Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2436 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2436

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13036-2018 proposto da:

V.D., quale erede con beneficio d’inventario di

M.G.N., elettivamente domiciliata in ROMA, V. GARIGLIANO 11,

presso lo studio dell’avvocato NICOLA MAIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO SESTA;

– ricorrente –

contro

LA STELLA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 96, presso lo

studio dell’avvocato ANNAMARIA RIZZO, rappresentata e difesa dagli

avvocati COSIMO GUAGLIANONE, ANTONIA DE NICOLO’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1599/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello, con sentenza n. 1599/2017, – pronunciata in un giudizio promosso dalla società La Stella S.r.l., nei confronti della Ditta M. Metalmeccanica di G.N.M., al fine di sentirla condannare al pagamento di quanto indebitamente riscosso, in quanto parte del compenso spettante all’attrice, per l’esecuzione di lavori per opere edili ed idrauliche, di manutenzione straordinaria di edifici scolastici, conferiti in appalto dal Comune di Monopoli all’ATI costituita tra le due imprese, – ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, con la quale la Ditta M. era stata condannata al pagamento in favore della La Stella S.r.l. di 4.712,50 (a fronte di una ben maggiore somma richiesta in citazione), in forza del titolo azionato, oltre interessi legali, ed, in accoglimento di riconvenzionale della convenuta (a cui danno era stato anche eseguito un provvedimento di sequestro conservativo, azionato ante causam, revocato in seguito a reclamo, per assenza del periculum in mora), aveva condannato l’attrice La Stella S.r.l. al pagamento in favore della Ditta M. di somma a titolo di risarcimento del danno conseguito al sequestro (per mancata disponibilità di somme di denaro, stante la misura cautelare eseguita) ed al pagamento di Euro 15.000,00, ex art. 96 c.p.c., comma 3, con compensazione tra le parti delle spese processuali nella misura di un terzo. La Corte d’appello ha parzialmente accolto il gravame della La Stella, ritenendo, all’esito dell’esame dell’istruttoria (espletata con consulenza tecnica preventiva, interrogatorio formale e prove testimoniali), che fosse stata dimostrata l’esecuzione da parte dell’appaltatrice, oltre della fornitura di 29 condizionatori già positivamente vagliata in primo grado, anche la messa in opera ed installazione di quelli e di altri apparecchi, con conseguente debenza da parte della M. dell’importo complessivo di Euro 21.155,75; la Corte territoriale ha poi confermato la statuizione concernente il danno liquidato in primo grado a titolo di risarcimento del danno conseguente all’immobilizzo di somme di denaro della Ditta M., in forza dell’esecuzione del sequestro, solo riformandola in punto di interessi di mora dovuti, spettando gli interessi al tasso legale e non a quello individuato dal D.P.R. n. 231 del 2002, ex art. 5; la Corte d’appello ha infine revocato la condanna della società La Stessa al pagamento dell’importo di Euro 15.000,00, a titolo di responsabilità aggravata, rilevando che la sanzione processuale prevista dall’art. 96 c.p.c., comma 3, era stata introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12, e trovava applicazione, della citata L., ex art. 58, comma 1, nei soli giudizi introdotti dal 4 luglio 2009 (mentre, nella specie, la citazione era del 2007). In punto di spese, la Corte di merito ha dichiarato, stante la reciproca soccombenza, compensate per un terzo le spese del doppio grado di giudizio, condannando la M. al pagamento dei residui due terzi in favore della La Stella, liquidati in Euro 9.358,00, per il primo grado, ed in Euro 7.230,00, per il grado di appello.

Avverso suddetta sentenza, la sig.ra V.D., quale erede di M.G.N., titolare della Ditta individuale M., propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; resiste con controricorso la La Stella S.r.l.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art.

380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., per non aver la Corte d’Appello considerato che il danno da lite temeraria può essere liquidato non solo ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, ma anche ai sensi dei primi della suddetta Disp., commi 1 e 2; 2) con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, e art. 5, comma 2, per aver la Corte d’Appello errato nella determinazione del valore della causa, dovendosi avere riguardo all’importo liquidato all’esito del giudizio; 3) con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, per non avere la Corte d’Appello correttamente valutato la misura della compensazione delle spese.

2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto non pertinente al decisum.

La Corte d’appello ha riformato la statuizione in ordine alla condanna per lite temeraria dell’importo di Euro 15.000,00, revocando la statuizione di condanna dell’attrice La Stella. Tale importo, infatti, era stato liquidato in primo grado, sulla base dell’art. 96 c.p.c., comma 3, per avere, come si legge nella sentenza qui impugnata, l’attrice La Stella “amplificato la propria domanda”.

La Corte d’appello, in accoglimento di un motivo di gravame della La Stella, ha rilevato che tale disposizione non può essere applicata alla controversia in esame, introdotta nel 2007, in quanto entrata in vigore nel 2009 e che la stessa legge prevede la sua applicazione ai giudizi instaurati successivamente alla sua entrata in vigore. La ricorrente, tuttavia, lamenta che la condanna per lite temeraria non era giustificata solo dall’applicazione dell’art. 96, comma 3, ma poteva essere disposta anche sulla base della stessa disposizione, degli altri due commi, (che contemplano la condanna per responsabilità aggravata nei casi di dolo o colpa grave ovvero, limitatamente alle ipotesi di procedura cautelare e di quella esecutiva, ove sia accertata l’inesistenza del diritto a tutela del quale è stata attuata la misura cautelare ovvero esecutiva e ricorra il difetto di normale prudenza).

Ma la Corte d’appello ha, in ogni caso, altresì affermato che la condanna al risarcimento per responsabilità aggravata “contrastava con la parziale soccombenza e la disposta compensazione delle spese processuali”, così avendo effettuato una valutazione che escludeva l’esistenza di una responsabilità aggravate anche ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1m disposizione che presuppone la soccombenza totale del responsabile.

Peraltro, in primo grado, era stato riconosciuto un risarcimento del danno patito dalla Ditta M. in conseguenza del sequestro conservativo eseguito ai suoi danni, con statuizione sostanzialmente confermata in appello, nulla statuendosi in ordine alla responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 1, (che postula, peraltro, la soccombenza totale e non parziale) e non risulta che la Ditta M. avesse proposto un motivo di appello al riguardo.

Il motivo difetta quindi anche di autosufficienza.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

La ricorrente lamenta il fatto che la Corte d’Appello avrebbe errato nel liquidare le spese in conseguenza di una errata valutazione del valore della controversia.

Il D.M. n. 55 del 2014, art. 5, comma 2, afferma che “Nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata”. Questa Corte ha chiarito che “L’art. 6, comma 1, quarto periodo, della tariffa forense, approvata con D.M. n. 55 del 2014, secondo cui, nei giudizi civili per pagamento di somme di denaro, la liquidazione degli onorari a carico del soccombente deve effettuarsi avendo riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata, si riferisce all’accoglimento, anche parziale, della domanda medesima, laddove, nell’ipotesi di rigetto di questa (cui deve assimilarsi ogni altra ipotesi di diniego della pronuncia di merito), il valore della controversia è quello corrispondente alla somma domandata dall’attore” (Cass. n. 15857/2019).

Tuttavia nella specie doveva essere considerato anche il valore della domanda riconvenzionale, in parte accolta (e non emerge che essa fosse stata in toto qualificata come domanda di risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.).

Inoltre, la liquidazione delle spese del primo grado, quando sia compiuta dal giudice d’appello che abbia riformato la sentenza impugnata dinanzi a lui, deve avvenire in base all’esito complessivo della lite (Cass. 9064 /2018).

Ora, come chiarito da questa Corte (Cass. 15172/2003; Cass. 22983/2014), “il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio “in iudicando” e, pertanto, per l’ammissibilità della censura, è necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimità, senza dover espletare un’ammissibile indagine sugli atti di causa”.

La ricorrente si è limitata a dedurre che, dovendosi applicare il D.M. n. 55 del 2014, e lo scaglione ricompreso tra “Euro 5.200,00 ed Euro 26.000”, essendo stata condannata la M. al pagamento della somma complessiva di Euro 21.155,75, gli importi liquidati, considerata la parziale compensazione per un terzo, per il primo ed il secondo grado, supererebbero i massimi tariffari, calcolati in una tabella riepilogativa, a pag. 13 del ricorso, invece in Euro 4.835,00 per il primo grado ed in Euro 3.777,00 per l’appello.

Difetta quindi, anche in considerazione della complessa istruttoria di primo grado (che ha comportato anche le fasi della consulenza tecnica preventiva, del sequestro e di un procedimento per regolamento di competenza in relazione ad ordinanza ex art. 295 c.p.c., di sospensione del giudizio, come eccepito anche dalla controricorrente, in difetto di specifica contestazione sul punto), la specifica illustrazione del passaggio relativo alla concreta violazione dei limiti tariffari.

4. Il terzo motivo è inammissibile.

Il giudice di secondo grado ha stabilito la compensazione delle spese nella misura di un terzo. Il ricorrente lamenta che tale proporzione sarebbe errata, in considerazione del fatto che la condanna è stata per una parte corrispondente al quinto della cifra originariamente richiesta dall’appellante.

Questa Corte ha già chiarito che “la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente” (Cass. n. 30592/2017; Cass. 2149/2014). La valutazione quindi è rimessa interamente al giudice di secondo grado ed è insindacabile in sede di legittimità.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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