo cui la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (sentenze 23 aprile 1991, causa C-41/90, Hòfner e Elser, Racc. pag. I-1979, punto 21; 16 novembre 1995, causa C-244/94, Fèdèration francaise des sociètès d’assurances e a., Racc. pag. 1-4013, punto 14, e 11 dicembre 1997, causa C-55/96, Job Centre, Racc. pag. 1-7119, punto 21) e che costituisce un’attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia, sent. 16 giugno 1987, causa 118/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 2599, punto 7; cause riunite da C-l 80/98 a C-184/98, Pavlov e a., Racc. pag. 1-6451, punto 75, nonchè 1 luglio 2008, causa C-49/07, MOTOE, Racc. pag. 1-4863, punto 22).

L’affermazione rinvenibile al punto 134 della decisione della Commisione UE’ sopra citata, laddove si dice che i soggetti che non svolgono attività economica … non vanno considerati come imprese, rappresenta una chiara conferma del fatto che la nozione di impresa in ambito unionale è costruita sul concetto di attività economica, nel senso individuato dalla citata giurisprudenza della Corte di giustizia.

L’ampiezza della nozione di impresa ha condotto la Corte di giustizia a ricomprendervi anche le attività professionali, pur se regolamentate da norme nazionali e soggette a precise autorizzazioni. A tale conclusione la giurisprudenza unionale è pervenuta, ad esempio, in sede di applicazione della normativa antitrust (artt. da 101 a 106 del TFUE, già artt. da 81 a 86 del Trattato CE) per quanto riguarda l’attività degli spedizionieri doganali, che presenta natura economica in quanto offrono, contro retribuzione, servizi (Corte di giustizia, sent. 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione contro Repubblica Italiana, p. 37), proprio in considerazione del fatto che la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (p. 36). Pertanto, ai fini della nozione “comunitaria” di impresa, come correttamente osservato anche in dottrina, nessuna rilevanza può attribuirsi all’elemento soggettivo, sia sotto il profilo della qualifica dell’attività (di impresa o professionale, di lavoro autonomo e di esercente attività c.d. protette) sia sotto il profilo della struttura propria del soggetto (persona fisica o ente collettivo; soggetto di diritto privato o di diritto pubblico), in quanto il soggetto passivo è identificato in funzione dell’attività economica svolta. Significativa, in tal senso, anche la decisione 95/188/CE della Commissione, del 30 gennaio 1995, COAPI (Colegio Oficial de Agentes de la Propiedad Industriai) relativa ad una procedura di applicazione dell’art. 85 del trattato CE, che ha molto chiaramente precisato che il fatto che gli API (Agentes de la Propiedad Industrial) costituiscano una libera professione regolamentata ai sensi della legge spagnola e della direttiva 89/48/CEE del Consiglio, che le prestazioni abbiano carattere intellettuale, tecnico o specializzato e siano fornite su base personale e diretta non cambia nulla alla natura di attività economica e ciò perchè secondo la Corte di giustizia, sentenza del 23 aprile 1991 nella causa C-41/90 Hoefner/Macroton, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (p. 32). In senso analogo si è espressa la Corte di giustizia nella sentenza del 12 settembre 2000, nelle cause riunite da C-180/98 a C-184/98, in relazione alla posizione dei medici specialisti (p. 77, laddove, sempre con riferimento alla normativa sulla concorrenza, afferma che i medici specialisti autonomi membri della LSV svolgono un’attività economica e, pertanto, costituiscono imprese ai sensi degli artt. 85, 86 e 90 del Trattato, senza che la natura complessa e tecnica dei servizi da loro forniti e la circostanza che l’esercizio della loro professione è regolamentato siano tali da modificare questa conclusione (v., in tal senso, sentenza 18 giugno 1998, Commissione/Italia, già citata, punti 37 e 38)).

La seconda conseguenza che discende dall’affermazione di cui sopra è e quella secondo cui, una volta accertato lo svolgimento di un’attività economica (commerciale o professionale) da parte del contribuente, i giudici di appello dovranno altresì accertare che il beneficio individuale rispetti il regolamento de minimis (artt. 2 e 3 della citata decisione), tenendo conto, in specie, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1 TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza (cfr. Cass. n. 22377 del 2017 che richiama Cass. n. 11228 del 2011) e, in difetto, valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la decisione della Commissione UE del 14/08/2015, C (2015) 5549 final, fanno ritenere comunque compatibile gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 2, lett. b) del TFUE, ovvero che si tratti di aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale (p. 150, lett. bj), sempre che sussista un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame (p. 136), che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o altre misure di aiuto: cfr. punto 148 della decisione della Commissione).

Al riguardo, premesso che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377 del 2017 citata, deve ricordarsi anche il principio, al quale dovrà attenersi la Commissione di appello, secondo cui, posto che l’invocazione dello ius superveniens (alla cui stregua va ricondotta la decisione della Commissione UE) e il giudizio positivo sulla idoneità della nuova disciplina giuridica ad incidere sulla decisione della lite costituiscono fattori sufficienti e determinanti per la cassazione della sentenza, dev’essere consentita, in sede di rinvio, l’esibizione di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr. in tal senso già Cass. n. 5224 del 1998, cit). Resta in ogni caso fermo che la riduzione dei tributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali non è applicabile in materia d’IVA, atteso che il riconoscimento del diritto al rimborso proporzionale delle somme già corrisposte, non soddisfacendo il principio di neutralità fiscale e non garantendo la riscossione integrale dell’IVA dovuta nel territorio italiano, si pone di per se stesso in contrasto col diritto dell’UE, come ha stabilito la Corte di Lussemburgo in causa C-82/14 (Corte giustizia, 15/07/2015, Nuova Invincibile; conf. Cass. sez. trib., 21/04/2017, n. 10084; 16/09/2016, n. 18205; 16/12/2015, n. 25278). Conclusivamente va pertanto applicato il principio (di recente ribadito da Cass. n. 3070 del 08/02/2018, conf. n. 10450 del 02/05/2018), che in tema di aiuto di Stato erogato a un’impresa per calamità naturali, il giudice nazionale è tenuto a verificare se il beneficio individuale sia compatibile con il regolamento “de minimis” applicabile o, in difetto, se ricorrono le condizioni che rendono l’aiuto compatibile con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, p. 2, lett. b) TFUE (e cioè che si tratti di aiuto destinato a compensare i danni causati da calamità naturali). Da ciò deriva che il contribuente che vuole fruire del beneficio deve fornire la prova, per il rispetto del limite del “de minimis”, che l’ammontare totale degli aiuti ottenuti nel periodo di tre anni (decorrente dal momento dell’ottenimento del primo aiuto e comprendente qualsiasi aiuto pubblico, accordato sotto qualsiasi forma) non supera la soglia prevista nel regolamento, ovvero, per l’applicazione dell’ipotesi prevista dall’art. 107, p. 2, lett. b) TFUE, di avere la sede operativa nell’area colpita dalla calamità al momento dell’evento ed anche l’assenza di una sovracompensazione dei danni subiti, scorporando dal pregiudizio accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o derivanti da altre forme di aiuto).

Il ricorso va pertanto accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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