Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24359 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 03/11/2020), n.24359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8695/2019 proposto da:

T.L., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Natale Luigi, giusta procura in calce al ricorso:

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 18/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal cons. Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1 Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 18.02.2019, respingeva il ricorso proposto da T.L., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

Il Tribunale di Napoli riteneva che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo non fossero attendibili e che la Commissione avesse correttamente valutato l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle situazioni soggettive invocate per ottenere la protezione internazionale. T.L. aveva raccontato di essere stato costretto a lasciare la (OMISSIS) nel marzo 2016 perchè avendo accidentalmente incendiato la proprietà limitrofa a quella in cui lavorava, temeva di essere ucciso per l’accaduto; di aver raggiunto l’Italia il 2 settembre 2016.

Il tribunale partenopeo respingeva la domanda di protezione evidenziando le contraddizioni e l’incoerenza del colloquio oltre all’assenza di contestazioni specifiche al provvedimento di rigetto della Commissione. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi.

Il ministero dell’interno si è costituito per la sola partecipazione all’udienza.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il decidente escluso il riconoscimento dello status di rifugiato, violando il principio secondo il quale il convincimento del giudice non può fondarsi sulla sola credibilità soggettiva del richiedente, sussistendo l’onere del giudice di verificare d’ufficio la credibilità della narrazione sulla base delle informazioni esterne relative alla situazione del paese di provenienza; assumendo che solo nell’ipotesi di fumus persecutionis relativa specificamente al richiedente, la decisione può essere fondata anche su elementi di valutazione personale quali la credibilità delle dichiarazioni dell’interessato.

Argomentando ulteriormente in ordine all’onere del giudice di acquisire informazioni sul contesto socio politico del paese di rientro sulla base delle fonti di informazioni indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 o in mancanza acquisendo i dati da altri canali informativi. Non potendo l’incoerenza delle dichiarazioni su fatti secondari escludere di per sè la credibilità del richiedente, atteso che in detta materia vige il principio del cd. onere probatorio attenuato e dell’officiosità dei poteri istruttori del giudicante.

3.Con la seconda censura, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il Collegio escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, violando il dovere di cooperazione istruttoria, non avendo attivato il potere di acquisire informazioni attendibili sulla situazione del paese di provenienza. Nel caso all’esame, fonti internazionali descriverebbero la presenza di un conflitto generalizzato e di instabilità politica, caratterizzata altresì dalla compressione dei diritti fondamentali.

4.Con l’ultimo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; eccependo altresì la nullità del decreto ex art. 360 c.p.c., n. 5; per avere il tribunale escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, nonostante le condizioni di vulnerabilità del ricorrente, orfano di padre, esposto al pericolo di subire trattamenti inumani per la instabilità politica del suo paese ed l’impossibilitato ad un reinserimento nel suo paese di origine.

5. La prima censura è infondata.

Secondo un recente indirizzo di legittimità, inaugurato da Cass. 2954/2020 e seguito da Cass. 8810/2020 e da Cass. 11925 del 19/06/2020, cui il collegio presta convinta adesione, il dovere di cooperazione istruttoria, nelle due forme di protezione cd. “maggiori”, non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma si colloca in un rapporto di stretta connessione logica (anche se non in una relazione di stretta e indefettibile subordinazione) rispetto alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. Il principio che le inattendibili dichiarazioni del richiedente non richiedono approfondimento istruttorio officioso rileva ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Difatti è in relazione alla massima protezione ed ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, che la valutazione di credibilità soggettiva (all’esito di una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda; Cass. n. 21142/2019), costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento; sicchè le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018) dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794). A meno che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, incombendo al giudice l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa ed attuale conoscenza della complessiva situazione dello Stato di provenienza, al fine di accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. n. 871 del 2017; Cass. n. 19716/2018). La valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi di quanto narrato dal richiedente, ma secondo la griglia predeterminata di criteri offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (v. già Sez. 6-1, n. 8282/2013, Rv. 625812-01; Sez. 6-1, n. 24064/2013, Rv. 628478- 01; Sez. 6-1, n. 16202/2012, Rv. 623728-01), secondo cui, “Qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.

Tuttavia, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali fondandosi sull'”id quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese; non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a), della medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza (cfr. Cass. n. 20580 del 31/07/2019). Da ciò consegue che: a) la norma non potrà mai dirsi violata sol perchè il giudice del merito abbia ritenuto inattendibile un racconto o inveritiero un fatto; b) non sussiste un diritto dello straniero ad essere creduto sol perchè abbia presentato la domanda di asilo il prima possibile o abbia fornito un racconto circostanziato; c) il giudice è libero di credere o non credere a quanto riferito secondo il suo prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato(Cass. n. 6897/2019; 11925 del 19/06/2020).

Ne deriva che il vaglio di credibilità, una volta rispettati i criteri di cui al cit. art. 3, costituendo un apprezzamento di merito, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa – spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (13578 del 02/07/2020; Cass. n. 11925 del 2020; Cass. n.. 6897 del 2020; n. 3340/2019).

Violazione che il ricorrente non può limitarsi ad allegare, come nella specie, mediante un generale contrasto del giudizio complessivo formulato dal giudice di merito, dovendosi escludere l’ammissibilità di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. n. Cass. 33858 del 2019; n. 3340 del 2019; N. 8819 del 2020; Cass. n. 11924/2020). Parte ricorrente si è, difatti, limitata ad una generica affermazione di plausibilità della narrazione compiuta dal richiedente.

Nella fattispecie, il giudice di primo grado ha, tra l’altro, operato correttamente, considerando non certamente l’inattendibilità dei profili marginali della vicenda narrata, rilevando che, a parte la stereotipata narrazione, questa risultava generica e non faceva alcun riferimento al timore di essere ucciso, avendo egli riferito alla Commissione solo che i proprietari del fondo attiguo avevano chiesto alla madre di essere risarciti dei danni cagionati, il che includeva la situazione in una dimensione strettamente privata, tale da non suffragare nè la concessione della protezione internazionale nè di quella sussidiaria. Quest’ultima non è stata individuata dal collegio nè sotto il profilo dell’art. 14, lett. b – non avendo il richiedente nemmeno allegato a quali trattamenti inumani sarebbe esposto (peraltro non riscontrabili nella mera richiesta di risarcimento del danno) – nè sotto il profilo della lett. c), avendo il tribunale attinto dalle COI riportate dalle fonti internazionali aggiornate al 2017 – indicate a pag. 6 del decreto informazioni relative alla situazione socio-politica della (OMISSIS).

Da queste desumeva che la situazione era migliorata dopo le elezioni del 2016; che era stata istituita una Commissione di inquisizione per i crimini commessi contro l’umanità da parte dei sostenitori di entrambi i partiti durante il periodo post elettorale; che gli scontri del 2017 tra i sostenitori di (OMISSIS) e i soldati a cui era stata promessa una somma di denaro, erano terminati con una negoziazione.

Ebbene, la valutazione di non credibilità e quella relativa alla sussistenza della violenza indiscriminata, sotto tutti i profili dedotti, attiene, in sè, al giudizio di fatto e non è qui ulteriormente apprezzabile.

Peraltro, a prescindere dall’indicato difetto di credibilità, non si ravvisa, nel racconto del richiedente, l’esistenza di alcuna persecuzione rilevante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato. La mancanza di credibilità conduce anche ad escludere la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), non essendo emersi D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 6 fondati elementi dai quali dedurre la mancata protezione delle autorità statuali.

6.Invece, e con riferimento alla seconda censura, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Sez.1, 31/1/2019 n. 3016; Cass. n.. 15794 del 2019; n. 10286/2020); l’indagine d’ufficio non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Sez. 5 1, 24/05/2019, n. 14283; Sez.6-1, 25/07/2018, n. 19716; Sez.6-1, 28/06/2018, n. 17069; Sez.6-1, 16/07/2015, n. 14998).

Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) la “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

Come affermato da questa Corte la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass.Sez.6-1, 17/04/2018, n. 9427; sez. I n. 2954/2020; n. 18306 e 9090 del 2019).

Nella specie, il collegio giudicante, dopo aver attivato il potere officioso di informarsi sulla situazione del paese di origine del ricorrente, ha scongiurato l’eventualità di rischi per i diritti fondamentali del predetto, per aver accertato l’assenza di una situazione di violenza generalizzata nel Paese di origine e dunque dell’esposizione a pericolo per la sua incolumità fisica.

Con riferimento alla critica che attinge la valutazione operata dal primo collegio avente ad oggetto la situazione di pericolo in cui verserebbe il richiedente in caso di reimpatrio, vale osservare che lo stabilire in punto di fatto se in un determinato paese esista o non esista una condizione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato che generi un grave pericolo per il ricorrente è un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, profilo nel caso di specie non prospettato. Il risultato di tale indagine può essere censurato, quindi, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018; Cass. n. 11936/2020).

7.Col terzo motivo, si denuncia il mancato riconoscimento della protezione umanitaria stante la situazione di insicurezza del Paese di origine e la impossibilità, per l’odierno ricorrente, di godere dei propri diritti umani fondamentali in ipotesi di rimpatrio.

La censura non supera il vaglio di ammissibilità contenendo critiche generiche prive di riferimento specifico ad una ipotetica situazione di vulnerabilità del richiedente, correlata alla sua età, alla presunta vulnerabilità del richiedente, alla interruzione dei rapporti con la famiglia di origine, tutti elementi inidonei a fondare la richiesta protezione.

L’omessa pronuncia non risulta quindi correttamente censurata, atteso che il riferimento alla violazione dell’art. 132 c.p.c. e la presupposizione di una pronunzia che in realtà risulta mancante legittimano la declaratoria di inammissibilità del motivo.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della corte di cassazione, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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