Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24369 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/09/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 30/09/2019), n.24369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12290/2015 proposto da:

D.M., domiciliato ope legis presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONELLA ROSSI, DANIELA CALECA;

– ricorrente –

contro

A.L.S.R., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELL’UNIVERSITA’ 11, presso lo studio dell’avvocato ANGELA

STANI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8618/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/11/2014 R.G.N. 5763/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Roma con sentenza resa pubblica in data 14/11/2014, dichiarava inammissibile l’appello proposto da D.M. quale titolare dell’omonima ditta, nei confronti di A.L.S.R. avverso la pronuncia emessa dal Tribunale di Tivoli con cui era stata accolta la domanda dell’ A., volta a conseguire il pagamento di differenze retributive e del T.F.R. in relazione al rapporto di lavoro subordinato intercorso fra le parti.

La Corte di merito, pur condividendo la tesi di parte appellante in ordine alla nullità della notifica del ricorso di primo grado da cui era scaturita la nullità degli atti successivi del giudizio e della sentenza, rilevato che detta pronuncia – emessa nei confronti della parte che versava in situazione di contumacia involontaria – era stata ritualmente ad essa notificata il 21/2/2010, accertava la tardività del gravame perchè interposto solo in data 20/6/2011, successivamente, quindi, al decorso del termine breve di impugnazione – oltre che del termine lungo sancito dall’art. 327 c.p.c., previsto dal codice di rito.

Avverso l’anzidetta pronuncia D.M. propone ricorso per cassazione sostenuto da plurimi motivi, successivamente illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c., ai quali resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si rimarca la contraddittorietà dell’iter motivazionale percorso daì giudici del gravame i quali avrebbero dapprima condiviso le critiche formulate in atto di appello in ordine alla nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio ed alla conseguente nullità della sentenza di prime cure, ritenendo tuttavia inammissibile l’appello perchè tardivamente formulato.

La Corte di merito avrebbe più propriamente “dovuto rimettere in termini l’appellante avendo dimostrato l’inammissibilità del giudizio di primo grado e la sua reale non conoscenza del procedimento”.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 159,227 c.p.c. e art. 119 disp. att. c.p.c..

Ci si duole che il giudice del gravame non abbia dato atto della circostanza che la nullità della notifica relativa all’atto introduttivo del giudizio ridondava in termini di nullità della sentenza appellata, con conseguente inesistenza giuridica del procedimento notificatorio del 22/2/2010.

Sarebbe stato, altresì, vulnerato il precetto di cui dell’art. 327 c.p.c., comma 2, laddove sancisce che la disposizione di cui al comma 1 sulla decadenza dalla impugnazione decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, non si applica quando la parte contumace dimostra di non avere avuto conoscenza della citazione o della notificazione di essa, e per la nullità della notifica degli atti di cui all’art. 292 c.p.c..

Si stigmatizza, infine, la pronuncia impugnata, per la omessa sottoscrizione del giudice relatore, in violazione dei dettami di cui all’art. 119 disp. att. c.p.c., essendo emerso che la sentenza recava esclusivamente la sottoscrizione del presidente e del giudice estensore.

4. Ragioni di ordine logico inducono ad esaminare con priorità la censura da ultimo formulata, che si palesa infondata per le ragioni di seguito esposte.

E’ noto, invero, che la sottoscrizione della sentenza è richiesta per il perfezionamento dell’atto ed è elemento essenziale perchè la sentenza sia riconoscibile come tale e ne sia palese la provenienza dal giudice che l’ha deliberata.

E’ principio altresì consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello in base al quale la sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del relatore) è affetta da nullità sanabile ai sensi dell’art. 161 c.p.c., comma 1, trattandosi di sottoscrizione insufficiente e non mancante, la cui sola ricorrenza comporta la non riconducibilità dell’atto al giudice (cfr. Cass. 20/5/2014 n. 11021) sicchè, convertendosi il vizio in motivo di impugnazione, ove fatto valere con ricorso per cassazione comporta che venga disposto, in caso di accoglimento, il rinvio ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, il quale procederà alla rinnovazione della decisione conclusiva del grado, ovvero, nella specie, ad una nuova pronuncia della sentenza (vedi Cass. 5/4/2017 n. 8817); ma siffatti principi non appaiono in alcun modo attagliarsi alla fattispecie qui scrutinata, in cui la sentenza risulta sottoscritta sia dal Presidente che dal Consigliere estensore ex art. 132 c.p.c., nè si prospetta alcuna questione che possa far dubitare della provenienza dal giudice che l’ha deliberata, chiaramente riconducibile sia al Presidente che al Consigliere estensore, indicato anche nella intestazione della sentenza, quale relatore.

Non versandosi in ipotesi di mancanza, nè di insufficienza di sottoscrizione della sentenza d’appello, la doglianza va pertanto, respinta.

5. Le ulteriori critiche articolate, che possono trattarsi congiuntamente siccome connesse, devono essere, del pari, disattese; non senza considerare che in sede di memoria illustrativa, il ricorrente ha proceduto ad una non consentita riformulazione dei motivi originariamente stilati in conformità ai dettami di cui ai nn. 5 (primo motivo) e 3 (secondo motivo nelle sue diverse articolazioni) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, prospettando violazione anche del n. 4, ed aggiungendo quale ulteriore motivo di doglianza, la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, sul rilievo che l’appello proposto era ammissibile oltre che meritevole di accoglimento.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’introduzione con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, di una questione che non ha formato oggetto del “thema decidendum” dibattuto in appello, per quanto risulti dalla sentenza impugnata così come nella specie, costituisce un inammissibile mutamento delle caratteristiche del fatto posto a fondamento della domanda (cfr. Cass. 26/2/2019 n. 5503). Si è infatti sostenuto che nel giudizio di legittimità non è consentito, con le memorie di cui all.’art. 378 c.p.c. e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis c.p.c., specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (vedi sul punto Cass. 22/2/2016 n. 3471). Da ciò consegue che tutte le richiamate argomentazioni,poste a fondamento della memoria, esulano da ogni possibile vaglio nella presente sede.

Esposte tali premesse, deve rimarcarsi che il cuore della decisione impugnata è da individuare nell’accertamento disposto dal giudice del gravame in ordine alla ritualità della notifica della pronuncia di primo grado, perfezionata presso la località (OMISSIS) ritenuta riconducibile al D., essendo lo stesso luogo nel quale questi aveva ricevuto l’atto di precetto dal quale era scaturita, secondo la sua stessa ricostruzione, la conoscenza del procedimento instaurato nei suoi confronti (vedi pag. 3 della sentenza). Dalla ricevuta versata in atti risultava infatti che l’appellante aveva apposto la propria firma, successivamente cancellata, lasciando decorrere, a seguito del lasciato avviso, il termine di compiuta giacenza, equivalente, per legge, a conoscenza dell’atto.

Muovendo da tale accertamento – che non è stato oggetto di alcuna specifica censura da parte ricorrente – la Corte distrettuale è pervenuta agli approdi oggetto di critica nella presente sede, e concernenti la idoneità della sentenza di primo grado, ritualmente notificata al D., a far decorrere il termine breve per proporre impugnazione.

Ed in tal senso ha mostrato di conoscere e condividere i principi più volte affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, in base ai quali in ipotesi di contumacia involontaria, la notifica della sentenza effettuata personalmente al convenuto contumace, in qualunque momento intervenuta, è idonea a far decorrere, dalla data della detta notifica, il termine breve di impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c., laddove solo in caso di omessa notifica della sentenza opera il termine decadenziale lungo di cui all’art. 327 c.p.c., decorrente dalla conoscenza successivamente acquisita della sentenza, ed assume rilievo la differenza tra nullità ed inesistenza della notifica dell’atto introduttivo del grado di giudizio al cui esito è stata emessa la sentenza da impugnare, con il conseguente diverso riparto dell’onere probatorio in punto di conoscenza della pendenza della lite (vedi ex plurimis, Cass. 23/1/2019 n. 1893, Cass. S.U. 22/6/2007 n. 14570).

La ricordata statuizione è del tutto priva delle contraddizioni addebitate, peraltro con incongruo riferimento al vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo il testo anteriore alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che è applicabile, invece, ratione temporis, alla fattispecie qui scrutinata.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è infatti denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (vedi ex plurimis, Cass. 17/5/2018 n. 12096).

Ma nella specie, come già ricordato, l’incedere argomentativo seguito dal giudice del gravame, è stato connotato da argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue laddove, pur dando atto della nullità della notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, ha ritenuto, in conformità al ricordato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che la pur fondata doglianza concernente la consequenziale nullità della sentenza impugnata, non potesse essere scrutinata in ragione della tardività dell’atto di gravame che di tale vizio recava denuncia, in quahto notificato oltre il termine breve di impugnazione sancito dall’art. 325 c.p.c.; termine che nello specifico era decorso, stante la conformità della procedura di notificazione della sentenza di primo grado alle disposizioni di legge in tema di perfezionamento del procedimento notificatorio nel caso di irreperibilità relativa del destinatario, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8.

g In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza, liquidate come da dispositivo.

Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15%. ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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