Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24365 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28165-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresentata e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato LUBERTO ENRICO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1282/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/10/2006 R.G.N. 1745/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI ROBERTO;

udito l’Avvocato CONTE ANDREA per delega LUBERTO ENRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 30.10.2006, rigettava l’appello della società avverso la sentenza del Tribunale di Firenze, che aveva accolto la domanda di A.L., dichiarando la nullità del termine apposto a contratto stipulato con la società Poste Italiane con decorrenza dal 8.10.1998 per esigenze eccezionali ex art. 8 c.c.n.l. 1994, e l’intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla stessa data, con condanna della società a corrispondere all’istante, a titolo risarcitorio, le retribuzione maturate dalla data di messa in mora del 16.7.2002.

Propone ricorso la società, affidando l’impugnazione a tre motivi.

Resiste l’ A. con controricorso ed entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente denunzia violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Asserisce la natura non negoziale, ma meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto, degli accordi successivi a quello del 25.9.1997, rilevando che la norma contrattuale non deve necessariamente avere una efficacia temporale e che assume significato, a fini interpretativi, anche il comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione del patto collettivo oggetto di interpretazione, aggiungendo che occorreva pertanto verificare unicamente la permanenza del fenomeno di ristrutturazione invocato a fondamento dell’apposizione del termine. Pone, a conclusione della parte argomentativa del motivo, specifico quesito, domandando se, in virtù della delega in bianco contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23, l’autonomia sindacale investita di funzioni paralegislative non incontra limiti ed ostacoli di sorta nella tipologia dei nuovi contratti a termine in relazione alle ipotesi che ne legittimano la conclusione per cui gli accordi successivi a quello del 25.9.1997 non hanno natura negoziale, ma meramente ricognitiva, e se la norma contrattuale debba necessariamente prevedere una specificazione della causale collettiva in una causale individuale.

Con il secondo motivo denuncia la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rilevando che l’interpretazione del contratto deve essere condotta non fermandosi al senso letterale delle espressioni usate, dovendo valutarsi il comportamento delle parti anche successivo alla conclusione del contratto e pone quesito di diritto domandando se il sistema delineato dalla legge preveda la necessità che – ove le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza tale da capovolgere il rapporto tra la regola generale dell’assunzione a tempo indeterminato e l’assunzione a termine – la norma contrattuale debba necessariamente avere una efficacia temporale limitata.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione al combinato disposto degli artt. 414 e 434 c.p.c., assumendo che sia onere del lavoratore dimostrare di non essere stato occupato nel periodo successivo alla scadenza del contratto, ad esempio a mezzo delle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi successivi alla scadenza del contratto a termine eventualmente dichiarato illegittimo e di altra eventuale documentazione (libretti del lavoro, buste paga).

Assume che l’aliunde perceptum non può che essere dedotto genericamente dall’istante e che dovrebbe essere onere del lavoratore dimostrare di non essere stata occupato nel periodo in questione e pone quesito di diritto, domandando se, nel caso di oggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a supporto delle proprie domande o eccezioni – e, segnatamente, per la prova dell’aliunde perceptum – il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto.

I primi due motivi di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente, per la evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, devono essere respinti.

Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali… – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo.

Quanto al terzo motivo, deve affermarsene la inammissibilità, atteso che il relativo quesito risulta del tutto generico e astratto, mancando qualsiasi riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato.

Il quesito, invero, si presenta non correttamente formulato, anche perchè risulta in buona parte estraneo alle argomentazioni sviluppate e come tale inammissibile.

Infine, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere dalla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Alla soccombenza della società consegue, per il principio della soccombenza, che le spese di lite del presente giudizio siano poste a carico della stessa.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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