Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24361 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28114-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato DE MARINIS NICOLA, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.R.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4030/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/11/2006 R.G.N. 1495/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega DE MARINIS NICOLA;

udito l’Avvocato SERGIO VACIRCA per delega RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso in via principale per la sospensione

in attesa decisione Corte Costituzionale, in subordine rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 3.11.2006, con riferimento a contratto a termine stipulato tra D.R.F. e la s.p.a. Poste Italiane, con decorrenza dal 1.6.2001 sino al 30.9.2001, per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di ristrutturazione, nonchè a fronte della necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto e l’intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla prima delle date suindicate e condannava la società appellata a risarcimento del danno con decorrenza dal 12.7.2002, rilevando che la individuazione di una pluralità di cause giustificatrici dell’apposizione del termine al contratto fosse illegittima e ritenendo assorbita ogni altra questione.

Propone ricorso la società affidato a quattro motivi.

La D.R. si è costituita con controricorso ed entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 56 del 1987, art. 23, all’art. 25 c.c.n.l. 11.1.2001; agli artt. 1362 e ss.

c.c. ed alla L. n. 230 del 1962, art. 3, evidenziando la pienezza della delega di cui al primo degli articoli citati in favore della contrattazione collettiva, delega in bianco a suo dire negata immotivatamente dal giudice del gravame. Richiama, a sostegno della doglianza, giurisprudenza della Corte di legittimità che esclude la necessità di collegamento causale specifico tra assunzione ed esigenze di carattere straordinario, laddove la Corte di merito aveva rilevato un limite atto a circoscrivere l’ambito di operatività delle ipotesi di ricorso a contratti a termine individuate in sede collettiva e formula quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., domandando se sia necessario che in seno al contratto venga specificata una causale che consenta di ricollegare eziologicamente l’assunzione con le generali esigenze la cui sussistenza è stata già individuata in sede collettiva e se sia necessario, quindi, fornire la dimostrazione del nesso causale.

Nel secondo motivo, riferito alle esigenze di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie, la società ricorrente denunzia l’avvenuta violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. c.c.n.l. 11.1.2001 e dell’art. 1367 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice di merito negato la possibilità di indicazione di doppia causale a fondamento della apposizione del termine e pone corrispondente quesito di diritto.

Sotto il profilo dell’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, con il terzo motivo, la società ribadisce le censure di cui al precedente motivo sulla possibilità di concorrenza di due ragioni giustificative della clausola appositiva del termine e con il quarto lamenta la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con particolare riguardo alla ritenuta idoneità della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione ai fini della messa in mora, concludendo la esposizione del motivo in oggetto con la formulazione di quesiti con i quali chiede affermarsi che, per il principio di corrispettività, il lavoratore ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riassunzione, salvo che abbia costituito in mora il datore offrendo espressamente la prestazione nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1202 e ss. cod. civ. e domanda se, per il medesimo principio, il lavoratore abbia diritto alle retribuzioni per l’intervallo in cui non ha reso la prestazione e se dalle somme dovute siano da detrarre i ricavi percepiti o percepibili, che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa.

Il primo motivo risulta inammissibile in quanto inconferente, atteso che con lo stesso si censura la sentenza sotto il profilo della ritenuta necessità, da parte del giudice del gravame, di un collegamento specifico della causale del contratto con le esigenze richiamate, laddove la motivazione della pronunzia impugnata si incentra esclusivamente sulla ritenuta confliggenza delle due causali reputate inidonee, in quanto indicate congiuntamente, a stabilire la reale effettiva ragione della specifica assunzione a termine.

Il secondo ed il terzo motivo, che vanno trattati congiuntamente, stante la medesima tematica affrontata, vanno accolti. Sul punto, va rilevato che “l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è in sè causa di illegittimità del termine per contraddittorietà o incertezza della causa giustificatrice dello stesso” (v. Cass. 17-6- 2008 n. 16396), per cui deve ritenersi che la Corte territoriale sia incorsa nel vizio denunziato laddove ha omesso di esaminare le causali richiamate, giudicando invalida la apposizione del termine alla stregua di una duplicità di ragioni addotte, potendo, al contrario le stesse, per quanto detto, essere idonee entrambe a giustificare l’apposizione del termine, ove risulti che la fattispecie concreta effettivamente ricada nella previsione contrattuale e risultino rispettate anche le regole sul contingentamento, a fronte di eventuale eccezione in tal senso formulata.

Il quarto motivo deve dichiararsi complessivamente inammissibile, atteso che il primo dei quesiti riguardante la mora crederteli risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4.1.2011 n. 80 e Cass. 29.4.2011 n. 9583).

Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve, infatti, essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5.1.2007 n. 36), dovendo, pertanto, ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. In particolare, “deve comprendere l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo” e “la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v. Cass. 30.9.2008 n. 24339).

Del resto, è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla corretta fattispecie” (v.

Cass. S.U. 30.10.2008 n. 26020), dovendo il quesito integrare (in base alla sola lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7.4.2009 n. 8463).

Inoltre, nella fattispecie anche la esposizione della censura risulta del tutto generica e priva di autosufficienza, in quanto si incentra nella doglianza circa l’asserita mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, trascurando che la sentenza impugnata, dopo avere richiamato la necessità di una messa a disposizione del datore di lavoro della prestazione lavorativa in termini chiari ed inequivocabili, ha espressamente affermato che “la situazione di mora per la società appellata si è verificata con l’invio della comunicazione relativa al tentativo obbligatorio di conciliazione (pervenuta il 17.6.2002)” e che “in detta comunicazione la lavoratrice non si è limitata a richiamare la richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione, ma ha espressamente dichiarato di essere a disposizione della società Poste ai fini della riammissione in servizio precisando altresì di costituire in mora la società datrice di lavoro”. Nel censurare tale statuizione, infatti, la ricorrente, anzichè lamentare genericamente una mancata verifica della messa in mora, avrebbe dovuto innanzitutto, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, riportare il contenuto della detta lettera (che secondo il suo assunto non avrebbe integrato una costituzione in mora), specificando, poi, sotto quali profili la decisione impugnata sarebbe stata censurabile.

Parimenti, per quanto concerne l’aliunde perceptum, il quesito sub 2), relativo alla seconda censura del quarto motivo, risulta assolutamente generico, risolvendosi soltanto nella enunciazione astratta del principio invocato dalla ricorrente, come tale inidonea, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (v. fra le altre Cass. 24339/2008 cit., nonchè Cass. 20.6.2008 16941). Del resto, anche la relativa censura risulta del tutto generica e astratta e priva di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta.

Nè potrebbe ritenersi ammissibile in questa sede la doglianza (ignorata nel quesito) relativa al mancato accoglimento delle richieste (peraltro meramente esplorative) di informazioni all’UPLMO e di esibizione dei modelli 740 della lavoratrice (sulla prima v.

Cass. 15.2.2011 n. 3720, Cass. 27.6.2003 n. 10219, sulla seconda v.

Cass. 16.11.2010 n. 23120, Cass. 29.10.2010 n. 22196, Cass. 23.2.2010 n. 4375, Cass. 2.2.2006 n. 2262, nonchè Cass. 20.12.2007 n. 26943).

La sentenza va, pertanto, cassata in relazione al secondo ed al terzo motivo accolti e il giudice del rinvio, designato in dispositivo, dovrà procedere ad ulteriore esame, nel corso del quale, con riferimento alla seconda delle causali richiamate in contratto, dovrà uniformarsi alle decisioni di questa Suprema Corte, che hanno ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla previsione collettiva contenuta nell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie ed interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività sia costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, senza alcun obbligo di indicazione nel contratto individuale del nominativo del dipendente da sostituire.

Il giudice di appello, è tenuto a provvedere anche alle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa al sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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