Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24372 del 30/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 30/11/2016, (ud. 13/09/2016, dep. 30/11/2016), n.24372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di Sez. –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di Sez. –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente di Sez. –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente di Sez. –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6052/2015 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G. BELLI

27, presso lo studio dell’avvocato GIAN MICHELE GENTILE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANFRANCO FERRARI,

per procura speciale del notaio Dott. G.P. di Frascati,

rep. 112505 del 27/06/16, in atti e per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 278, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GIOVE, che lo

rappresenta e difende, per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

E contro

ASSOCIAZIONE ROMANA COOPERATIVE DI ABITAZIONE SOCIETA’ COOPERATIVA

ED. A.R.C.A. 39 A R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4458/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Presidente Dott. ANGELO SPIRITO;

uditi gli avvocati Gian Michele GENTILE e Stefano GIOVE;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’INPDAP trasferì un immobile di sua proprietà, condotto in locazione dalla M., alla Coop. Arca 39 a r.l., la quale, a sua volta, lo trasferì al B.. La M., dunque, sul presupposto dell’esercizio del proprio diritto di opzione, citò in giudizio sia la Coop., sia il B. perchè: venisse accertata la nullità del secondo trasferimento dell’immobile e fosse resa sentenza costitutiva di trasferimento in suo favore; in subordine, perchè i convenuti fossero condannati al risarcimento del danno ed il B. fosse condannato a restituirle i canoni versati dal dicembre 2002.

Il Tribunale respinse le domande della M. con sentenza poi confermata in appello.

La M. propone ricorso per cassazione a mezzo di undici motivi. Risponde con controricorso il B.. Entrambe le parti hanno depositato memorie per l’udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo pone questioni inerenti alla giurisdizione. La prima parte del terzo motivo censura la nullità della sentenza per non avere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la giurisdizione di quello amministrativo.

Il primo motivo e la prima parte del terzo sono inammissibili in applicazione del principio in ragione del quale: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 c.p.c. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito (cfr. SU n. 24883/08 e successive conformi).

Nella specie non risulta (nè la parte deduce e dimostra) che la questione di giurisdizione sia stata posta nei due gradi del giudizio di merito, sicchè, in punto di giurisdizione, s’è formato il giudicato che ha efficacia preclusiva anche per il giudice di legittimità.

Il secondo motivo (il quale, premesso che il primo giudice avrebbe dovuto applicare il rito ordinario, chiede alla Corte di sapere se “la causa possa essere giustamente inquadrata più come una controversia sulla violazione del diritto di opzione prelazione della ricorrente… piuttosto che essere inquadrata come controversia tra inquilino e locatore” (pag. 14 del ricorso) e la seconda parte del terzo motivo (che lamenta la nullità della sentenza per essere stato applicato il rito del lavoro, anzichè quello ordinario) sono inammissibili.

In primo luogo, occorre osservare che la questione dell’adozione di un rito diverso da quello prescritto non risulta essere stata sollevata nè in primo grado, nè in appello (nulla deduce e prova a riguardo la ricorrente), sicchè essa si manifesta come nuova in sede di legittimità. In secondo luogo, la ricorrente chiede alla Corte la qualificazione della domanda (con conseguenze sul rito adottato), che costituisce potere esclusivo del giudice del merito. In terzo luogo, la ricorrente neppure deduce il vulnus che le sia derivato dall’adozione di un rito invece che un altro.

Il quarto motivo (violazione di legge) afferma che nella fattispecie andava fatta applicazione della normativa di cui al D.L. n. 351 del 2001 (convertito con L. n. 410 del 2001) e non di quella di cui al D.Lgs. n. 104 del 1996.

Il quinto motivo (violazione di legge), nel lamentare la violazione della L. n. 410 del 2001, art. 3 e di alcune disposizioni del codice civile, chiede di sapere se la procedura seguita per la vendita dell’immobile sia stata corretta, sul presupposto che la ricorrente aveva un vero e proprio diritto di prelazione (e non una semplice opzione), sicchè la cooperativa avrebbe avuto l’obbligo di comunicarle che stava per vendere il bene al B., il prezzo fissato per la vendita e la possibilità d’esercitare il diritto di prelazione.

Il sesto motivo (violazione di legge) chiede di sapere se, anche solo alla luce del D.Lgs. n. 104 del 1996, dovesse essere rispettato il diritto di prelazione della M., anche da parte di Arca 39 in veste di concessionaria di pubblico servizio, e se sussistesse un’obbligazione di ritrasferimento dell’immobile alla ricorrente. Tutto ciò sul presupposto che il rogito con il quale lo stabile venne ceduto in blocco dall’ente pubblico alla cooperativa prevedeva l’obbligo di questa a far acquistare direttamente ai conduttori suoi soci che avessero esercitato collettivamente l’opzione d’acquisto delle unità immobiliari condotte in locazione, nonchè l’obbligo ad acquistare in proprio le unità per le quali non s’era verificato tale evento. Occorrerebbe, dunque, chiarire – secondo la ricorrente – “se qualcosa andasse comunque comunicato dall’Arca 39 alla M., anche in caso di acquisto in proprio, se non anche come liberatoria dal mandato o dal rapporto di diritto societario della medesima” e se comunque la stessa avesse diritto ad un indennizzo o ad un risarcimento proporzionato al maggior sconto usufruito dal B. al suo posto, eventualmente anche ai sensi dell’art. 2041 c.c..

Il settimo motivo (violazione di legge), ribadisce che la finalità statutaria della cooperativa (della quale la M. era socia a tutti gli effetti) era quella di acquistare comunque per i soci e che la ricorrente doveva essere preferita siccome conduttrice dell’immobile. Tutto ciò, anche nel caso in cui si volesse ritenere che ella non aveva esercitato la prelazione, posto che la sua domanda poteva comunque investire la cognizione del giudice come azione di responsabilità contro l’operato degli amministratori dell’Arca 39 per palese discriminazione tra soci.

I motivi dal quarto al settimo, che possono essere congiuntamente esaminati, sono tutti inammissibili.

In primo luogo occorre osservare che questi mezzi d’impugnazione sono affatto generici rispetto al tenore della decisione ed estranei pure ai limiti di petitum e causa petendi che caratterizzano l’azione in concreto sperimentata. In secondo luogo essi difettano del requisito dell’autosufficienza, laddove fanno riferimento ad atti e documenti dei quali non è data alcuna specifica indicazione.

Lo stesso ricorso spiega (pagg. 1 e 2) che l’azione fu introdotta perchè: fosse dichiarata la nullità (inefficacia o inesistenza) dell’atto di trasferimento dalla cooperativa al B.; fosse accertato che, ai sensi dell’art. 1706 c.c., l’Arca era obbligata a ritrasferire l’immobile alla M.; fosse resa sentenza costitutiva, producente gli effetti del contratto definitivo non concluso tra l’Arca e la M.. In subordine, era domandata la condanna della cooperativa e del B. in solido a corrispondere all’attrice una somma pari al valore di mercato dell’immobile. In ogni caso, era chiesta la condanna del B. e della cooperativa in solido al risarcimento di tutti i danni subiti dalla M. e del B. alla restituzione delle somme percepite a titolo di canone di locazione.

Così delimitata l’azione, restano fuori campo tutte le domande indennitarie o da ingiustificato arricchimento alle quali è diffusamente fatto riferimento nel ricorso.

Per altro verso, il ricorso stesso neppure si cura di confutare la risposta che il giudice d’appello ha reso (conformemente a quella di primo grado) sulla stregua dei motivi in quella sede articolati e che si può così sintetizzare: inapplicabilità del decreto del 2001 per essere stata iniziata la procedura di cartolarizzazione sotto il vigore della Legge del 1996 (con le conseguenze in ordine al diritto del conduttore ad acquistare direttamente l’immobile dall’ente); il trasferimento dell’immobile dall’INPDAP alla cooperativa come non optato dalla conduttrice e l’inesigibilità del dovere giuridico da parte della cooperativa di verificare la correttezza delle indicazioni dell’ente ed i requisiti in capo alla conduttrice; il mancato esercizio dell’azione, a tal ultimo riguardo, nei confronti dell’Istituto; l’indesumibilità dagli atti del riconoscimento, da parte dell’Istituto, dell’avvenuto esercizio dell’opzione; al contrario, la desumibilità del mancato riconoscimento del diritto all’acquisto (la M. era all’epoca morosa e non s’era presentata al rogito fissato); l’Arca non aveva alcun obbligo, quale mandataria, di trasferire l’immobile alla M., posto che questa, al momento della stipula, non era più in possesso dei requisiti per l’assegnazione, nè ha provato i presupposti della propria domanda; in conclusione, l’Arca era libera di cedere l’immobile a terzi.

I motivi dall’ottavo all’undicesimo sono inammissibili siccome proposti sotto il profilo del vizio della motivazione (nel testo non più in vigore del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.), benchè la sentenza impugnata sia stata resa nell’anno 2014.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente a rivalere la controparte delle spese sostenute nel giudizio di cassazione.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2016

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