Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24362 del 29/10/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 24362 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: DIDONE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 17889-2009 proposto da:
ZANICHELLI

CORRADO

(c.f.

ZNCCRD54B07I845C),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 42,
presso l’avvocato GIORGIANNI FRANCESCO, che lo

Data pubblicazione: 29/10/2013

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO
FRATI, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

FALLIMENTO GESPA S.P.A., in persona del Curatore
dott. RENATO ZANI, elettivamente domiciliata in

1

NOM – VIA’ CASSIODORO 9, presso l’avvocato NUZZO

*

MARIO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GABRIELLI GIOVANNI, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente-

PERNIS PIERLUIGI;
– intimato contro

MILANO

ASSICURAZIONI

S.P.A.

(C.F./P.I.

00957670151), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LEONE IV 99, presso l’avvocato FERZI CARLO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PAGNUTTI MARIO, giusta procura speciale per Notaio
dott. ALESSIO CIOFINI di FIRENZE – Rep.n. 22074 del
15.9.2009;
– resistente –

sul ricorso 17973-2009 proposto da:
PERNIS PIERLUIGI,

contro

elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SISTINA 42, presso l’avvocato GIORGIANNI
FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato TEDESCHI GUIDO UBERTO, giusta procura
a margine del ricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

2

contro

FALLIMENTO GESPA S.P.A., in persona del Curatore
dott. RENATO ZANI, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA CASSIODORO 9, presso l’avvocato NUZZO
MARIO, che la rappresenta e difende unitamente

margine del controricorso al ricorso incidentale;
– controricorrente al ricorso incidentale contro

ZANICHELLI CORRADO;
– intimato contro

MILANO

ASSICURAZIONI

S.P.A.

(C.F./P.I.

00957670151), anche nella qualità di incorporante e
successore a titolo universale della La Previdente
Assicurazioni

S.p.a.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99, presso
l’avvocato FERZI CARLO, che la rappresenta e

all’avvocato GABRIELLI GIOVANNI, giusta procura a

difende unitamente all’avvocato PAGNUTTI MARIO,
giusta procura speciale per Notaio dott. ALESSIO
CIOFINI di FIRENZE – Rep.n. 22075 del 15.9.2009;
– resistente –

avverso la sentenza n. 163/2009 della CORTE
D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 24/04/2009;

3

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 02/10/2013 dal Consigliere
Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato GIORGIANNI
FRANCESCO che ha chiesto l’accoglimento del

udito, per il controricorrente Fallimento GESPA,
l’Avvocato NUZZO MARIO che ha chiesto
l’inammissibilità, in subordine rigetto del
ricorso;
udito, per la resistente Milano Ass.ni, l’Avvocato
LIUZZI GIANFRANCO, con delega, che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’inammissibilità dei ricorsi, comunque infondati.

ricorso;

4

Ritenuto in fatto e in diritto
1.- Con sentenza non definitiva del 31.7.2001 il
Tribunale di Udine, pronunciando sulla domanda proposta
dal curatore del fallimento della s.p.a. Gespa, accertò e

dichiarò la responsabilità dei componenti del consiglio
di amministrazione e del collegio sindacale della società
fallita in carica a partire dal 31.12.1988 per i danni
cagionati alla società ed ai creditori sociali per
effetto della mancata adozione dei provvedimenti previsti
dall’art. 2447 c.c. e della protrazione della attività
sociale oltre la predetta data e, in esito
all’istruttoria; con sentenza definitiva del 29.12.2005
(per quanto ancora interessa), condannò – tra gli altri Zanichelli Corrado e Pernis Pierluigi in solido tra loro
a risarcire al fallimento Gespa s.p.a. i danni cagionati
alla società in violazione dei doveri inerenti la loro
qualità di sindaci, complessivamente liquidati in euro
601.286,89, oltre interessi e rivalutazione, nonché la
Milano Assicurazioni s.p.a. – chiamata in garanzia – a
rimborsare allo Zanichelli quanto lo stesso era tenuto a
corrispondere al fallimento attore, esclusa la franchigia
di euro 2.582,28 e fino alla concorrenza di euro
258.228,45 e al Pernis quanto lo stesso era tenuto a
corrispondere al fallimento attore esclusa la franchigia
5

di euro 2.582,28 e fino alla concorrenza di euro
258.228,45, provvedendo sulle spese.
In sintesi, il Tribunale ha ritenuto, con riferimento
alla prosecuzione dell’attività dopo il 31.12.1988 – data
alla quale la Gespa s.p.a. aveva perduto tutto il

capitale sociale, circostanza dissimulata
dall’annotazione in contabilità della fattura datata
29.12.1988 ) dell’importo di lire 2.500.000.000, emessa nei
confronti della Coges s.r.l. ed attinente ad
un’operazione inesistente la responsabilità di
amministratori e sindaci in carica a partire dal
31.12.1988 (imputando ai sindaci soltanto il danno
riferibile al periodo intercorrente tra il 7.2.1989 ed il
10.6.1989, e cioè tra la data dell’ultima verifica della
contabilità sociale e la data del fallimento).
Con la sentenza impugnata (depositata il 24.4.2009) la
Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza di
primo grado, rigettando l’appello principale proposto da
Zanichelli e Pernis e dichiarando inammissibile l’appello
incidentale della s.p.a. Milano Assicurazioni.
In particolare, la corte di merito – rilevato che non
appariva necessario procedere all’integrazione del
contraddittorio nei confronti, tra l’altro, del terzo
sindaco Anedda, che risultava «avere definito
transattivamente la ‘vertenza con la curatela, come
6

emerso dagli atti concernenti il procedimento ex art. 351
e 283 c.p.c.>> – ha disatteso le censure degli appellanti
principali in punto di: a) sussistenza di ragioni di
responsabilità in capo ai sindaci; b) pretesa
insussistenza di perdite risarcibili; c) pretesa natura

di debito di valuta propria del credito risarcitorio; d)
sproporzione tra il valore della causa e misura della
condanna alle spese.
2.- Contro la sentenza di appello Zanichelli Corrado e
Pernis Pierluigi hanno proposto distinti ricorsi per
cassazione affidati a quattro motivi.
Resiste
,

con

distinti

controricorsi

la

curatela

fallimentare intimata.
La società assicuratrice intimata non ha notificato
controricorso limitandosi a depositare procura speciale a
nuovo difensore.
I ricorsi – proposti contro la medesima sentenza – son
stati riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. la difesa del
ricorrente Pernis ha depositato memoria.
2.1.- I motivi di ricorso formulati dai due ricorrenti conclusi da quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c..
applicabile ratione temporis – denunciano violazioni di
norme di diritto e vizi di motivazione sostanzialmente
sovrapponibili – come evidenziato anche dal P.G. in
7

udienza

e

possono,

quindi,

essere

esaminati

congiuntamente.
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano
violazione falsa applicazione di norme di diritto (artt.
2403, 2404, 2405, 2406 e 2407 c.c. – nella formulazione

previgente, applicabile ratione temporis) nonché vizio di
motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità e
deducono – in estrema sintesi – che l’accertamento della
responsabilità di cui all’art. 2407, comma 2, cod. civ.
(nel testo previgente al d.lgs. n. 6 del 2003) e lo
stabilire se, nel caso di appropriata vigilanza dei
sindaci, il danno si sarebbe ugualmente prodotto o meno,
importa un giudizio ipotetico da condurre con valutazione
ex ante dei fatti, ricostruendone il loro sviluppo
normale secondo indici di comune esperienza
plerumque accidit)

(id quod

e considerando quali sono, di regola,

gli effetti di un controllo diligente in relazione alle
circostanze del caso. Deducono, ancora, di avere fornito
la prova (liberatoria) di aver vigilato con diligenza e
ciò esclude che il fatto costitutivo dell’azione (i fatti
o le omissioni degli amministratori) possa di per sé
essere produttivo della responsabilità di cui all’art.
2407, coma 2, cod. civ. La circostanza, poi, che gli
amministratori abbiano di fatto impedito la vigilanza dei
sindaci, dolosamente occultando con artifici la stessa
8

esistenza di operazioni attive rilevanti e decisive per
l’equilibrio patrimoniale della società, e per tale via
in grado di occultare l’intervenuta perdita del capitale
sociale, esclude che possa ritenersi sussistente la
responsabilità dei sindaci per la obiettiva

impossibilità, dovuta a causa non imputabile ex art. 1218
cod. civ., di assolvere ai ridetti obblighi di vigilanza.
La corte di merito non avrebbe fatto un uso corretto
della cd. presunzione semplice di cui all’art. 2729 cod.
civ. e avrebbe negato che fosse stata fornita
dimostrazione

delle

allegazioni

degli

appellanti,

omettendo di considerare chiare, univoche e decisive
risultanze documentali regolarmente acquisite agli atti
di causa: a) la fattura Coges – alla data del 7.2.1989 non era stata registrata nel registro IVA mentre non era
scaduto il termine di sessanta giorni per l’annotazione
in contabilità; b) la fattura non costituiva un fatto in
sé anomalo se rapportata ai ricavi per oltre lire
17.000.000.000 risultanti dal bilancio depositato dal
consulente tecnico d’ufficio; c) l’importo della fattura
Coges era compensato in parte da quello della fattura, di
segno contrario, di lire 1.800.000.000, pure stornata,
unitamente alla prima, soltanto a fine aprile 1989.
Deducono, poi, che la deliberazione /

da parte della

società di un aumento di capitale in grado di sanare lo
9

squilibrio patrimoniale della stessa ed il contestuale
versamento dei tre decimi da parte del nuovo socio a mani
degli amministratori nel corso dell’assemblea
straordinaria ed alla presenza dei sindaci, doveva essere
ritenuta rilevante ai fini di escludere la responsabilità

dei sindaci stessi ex art. 2407, comma 2, cod. civ.,
perché essa avrebbe rafforzato la legittima e ragionevole
convinzione dei medesimi che le condizioni patrimoniali
della società fossero in sostanziale equilibrio,
nonostante che l’aumento di capitale non fosse stato in
seguito omologato e i tre decimi del capitale
sottoscritto non fossero stati versati dagli
amministratori nelle casse sociali.
2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano vizio
di motivazione e violazione di norme di diritto (art.
2449 cod. civ. – nella formulazione vigente all’epoca dei
fatti). Deducono che la motivazione adottata dal giudice
di appello, laddove la stessa, per la sua laconicità e
per l’essere formulata in termini di mera adesione, anche
con il ricorso alla pedissequa trascrizione della
relativa parte motiva della sentenza di primo grado, non
consente in alcun modo di ritenere che all’affermazione
di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di
appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione
di infondatezza dei motivi di gravame. Deducono che ai
10

sensi dell’art. 2449 cod. civ. (nel testo previgente al
D.Leg. n. 6 del 2003), deve ritenersi lecito il
completamento di attività in corso destinate al miglior
esito della liquidazione e, così, in particolare, non
possono considerarsi nuove operazioni le spese di

manutenzione ordinaria e conservazione dei beni di terzi
detenuti dalla società, le spese di pulizia, quelle per
le prestazioni professionali di elaborazione paghe e
contributi del personale e quelle inerenti la raccolta di
rifiuti, nonché le spese pubblicitarie e ancora di
imballaggio e trasporto dei beni oggetto di contratti
conclusi in epoca antecedente la data di ritenuta perdita
del capitale.
Deducono che la liquidazione equitativa del danno ai
sensi dell’art. 1226 cod. civ. presuppone la già
accertata sussistenza dell’illecito, oltre ad una congrua
ed adeguata motivazione vuoi in ordine alle ragioni che
inducono il giudice a ritenere impossibile o grandemente
difficile la prova in questione, vuoi circa il concreto
processo logico e valutativo di quei dati attraverso i
quali si è giunti, e con quale sufficiente
approssimazione, alla liquidazione stessa e, in presenza
di operazioni che risultino avere data antecedente quella
di ritenuta perdita del capitale ovvero non risultino
avere data certa e/o concretamente individuata, una
11

corretta applicazione ed interpretazione degli artt.
2449, comma l, e 1226 cod. civ., esclude che gli effetti
delle operazioni medesime siano presi in considerazione,
sia pure in via equitativa, ai fini della determinazione
del danno imputabile ad amministratori e sindaci, atteso

che per tale via non appare possibile dimostrare la
sussistenza del nesso di causalità tra la condotta
materiale (compimento di nuove operazioni) e l’evento di
danno, che solo avrebbe permesso, anche in assenza di
prove riguardanti l’esatta quantificazione del
pregiudizio, la predetta liquidazione equitativa”. In
particolare, in presenza di sanzioni tributarie irrogate
in epoca successiva alla data di accertata responsabilità
dei sindaci per la ritenuta perdita del capitale, ma
relative ad obbligazioni tributarie insorte prima di tale
stessa data, delle stesse non deve tenersi conto ai fini
della determinazione del danno imputabile ai sindaci
stessi, secondo una corretta applicazione ed
interpretazione degli artt. 2407 e 2449, comma 1, cod.
civ.
Lamentano, infine, che non si sia tenuto conto di tutti
gli incassi comunque effettuati dalla società nel periodo
rilevante ex art. 2449 c.c. e dei risultati delle azioni
revocatorie aventi ad oggetto la cessione di merci,
nonché dei crediti liquidi ed esigibili
12

ingiustificatamente

non

azionati

dalla

curatela

fallimentare.
2.3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 ss. c.c.
e relativo vizio di motivazione. Deducono che, qualora in

corso di causa uno dei condebitori solidali stipuli con
il creditore una transazione, anche laddove non ricorrano
le condizioni affinché gli altri condebitori profittino
della transazione ex art. 1304 cod. civ., si riduce
l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota
transatta, con il conseguente scioglimento del vincolo
solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i
quali pertanto rimangono obbligati nei limiti della loro
quota. Deducono che il giudice, reso edotto in corso di
causa della transazione stipulata da uno dei condebitori
solidali, deve limitare la condanna e, in caso si tratti
di Giudice d’appello, la conferma della sentenza di primo
grado nei confronti dei soggetti rimasti in giudizio, al
pagamento della sola parte dell’obbligazione che a questi
ultimi avrebbe fatto carico nei rapporti interni con
l’altro condebitore stipulante.
2.4.- Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 cod. civ.
nonché vizio di motivazione e deducono che, qualora la
liquidazione del danno da fatto illecito contrattuale sia
13

effettuata per equivalente, con riferimento, cioè, al
valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del
fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in
termini monetari che tengano conto della svalutazione
intervenuta fino alla data della decisione definitiva, il

risarcimento anche del mancato guadagno spetta al
danneggiato a condizione che risulti dimostrato che il
ritardato pagamento della suddetta somma abbia in
concreto provocato un pregiudizio al danneggiato, e ciò
sulla base delle allegazioni probatorie del danneggiato
stesso, ovvero mediante ricorso da parte del giudice a
criteri presuntivi ed equitativi, quale l’attribuzione
degli interessi a un tasso stabilito, valutando tutte le
circostanze obiettive e soggettive del caso.
4.- Va preliminarmente rilevato, in ordine all’integrità
del contraddittorio, verificabile d’ufficio, che questa
Corte ha di recente puntualizzato che «l’azione di
responsabilità, promossa contro gli organi della società
ai sensi dell’art. 2393 cod. civ., instaura un’ipotesi di
litisconsorzio facoltativo, ravvisandosi un’obbligazione
solidale passiva tra gli amministratori ed i sindaci
(salvo allorché l’accertamento della responsabilità di
uno di essi presupponga necessariamente quella degli
altri, come nel caso di imputazione per omessa vigilanza),
con la conseguenza che, in caso di azione originariamente
14

rivolta contro una pluralità di amministratori e sindaci
di una società, essi non devono necessariamente essere
parti in ogni successivo grado del giudizio, neppure nel
caso in cui, in presenza di una transazione raggiunta tra
la società ed alcuni tra i convenuti, riguardante le

quote di debito delle parti transigenti ed avente
l’effetto di sciogliere anche il vincolo di solidarietà
passiva, si renda necessario graduare la responsabilità
propria e degli altri condebitori solidali nei rapporti
interni,

all’esito di un accertamento che dovrà

necessariamente riferirsi, in via incidentale, anche alle
condotte tenute dalle parti transigenti>> (Sez.
Sentenza n.
n.

7907 del 18/05/2012; cfr. Sez. U, Sentenza

30174 del 30/12/2011).

La Corte di merito

come sopra evidenziato – ha

correttamente applicato il principio enunciato da questa
Corte rilevando che non appariva necessario procedere
all’integrazione del contraddittorio nei confronti, tra
l’altro, del terzo sindaco Anedda, che risultava «avere
definito transattivamente la ‘vertenza con la curatela,
come emerso dagli atti concernenti il procedimento ex
art. 351 e 283 c.p.c.>>, pur non avendo da tale rilievo
tratto la conseguenza per la quale, ove la transazione
stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori
solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del
15

condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito
gravante sugli altri debitori in solido si riduce in
misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore
che ha transatto se costui ha versato una somma pari o
superiore alla sua quota ideale di debito mentre, se il

pagamento è stato inferiore alla quota che faceva
idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo
transattivo, il debito residuo gravante sugli altri
coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota
di chi ha transatto (Sez. U, Sentenza n. 30174 del
30/12/2011). Violazione giustamente dedotta con il terzo
motivo dai ricorrenti.
5.- La sentenza impugnata (di cui appare opportuno
riportare le parti essenziali per consentire di cogliere
i vizi di motivazione denunciati), per la parte relativa
alla responsabilità dei sindaci, ha evidenziato che il
tribunale l’aveva ritenuta sussistente affermando «la
sussistenza …di una violazione, quanto meno colposa dei
loro doveri di controllo almeno a partire dal 7.2.1989,
data dell’ultima verifica da loro effettuata sulla
contabilità sociale»: «Tardivo e del tutto
insufficiente ad escludere la loro responsabilità è il
telegramma del 3.6.1989 con il quale è stata intimata
agli amministratori la esibizione della bozza di bilancio
non ancora predisposta, non foss’altro perché il bilancio
16

dell’esercizio 1988 avrebbe dovuto essere approvato entro
il 30 aprile o, in via alternativa, i sindaci avrebbero
dovuto essere informati delle “particolari esigenze” che
impedivano la convocazione dell’assemblea entro il
termine previsto dal secondo comma dell’art. 2364 c.c.”;

rilevando, inoltre che “..a partire dalla fine del 1988 i
sindaci hanno omesso le prescritte verifiche trimestrali
e, pur avendo partecipato alle riunioni del consiglio di
amministrazione fino al 31.5.1988 (recte: 1989?), nulla
hanno osservato in merito alla contabilizzazione della
fattura emessa nei confronti della Coges s.r.l. e
soprattutto della successiva nota di accredito, che
determinava lo storno dalle componenti attive dello stato
patrimoniale di un importo sufficiente ad alterare
grandemente l’equilibrio finanziario della società ed a
far dubitare della permanenza delle condizioni per la sua
operatività”.
In particolare, poi, quanto ai motivi di appello, la
Corte di merito ha osservato che:
<>.
6.- Alle questioni poste dalle censure di violazione di
norme di diritto formulate dai ricorrenti sono
applicabili i principi di recente enunciati da questa
Corte secondo cui «sussiste la violazione del dovere di
vigilanza, imposto ai sindaci dal secondo comma dell’art.
2407 cod. civ., con riguardo allo svolgimento, da parte
degli amministratori, di un’attività protratta nel tempo
al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, tale da
21

coinvolgere un intero ramo dell’attività dell’impresa
sociale: al fine dell’affermazione della responsabilità
dei sindaci, invero, non occorre l’individuazione di
specifici comportamenti dei medesimi, ma è sufficiente il
non avere rilevato una così macroscopica violazione, o

comunque di non avere in alcun modo reagito ponendo in
essere ogni atto necessario all’assolvimento
dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede,
anche segnalando all’assemblea le irregolarità di
gestione riscontrate o denunziando i fatti al P.M., ove
ne fossero ricorsi gli estremi, per consentire
all’ufficio di provvedere ai sensi dell’art. 2409 cod.
civ., in quanto può ragionevolmente presumersi che il
ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di
farlo per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli
amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare
(o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della
condotta gestoria>> (Sez. l, Sentenza n. 22911 del
11/11/2010).
D’altra parte, non risulta smentito l’orientamento meno
recente,

espressamente

richiamato

impugnata e risalente a Sez.

l, n.

il

del

quale

l’accertamento

dalla

sentenza

2538/2005, secondo
nesso

causale

è

«indispensabile per l’affermazione della responsabilità
dei sindaci in relazione ai danni subiti dalla società
22

come

effetto

del

loro

illegittimo

comportamento

omissivo>>, a tal fine occorrendo accertare che «un
diverso e più diligente comportamento dei sindaci
nell’esercizio dei loro compiti (tra cui la mancata
tempestiva segnalazione della situazione agli organi di

vigilanza esterni) sarebbe stato idoneo ad evitare le
disastrose conseguenze degli illeciti compiuti dagli
amministratori>>.
Invero, i principi da cui è retto il risarcimento del
danno civile impongono «l’individuazione di un preciso
nesso di causalità tra il comportamento illegittimo di
cui taluno è chiamato a rispondere e le conseguenze che
ne siano derivate nell’altrui sfera giuridica, e
richiedono che di tale nesso sia fornita la prova da
parte di chi il risarcimento invoca>> (Sez. 1, n.
2538/2005) e tali principi assumono particolare
importanza nella concreta fattispecie, nella quale si
imputa ai ricorrenti una responsabilità concorrente con
quella degli amministratori per violazione dell’art. 2449
cod. civ. (nel testo previgente al d.lgs. n. 6 del 2003),
per il compimento di nuove operazioni vietate (ossia atti
gestori diretti non a fini liquidatori, e quindi alla
trasformazione delle attività societarie in denaro
destinato al soddisfacimento dei creditori e, nei limiti
del residuo, dei soci, ma al conseguimento di fini
23

diversi, pur essendo lecito il completamento di attività
in corso destinate al miglior esito della liquidazione:
cfr. Sez. 1, Sentenza n. 3694/2007)

limitatamente al

periodo successivo al 7.2.1989.
Ciò perché dall’ispezione eseguita in quella data i

dalla

fatturazione

dell’operazione

riguardi della Coges e

“soprattutto”

inesistente

sindaci avrebbero dovuto rilevare l’anomalia costituita
nei

(cfr. motivazione

del tribunale, fatta propria da quella di appello) dalla
«successiva nota di accredito, che determinava lo storno
dalle componenti attive dello stato patrimoniale di un
importo sufficiente ad alterare grandemente l’equilibrio
finanziario della società ed a far dubitare della
permanenza delle condizioni per la sua operatività>>.
Ora, anche ai fini della determinazione del danno
imputabile alla stregua dei criteri seguiti dalla stessa
sentenza impugnata, un conto è che l’anomalia potesse
emergere sin dal 7 febbraio 1989 (ma su ciò v. oltre le
osservazioni circa la registrazione in contabilità) e un
altro è che

“soprattutto”

dall’operazione di storno

dovesse emergere l’anomalia, posto che i ricorrenti
deducono (senza che la circostanza sia stata contestata)
che lo storno è avvenuto nel mese di aprile del 1989. Sì
che non si può ritenere sussistente a far tempo dal 7
febbraio una responsabilità

“soprattutto” per non avere
24

rilevato una determinata operazione posta in essere in
aprile (operazione di cui, comunque, non è controversa la
natura fittizia).
Del pari poco chiara è la sentenza impugnata là dove (v.
sopra .5 5 sub b) implicitamente rimprovera ai sindaci di

non avere richiesto la stampa dei dati contenuti
nell’elaboratore, pure implicitamente supponendo che
contenesse l’annotazione dell’operazione inesistente,
fatturata, però, con numero successivo all’ultima fattura
inserita nel registro IVA (V. § 5 sub c). Ciò tenuto
conto che la stessa sentenza considera il termine di 60
giorni previsti per l’annotazione dall’art. 22 del DPR
600/1972 e che tale termine, in relazione alla fattura
emessa il 29.12.1988, scadeva ben oltre la data del 7
febbraio. Né appare irrilevante l’anomalia riconosciuta
dalla stessa Corte di appello, costituita da ciò che il
registro IVA vendite risultava <> la
circostanza <>. Ché sfugge
il significato di adeguatezza della prova circa
l’esistenza di un’operazione commerciale di cui, per
converso, si menziona – senza dare atto trattarsi di
indicazioni di fantasia o senza negarne espressamente
l’esistenza nei libri contabili – la data, l’importo,
l’indicazione dei contraenti e il numero della fattura.
La sentenza impugnata ha attribuito rilievo preminente a
quella operazione e dalla motivazione non emerge se le
altre circostanze evidenziate (… <>) fossero da sole
sufficienti a far emergere, sin dal 7 febbraio 1989, la
perdita del capitale sociale.
26

Infine, quanto alla delibera di aumento del capitale
sociale (v. § 5, sub f), va ricordato il principio per il
quale «in tema di riduzione del capitale sociale per
perdite, la mera deliberazione di aumento del capitale
non è idonea a modificare la situazione contabile della

società e dunque il verificarsi della causa di
scioglimento di cui all’art. 2448, n. 4, cod. civ. e la
conseguente responsabilità degli amministratori ai sensi
dell’art. 2449 – sin quando le nuove azioni non siano
sottoscritte (e pagate almeno nella misura percentuale
minima prescritta dalla legge)» (Sez. l, Sentenza n.
13503/2007).
La sentenza impugnata, nel riportare la motivazione di
quella del tribunale, afferma (a pag. 22) che «il
17.5.1989 l’assemblea straordinaria della Gespa s.p.a.,
informalmente convocata, aveva deliberato l’aumento del
capitale sociale da uno a quattro miliardi, detta
delibera non aveva mai avuto esecuzione e lo stesso
versamento dei tre decimi da parte del nuovo socio
Finalba Group s.r.1., asseritamente effettuato mediante
assegno postale, non risultava essere mai stato
accreditato sui conti delle società o altrimenti
pervenuto nelle casse sociali».
Ora, se è certo che la delibera – in quanto non eseguita
– non poteva scriminare gli amministratori, tuttavia, ai
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fini della responsabilità concorrente dei sindaci (e,
nella concreta fattispecie, al fine di determinare i
danni imputabili a far tempo dall’una o dall’altra data)
non può non giovare, in ipotesi, ai predetti, la
circostanza della convocazione dell’assemblea, della

sociale, la sottoscrizione dell’aumento di capitale da
parte di nuovo socio (Finalba Group s.r.1.) e il
versamento dei tre decimi, essendo il mancato versamento
della somma nelle casse sociali imputabile agli
amministratori.
Sono mancati tutti gli accertamenti innanzi evidenziati,
talché si impone un nuovo esame da parte del giudice del
merito anche alla luce dei principi di diritto sopra
richiamati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in
motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia per
nuovo esame e per il regolamento delle spese del giudizio
di legittimità, alla Corte di appello di Trieste in
diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2
ottobre 2013

positiva adozione della delibera di aumento del capitale

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