Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24361 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 03/11/2020), n.24361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10254/2019 proposto da:

C.O., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Natale Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 27/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal cons. Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 27.02.2019, respingeva il ricorso proposto da C.O., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

Il Tribunale di Napoli riteneva che le dichiarazioni rese dal richiedente non fossero attendibili e che la Commissione avesse correttamente valutato l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle situazioni soggettive invocate per ottenere la protezione internazionale.

Il richiedente aveva raccontato di essere musulmano e di etnia (OMISSIS), assumendo di aver vissuto nel villaggio di (OMISSIS) ((OMISSIS)); di essere fuggito il 12 maggio 2016 dal (OMISSIS) per timore di subire violenze dal padre che, in quanto (OMISSIS), non accettava la sua fede religiosa; che alla morte della madre, all’età di otto anni, si era trasferito con i fratelli dalla nonna che successivamente si era convertita alla fede musulmana; che alla morte della nonna, faceva ritorno alla casa paterna dove iniziavano i contrasti con il padre. Il richiedente precisava ancora che anche i fratelli erano musulmani e che erano andati a vivere presso l’abitazione di una sorella sposata.

La Commissione aveva respinto la domanda in quanto il richiedente avrebbe potuto invocare la protezione statale contro il padre e che comunque come i fratelli avrebbe potuto trasferirsi in un altro villaggio, escludendo altresì l’esistenza nell’area geografica di provenienza di una situazione di violenza indiscriminata rilevante ex art. 14, lett. C) D.Lgs. n. 251 cit.

Il tribunale partenopeo respingeva la domanda di protezione evidenziando le contraddizioni e l’incoerenza del colloquio nonchè la carenza dei presupposti della protezione umanitaria.

C.O. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

Il ministero dell’interno si è costituito per la partecipazione all’udienza.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il decidente escluso il riconoscimento della protezione internazionale, violando il principio secondo il quale il convincimento del giudice non può fondarsi sulla sola credibilità soggettiva del richiedente, sussistendo l’onere del giudice di verificare d’ufficio la credibilità delle dichiarazioni sulla base delle informazioni esterne relative alla situazione del paese di provenienza; dissentiva dalle conclus’ioni del decidente, affermando al contrario la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni rese, mentre il collegio aveva valutato solo l’incoerenza di alcuni elementi secondari (dettagli) della narrazione.

3. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il Collegio escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, violando il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto non aveva attivato il potere di acquisire informazioni attendibili sulla situazione del paese di provenienza. Nel caso all’esame, fonti internazionali, ad avviso del ricorrente, descriverebbero la presenza di gruppi armati nella zona di provenienza del richiedente che attesterebbe la sussistenza di una grave situazione di pericolo per la sua incolumità, all’uopo citando eventi e notizie risalenti all’anno 2015 ovvero a date imprecise (giorno e mese senza l’indicazione dell’anno) che concernono la situazione creatasi sotto la precedente dittatura.

4. Con la terza censura, si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; nonchè la nullità del decreto ex art. 360 c.p.c., n. 4; per avere il tribunale escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, sulla base della non credibilità della versione fornita dal richiedente alla Commissione; deduce altresì il vizio di motivazione apparente, non avendo il tribunale considerato le condizioni del ricorrente, quali la giovane età, la buona integrazione sociale in Italia, il pericolo di essere sottoposto a trattamenti disumani, l’instabilità politica del (OMISSIS).

5.La prima censura è infondata.

Secondo un recente indirizzo di legittimità, inaugurato da Cass. 2954/2020 e seguito da Cass. n. 8810/2020 e da Cass. n. 11925 del 19/06/2020, cui il collegio presta convinta adesione, il dovere di cooperazione istruttoria, nelle due forme di protezione cd. “maggiori”, non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma si colloca in un rapporto di stretta connessione logica (anche se non in una relazione di stretta e indefettibile subordinazione) rispetto alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile.

Il principio che le inattendibili dichiarazioni del richiedente non richiedono approfondimento istruttorio officioso rileva ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Difatti è in relazione alla massima protezione ed ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, che la valutazione di credibilità soggettiva (all’esito di una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda; Cass. n. 21142/2019) costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento; sicchè le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018) dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794). Salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, incombendo al giudice l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa ed attuale conoscenza della complessiva situazione dello Stato di provenienza, al fine di accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. n. 871 del 2017; Cass. n. 19716/2018).

Nel caso all’esame, il Tribunale ha rilevato che il richiedente avrebbe potuto sottrarsi alle angherie del padre trasferendo la sua dimora, come avevano fatto i fratelli; affermando l’inverosimiglianza della narrazione per non avere il ricorrente offerto spiegazioni sulle origini della sua fede religiosa, sul periodo in cui sarebbe avvenuta la conversione religiosa, sugli accadimenti durante l’anno in cui ha vissuto con il padre, sulla circostanza che il giovane non rammenti alcunchè delle pratiche religiose seguite quando ancora era in vita la madre; sulle motivazioni per le quali il padre avrebbe indirizzato la sua ira solo nei suoi confronti e non anche degli altri figli. Aggiungendo che le notizie acquisite (Report on International Religoius Freedom The (OMISSIS) 2017, USDOS 2018 su ecoi.net) testimoniano che in (OMISSIS) i rapporti tra musulmani e cristiani sono sereni, tanto da essere caratterizzati da matrimoni interreligiosi frequenti. Oltre alla inverosimiglianza intrinseca del racconto, quindi, il Collegio ne ha rilevato le contraddizioni con la situazione socio-politica del (OMISSIS), dove non sono riscontrabili conflitti tra musulmani e cristiani.

Quanto alla doglianza secondo la quale il giudice avrebbe affermato l’inattendibilità complessiva del richiedente asilo, rispetto ad alcuni secondari dettagli, violando il principio del beneficio del dubbio (Cass. 16028/2019), si rammenta che il D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3 dispone che: “Qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.

Tuttavia, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sull'”id quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese; non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a) medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza (cfr. Cass. n. 20580 del 31/07/2019).

Da ciò consegue che: a) la norma non potrà mai dirsi violata sol perchè il giudice del merito abbia ritenuto inattendibile un racconto o inveritiero un fatto; b) non sussiste un diritto dello straniero ad essere creduto sol perchè abbia presentato la domanda di asilo il prima possibile o abbia fornito un racconto circostanziato; c) il giudice è libero di credere o non credere a quanto riferito secondo il suo prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass. n. 6897/2019; 11925 del 19/06/2020), giacchè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda tutti gli aspetti significativi della domanda (art. 3, comma 1) e si riferisce, come risulta dall’art. 3, comma 3, lett. b), c), d) e comma 4 D.Lgs. cit., a tutti i profili di danno grave considerati dalla legge come condizionanti il riconoscimento della protezione sussidiaria. Il che significa che solo se tale valutazione non deriva da un esame effettuato in conformità con i criteri stabiliti dalla legge è denunciabile in cassazione – con riguardo all’esame medesimo – la violazione delle relative disposizioni, la cui sussistenza viene ad incidere “a monte” sulle premesse della valutazione di non credibilità, travolgendola non per ragioni di fatto ma di diritto. Qualora lo scrutinio risulti essere stato effettuato con il metodo indicato dalla specifica normativa attuativa di quella di origine UE e, quindi, in conformità della legge, essa può dare luogo ad un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, come tale censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (tra le tante: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340, n. 13944/2020; n. 11925/2020). Violazione che il ricorrente non può limitarsi ad allegare mediante un generale contrasto del giudizio complessivo formulato dal giudice di merito, dovendosi escludere che abbia rilievo l’ammissibilità di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. n. Cass. n. 3340/2019; 33858 del 2019; N. 3340 del 2019; N. 8819 del 2020; Cass. n. 11924/2020).

Nella fattispecie, il giudicante ha, peraltro, operato correttamente, considerando non certamente l’inattendibilità dei profili marginali della vicenda narrata, ma considerando complessivamente l’inverosimiglianza della narrazione, neppure riscontrabile nella situazione socio-politica del (OMISSIS); a fronte di dette argomentazioni parte ricorrente si è limitata, da un lato ad una generica affermazione di plausibilità della narrazione compiuta dal richiedente, veicolando la critica sotto il paradigma del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., dall’altro a ridimensionare le contraddizioni. evidenziate dal Tribunale, senza offrire una plausibile lettura alternativa delle incongruenze riscontrate.

6. Anche la seconda censura non appare meritevole di accoglimento.

Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) la “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

In particolare, la protezione sussidiaria, disciplinata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha come presupposto la presenza, nel Paese di origine, di una minaccia grave e individuale alla persona, derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, il cui accertamento, condotto d’ufficio dal giudice in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, “deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente” (Cass. n. 8819/2020); l’indagine d’ufficio non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Sez. 5 1, 24/05/2019, n. 14283; Sez.6-1, 25/07/2018, n. 19716; Sez.6-1, 28/06/2018, n. 17069; Sez.6-1, 16/07/2015, n. 14998). Questa Corte ha affermato che la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. Sez. 6-1, 17/04/2018, n. 9427; sez. I n. 2954/2020; n. 18306 e 9090 del 2019; Corte giust. 17/2/2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30/1/2014, C 285/12, Diakitè).

Nel caso di specie, le fonti attinte dal giudice di merito, compiutamente indicate alle pagine 8 e 9 del decreto impugnato, smentiscono il contenuto delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo quanto alla limitazione dei diritti fondamentali e alla sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata; scongiurando l’eventualità dell’esposizione a pericolo per l’incolumità fisica del richiedente. Infatti, risulta dalle fonti informative menzionate dal Tribunale che dopo l’elezione democratica del nuovo Presidente sono stati rilasciati 171 prigionieri detenuti senza processo, è stata istituita una Commissione guidata dal Ministero della giustizia per indagare sulle sparizioni; sono state assunte iniziative politiche per rientrare nell’orbita del Commonwealt, abbandonato dal dittatore, per migliorare le condizioni di vita della popolazione; sono state abrogate due leggi repressive della libertà di stampa e di espressione; libertà di stampa pratica già dal 2017. Pertanto, la censura relativa alla dedotta violazione del c.d. dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 risulta smentita dall’assolto onere di cooperazione dal decidente.

Con riferimento alla critica che attinge la valutazione operata dal primo collegio avente ad oggetto la situazione di pericolo in cui verserebbe il richiedente in caso di reimpatrio, vale osservare che lo stabilire quale sia il livello di violenza esistente nel paese di provenienza del richiedente (se basso, alto o “eccezionale”) è questione di fatto che deve essere “valutata dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda” Di conseguenza, lo stabilire in punto di fatto se in un determinato paese esista o non esista una condizione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato che generi un grave pericolo per il ricorrente è un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, profilo nel caso di specie non prospettato. Il risultato di tale indagine può essere censurato, quindi, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018; Cass. n. 11936/2020).

In ogni caso, non va sottaciuto che quanto alle liti tra privati (per ragioni proprietarie, familiari, ecc.), questa Corte con ordinanza n. 09043/2019 esclude che possano essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi, per l’appunto, di “vicende private” estranee al sistema di protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello status di rifugiato (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria (art. 2, lett. g). Ciò in quanto l’art. 5 decreto cit. individua chi sono – e devono essere – i responsabili della persecuzione o del danno grave, sicchè per ricomprendere le cd. vicende private tra le cause di persecuzione o danno grave, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, occorrerebbe valorizzare oltremisura il riferimento ai “soggetti non statuali” indicati nell’art. 5, lett. c. Tuttavia – si argomenta in motivazione – detti soggetti non statuali sono considerati responsabili della persecuzione o del danno grave solo “se “può essere dimostrato che…”: (cfr. art. 6 della direttiva n. 2004/83/CE) i responsabili di cui alle lett. a), e b) (vale a dire lo Stato e le organizzazioni internazionali) non possono o non vogliono fornire protezione”, a fronte di atti persecutori e danno grave non imputabili direttamente ai medesimi “soggetti non statuali”. Pertanto – si conclude un’interpretazione che, facendo leva sul generico riferimento del legislatore ai “soggetti non statuali”, faccia assurgere le controversie tra privati (o la mancata o inadeguata tutela giurisdizionale offerta dal Paese per la risoluzione delle stesse) a cause idonee e sufficienti a integrare la fattispecie persecutoria o del danno grave, verrebbe a porsi in rotta di collisione con il principio secondo cui “i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave” (consid. 26 della direttiva n. 2004/83/CE).

Nel caso all’esame, in assenza di allegazioni relative all’assenza di tutela da parte degli organi statuali, la censura deve essere disattesa.

7.L’ultima censura è infondata.

In primo luogo deve rilevarsi che la pronuncia delle S.U. 29459 del 2019 ha definitivamente affermato che alle domande (e, conseguentemente, ai giudizi) in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 si applica il sistema legislativo preesistente relativo alla tutela di carattere umanitario e non opera la sopravvenuta abrogazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e, da ultimo, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 13.11.2019), che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Il Tribunale ha motivato il rigetto della domanda di protezione umanitaria sulla base della complessiva inattendibilità del racconto del richiedente, inidoneo a dare adeguata contezza di uno sradicamento qualificato nel territorio di origine, tale da profilare una specifica situazione di vulnerabilità in caso di rientro. In ogni caso, la verifica dell’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, esige che il ricorrente abbia indicato i fatti costitutivi del diritto azionato e fornito gli elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza, (Cass. n. 13573/2020; 21123 del 2019; n. 7622 del 2020; n.. 8819 del 2020; S.U. n. 29459 del 2019). In assenza di allegazioni. in merito alle situazioni di vulnerabilità e al livello di integrazione, il motivo deve essere disatteso.

Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva. Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

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