Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24362 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 30/09/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 30/09/2019), n.24362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8830-2014 proposto da:

CADAM – CONSORZIO AGRARIO D’ABRUZZO E MOLISE, (già CONSORZIO AGRARIO

D’ABBRUZZO, già CONSORZIO AGRARIO INTERPROVINCIALE CHIETI-PESCARA),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio dell’avvocato

STEFANO NOTAMUZI, rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO

CINQUE;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, EMANUELE

DE ROSE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1457/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 23/12/2013 R.G.N. 357/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

il Consorzio Agrario d’Abruzzo propose appello avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Chieti aveva dichiarato inammissibile l’opposizione (in quanto tardivamente esperita) alla cartella esattoriale contenente l’intimazione di pagamento della somma di Euro 10.754,27 per contributi relativi alla posizione lavorativa di I.A. per il periodo maggio 2005 – marzo 2006, lavoratrice rispetto alla quale era stato configurato in sede ispettiva un rapporto di lavoro subordinato in luogo di quello dichiarato di subagenzia;

nel contraddittorio dell’Inps la Corte d’appello dell’Aquila (sentenza del 23.12.2013) ha rigettato l’impugnazione dopo aver rilevato che doveva ritenersi sufficientemente provato che tra il Consorzio e la I. era intercorso un rapporto di lavoro subordinato;

per la cassazione della sentenza ricorre il Cadam – Consorzio Agrario d’Abruzzo e Molise (già Consorzio Agrario d’Abruzzo, già Consorzio Agrario Interprovinciale Chieti – Pescara) con cinque motivi, illustrati da memoria;

resiste con controricorso l’Inps, anche in rappresentanza della società di cartolarizzazione dei crediti (S.C.C.I) S.p.A..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. col primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per nullità della sentenza, contraddittorietà ed incoerenza della motivazione, il ricorrente Consorzio lamenta che non è dato comprendere come la Corte di merito abbia potuto ritenere “non contestate” dal ricorrente le risultanze del verbale ispettivo dopo aver essa stessa riconosciuto il contrario nella parte iniziale dell’impugnata sentenza;

2. il motivo è infondato, in quanto la contestazione degli accertamenti ispettivi cui si riferisce l’odierno ricorrente altro non è che il richiamo operato dalla Corte d’appello, nella parte descrittiva del fatto del processo, alle affermazioni dell’appellante a sostegno del gravame, mentre dalla lettura complessiva della parte motivazionale della sentenza emerge in maniera chiara che la stessa Corte, nell’esaminare proprio le censure del ricorrente, approda al convincimento, adeguatamente motivato ed immune da vizi di ordine logico-giuridico, della loro infondatezza; infatti, la Corte d’appello ha avuto modo di spiegare adeguatamente che all’esito dell’istruttoria svolta era emersa la sostanziale mancanza di una contestazione dei dati fattuali risultanti dal verbale di accertamento della Direzione Provinciale del Lavoro di L’Aquila del 27.6.2007, dati, questi, che avevano consentito di appurare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in luogo di quello semplicemente dichiarato di subagenzia;

3. col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per nullità della sentenza, contraddittorietà ed incoerenza della motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha ritenuto provata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sulla base della testimonianza di B.N. il quale aveva, invece, affermato che la I. svolgeva attività di subagente;

4. col terzo motivo, proposto per violazione degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c., la difesa del Consorzio contesta il ricorso fatto dalla Corte di merito alle presunzioni semplici per arrivare ad affermare la sussistenza, nella fattispecie, di un rapporto di lavoro subordinato, mentre, vertendosi in materia di obblighi contributivi, sarebbe stato esclusivo onere dell’Inps fornire la prova dei fatti costitutivi del suo credito;

5. col quarto motivo, dedotto per vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si contesta il fatto che la Corte d’appello, nell’affermare la natura subordinata del rapporto in esame, abbia insistito sulle circostanze del coinvolgimento della I. nell’attività dell’agenzia e della percezione da parte della medesima di un compenso fisso mensile, trascurando la circostanza della partecipazione della lavoratrice al corso di formazione;

6. col quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per nullità della sentenza dovuta a motivazione apparente, il ricorrente lamenta l’esame superficiale, da parte della Corte territoriale, dell’istruttoria e degli atti di causa in maniera tale da non consentire di comprendere su quale elemento di prova la medesima ha fondato il suo convincimento sulla ravvisata sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato;

7. il secondo ed il quinto motivo, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili in quanto, anche se prospettati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per nullità della sentenza ricondotta a contraddittorietà o apparenza della relativa motivazione, contengono, in realtà, censure volte ad una mera rivisitazione del materiale istruttorio adeguatamente scrutinato dalla Corte d’appello;

8. infatti, attraverso tali motivi il ricorrente lamenta, da un lato, che la Corte d’appello ha ritenuto provata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sulla base della testimonianza di B.N., il quale aveva, a suo dire, affermato che la I. svolgeva attività di subagente, e, dall’altro, che le conclusioni cui è giunta la Corte di merito scaturiscono da un esame superficiale degli esiti dell’istruttoria e degli atti di causa;

9. com’è dato ben vedere l’oggetto di tali doglianze non implica una questione di nullità della sentenza o del procedimento, ma attiene propriamente al sindacato sul libero convincimento del giudice che, invece, nella fattispecie è adeguatamente supportato da una motivazione che sfugge ai rilievi di legittimità;

10. infatti, la Corte d’appello, rifacendosi ai dati fattuali non contestati del verbale di accertamento ispettivo del 27.6.2007, ha posto bene in evidenza che la I. operava stabilmente all’interno dell’agenzia generale F.A.T.A., osservando gli orari di quest’ultima, occupandosi stabilmente anche dei compiti amministrativi e contabili propri dell’agenzia (avvisi per le polizze in scadenza, compilazione e spedizione delle c.d. decadi, incasso delle quietanze e dei premi, interrogazioni al terminale, sostituzione dell’altro dipendente B.N., etc.) e percependo un compenso fisso mensile pari ad Euro 500,00, oltre alle provvigioni per gli affari conclusi, circostanze, queste, risultate confermate all’esito della prova testimoniale e riscontrate pure da altri indizi gravi precisi e concordanti;

11. parimenti inammissibile è il quarto motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per asserito omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: infatti, con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Quindi, nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Ma è evidente che nella specie la verifica della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento, come già illustrati in precedenza;

12. è, infine, infondato il terzo motivo sul contestato utilizzo delle presunzioni semplici ai fini della verifica della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, sia perchè, come emerge dalla sentenza, le stesse sono state considerate dalla Corte d’appello in aggiunta agli altri elementi di prova, sia perchè il loro accertamento non è censurabile in cassazione se sorretto, come nella fattispecie, da motivazione immune da vizi logici (v. al riguardo Cass. sez. 1, n. 20671 del 25.10.2005);

13. la Corte territoriale ha, infatti, chiaramente spiegato a tal riguardo che nulla risultava allegato e dimostrato dall’appellante in ordine alla sostanziale coincidenza tra l’attività svolta dal dipendente B. e quella espletata dalla subagente I., allo stabile inserimento di quest’ultima nell’organizzazione produttiva dell’agenzia generale, alla proprietà dei mezzi di produzione in capo all’agente e non anche alla subagente, al fatto che non era stato neanche allegato che la I. avesse mai aperto una partita IVA, che si fosse iscritta alla CCIAA ed avesse versato la contribuzione quale lavoratrice autonoma; egualmente non risultava minimamente allegato che l’attività eseguita dalla I. avesse avuto ad oggetto lo svolgimento a favore del preponente di un’attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con autonoma scelta dei tempi e dei modi della prestazione e con propria organizzazione di mezzi ed assunzione del rischio d’impresa (sostanzialmente escluso dalla presenza di un compenso fisso);

14. in definitiva il ricorso va rigettato; le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo; ricorrono i presupposti per la condanna del Consorzio soccombente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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