Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24360 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28112-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato DE MARINIS NICOLA, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4960/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/11/2006 R.G.N. 3189/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega DE MARINIS;

udito l’Avvocato SERGIO VACIRCA per delega RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7.11.2006, la Corte di Appello di Roma confermava la pronunzia di primo grado di accoglimento della domanda proposta da D.M.A., con la quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto a contratto di lavoro stipulato con la S.p.a. Poste Italiane con decorrenza dal 2.3.2000 sino al 30.6.2000, per esigenze derivanti dai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in attesa della realizzazione dell’equilibrio delle risorse umane sul territorio nazionale.

Rilevava la Corte territoriale che la ragione giustificatrice del contratto a termine doveva avere riguardo, pur nell’ambito dell’ipotesi aggiuntiva prevista dal c.c.n.l., a circostanze concrete che riguardassero il caso singolo e non a circostanze di carattere generico e che le Poste non avevano dato dimostrazione alcuna del fatto che la ristrutturazione aziendale, per quanto complessa, avesse reso necessaria l’assunzione specifica del D.M. in quella sede territoriale e nello specifico ufficio.

La società propone ricorso per la cassazione di tale pronunzia, fondato su tre motivi.

Resiste con controricorso il D.M., rilevando, in particolare, che la questione dell’efficacia temporale del c.c.n.l. era rimasta assorbita in virtù della motivazione adottata dal giudice del gravame. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, la società deduce la violazione e la falsa applicazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2, nonchè della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che alcun limite temporale è rinvenibile nella L. n. 56 del 1987 e che la delega conferita all’autonomia collettiva (art. 23 legge citata) abbia inteso ampliare l’impiego del contratto a tempo determinato senza indicazione di limiti temporali, sia pure imponendo il rispetto della percentuale di cui alla cd.

clausola di contingentamento. Formula, all’esito della parte argomentativa, preciso quesito, domandando se il potere dei contraenti collettivi di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, stabilito dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, può essere esercitato senza limiti di tempo, tenuto conto che la suddetta legge non prevede alcun limite temporale al riguardo.

Con il secondo motivo, denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 56 del 1987, art. 23, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss., ex art. 360 c.p.c., n. 3, e la contraddittorietà ed omissione di pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), evidenziando l’irrilevanza ed erroneità della limitazione causale affermata dalla Corte di merito, essendo sufficiente la previsione collettiva a legittimare la stipulazione, nonchè l’efficacia meramente ricognitiva degli accordi attuativi. Domanda se costituisca violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, nonchè degli artt. 1362 e ss. c.c., ovvero violazione dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, così come integrato dall’accordo sindacale del 25.9.1997, avere subordinato la legittimità del contratto a termine in oggetto alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione del dipendente. Infine, lamenta la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 1217 e 1233 c.c., assumendo, con riguardo alla mora accipiendi, che se la costituzione in mora non è integrata dalla domanda di annullamento del licenziamento, a maggior ragione la stessa non può identificarsi nella istanza di tentativo obbligatorio di conciliazione e, con riferimento all’aliunde perceptum, domandando se, per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – abbia diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituto in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e ss. c.c..

I primi due motivi vanno trattati congiuntamente, attenendo all’efficacia temporale della previsione collettiva richiamata ed alla portata della delega conferita dalla legge alle parti sociali.

Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali… – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998 e che la società non ha assolto all’onere probatorio relativo alla necessaria correlazione tra le esigenze dedotte (perdurare della situazione ancora in atto in ordine al processo di ristrutturazione e della necessità di riequilibrio su tutto il territorio nazionale delle risorse umane, nonchè della necessità di introduzione di nuovi servizi) e le specifiche necessità per lo svolgimento delle mansioni del D. M..

La ricorrente deduce che l’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, così come integrato dall’accordo 25-9-97, subordinava la sua applicazione unicamente all’esistenza di un processo di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali dell’azienda, per cui l’interpretazione di tale accordo compiuta dalla Corte territoriale risulta viziata oltre che dall’erronea lettura della L. n. 56 del 1987, art. 23, che ha condizionato, viziandola irrimediabilmente, anche la successiva esegesi della disciplina contrattuale, anche dall’autonoma e concorrente violazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. (ed in particolare del criterio letterale e del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione).

Il motivo non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1- 2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470).

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove, però, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo (tale considerazione è stata ritenuta assorbita dalla Corte di Roma in ragione della ritenuta necessità della prova del collegamento concreto della assunzione de qua con la ristrutturazione in atto).

Quanto al terzo motivo, deve affermarsene la inammissibilità, atteso che il relativo quesito risulta del tutto generico e astratto, mancando qualsiasi riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato.

Il quesito, invero, si presenta non correttamente formulato, anche perchè risulta in buona parte estraneo alle argomentazioni sviluppate e come tale inammissibile.

Infine, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere dalla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

La soccombenza della società costituisce valido motivo per porre le spese di lite del presente giudizio a carico della stessa.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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