Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24371 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2011, (ud. 29/04/2011, dep. 18/11/2011), n.24371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

ITALBENI s.n.c. di D.R., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Giovanni Battista

Luciano del foro di Sassari e dall’Avv.to Manca Bitti Daniele del

foro di Roma ed elettivamente domiciliata presso lo studio del

secondo in Roma, via Luigi Luciani n. 1;

– ricorrente –

contro

P.R., rappresentato e difeso dall’Avv.to Sechi Alberto

del foro di Tempio Pausania, in forza di procura speciale a margine

del controricorso, ed elettivamente domiciliato lo studio dell’Avv.to

Rodolfo Hall in Roma, via Giuseppe Tuccimei n. 1;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari – Sezione

distaccata di Sassari n. 576/2009 depositata il 29 ottobre 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29 aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del

ricorso, come da relazione scritta.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

La ITALBENI s.n.c. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari del 29 ottobre 2009 che nell’ambito dell’originario giudizio promosso dalla medesima società nei confronti, tra l’altro, di P.R. per sentirlo condannare al pagamento di una penale di L. 15.000.000 per violazione di clausola del contratto di mediazione, ha confermato la sentenza di primo grado non riconoscendo dovuto l’importo richiesto per violazione di quanto previsto nella clausola penale.

Il ricorso è affidato a due motivi di impugnazione. Si è costituito con controricorso il P..

Nominato, a norma dell’art. 377 c.p.c., il consigliere relatore ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. ritenendo che il ricorso fosse da rigettare. Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

All’udienza camerale il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta:

“Con la prima censura la società ricorrente ha dedotto l’erronea interpretazione delle clausole del contratto di mediazione concluso fra le parti in data 9.7.1993, in particolare di quella prevista alla lettera D) che prevedeva il pagamento di una penale pari al 10% del prezzo minimo indicato nel mandato a ricercare l’acquirente, aggiungendo arbitrariamente un termine di efficacia temporale non contemplato dalle parti ed una distinzione – inadempimento del P. durante il periodo di efficacia del patto e suo inadempimento dopo la cessazione dell’efficacia – cui i contraenti non avrebbero fatto alcun cenno. La corte di merito sarebbe incorsa nella violazione delle norme di correttezza e buona fede artt. 1175, 1366 e 1375 c.c. in quanto l’interpretazione del contratto e della clausola predetta, in specie, non è stata effettuata secondo i principi generali del diritto che impongono l’adempimento delle obbligazioni secondo le regole di correttezza e buona fede, la cui osservanza costituisce un autonomo dovere giuridico, in un’ottica di equilibrio degli interessi contrapposti. Di converso nella fattispecie, pur avendo la clausola penale la funzione di impedire un comportamento inadempiente del mandante (che nella sostanza entrambi i giudici del merito avrebbero accertato), il giudice del gravame ha limitato nel tempo la efficacia della stessa.

Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta la contraddittorietà della decisione impugnata in quanto avrebbe accertato l’utilizzazione da parte del controricorrente dell’attività svolta dalla mediatrice per la conclusione del contratto di vendita con la S., pur nulla riconoscendo per la violazione di quanto previsto nella clausola penale, che avendo carattere accessorio al contratto, si configura quale mezzo rafforzativo del vincolo contrattuale, con la funzione di quantificare anticipatamente il danno che potrà derivare in caso di inadempimento del contraente obbligato.

E’ evidente il collegamento fra le due censure che, pertanto, vanno esaminate congiuntamente, in quanto entrambe attengono alla interpretazione della previsione contrattuale della clausola di cui alla lettera D) e alla sua incidenza nel rapporto intercorso fra le parti.

Richiamando il proprio costante insegnamento secondo cui la ricerca e la individuazione della comune volontà dei contraenti sono operazioni che costituiscono espressione dell’attività del giudice di merito, il cui risultato, concretando un accertamento di fatto, non è sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della inadeguatezza della motivazione e della patente violazione delle regole legali di ermeneutica, osserva la Corte che la interpretazione data dalla corte distrettuale alle disposizioni contrattuali delle quali si assume la violazione, non è censurabile sotto alcuno degli indicati profili, perchè congruamente argomentata e conforme ai criteri di cui all’art. 1362 c.c. e segg., in quanto fondata sulla formulazione letterale della dichiarazione negoziale, di contenuto tale da indurre il giudice del gravame a ritenere che non spettasse la somma richiesta in forza della penale pattuita, perchè pur essendo da qualificare la scrittura intercorsa tra le parti quale mediazione atipica, la finalità della clausola era quella di sanzionare la sola violazione del diritto di esclusiva alta vendita accordato alla Italbeni per la durata improrogabile di quindici giorni e non già per qualsiasi inadempimento del mandante.

Nè rilevano nell’interpretazione dell’accordo le considerazioni comunque svolte dal giudice del gravame circa la fruizione da parte del controricorrente dell’attività svolta dalla società di mediazione per la conclusione dell’affare con la S., per essere il diritto alla ” corresponsione della provvigione maturato con il compimento di attività concretamente V. utile a detto fine, stante il tenore della domanda formulata nei confronti del P..

Infatti, dallo stesso ricorso emerge chiaramente che nell’originario atto introduttivo del giudizio la domanda attorea è stata formulata nei confronti del P. per sentirlo condannare “a corrispondere in favore dell’attrice la somma di L. 15.000.000 a titolo di penale per avere direttamente venduto l’immobile posto in (OMISSIS), alla sig.ra S.R., cliente dalla Italbeni indicata”, mentre nei confronti di S.R. è stata chiesta la condanna della stessa “a corrispondere in favore dell’attrice quanto dovuto a titolo di provvigione da liquidarsi secondo gli usi correnti in Sassari”, (giudizio introdotto anche nei confronti di altri). Nel corso della causa, già in primo grado, la società ha rinunciato agli atti e all’azione promossa nei confronti della S. (la quale ha accettato la rinuncia) e la controversia è proseguita nei confronti del solo P., con stessi petitum e causa pretendi come sopra illustrati. (…) I motivi sono dunque entrambi privi di pregio e vanno rigettati.

In definitiva, ritiene il relatore che appaiono sussistenti le condizioni per pervenire a rigetto del ricorso avanzato nell’interesse della società Italbeni per sua manifesta infondatezza con riguardo a tutti e due i motivi precedentemente riportati”.

Nè possono essere condivise le osservazioni di parte ricorrente che nulla aggiungono alle questioni come sopra esaminate.

Osserva, infatti, questo collegio che la Italbeni non ha mai formulato domanda in sede di merito per il riconoscimento, pur equitativo, dell’utilità comunque tratta dal P. per l’attività svolta in suo favore e pertanto non può utilmente dolersi di una mancata condanna di quest’ultimo sotto questo ulteriore profilo.

In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione che vengono liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile – 2, il 29 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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