Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24358 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 03/11/2020), n.24358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34501/2018 proposto da:

O.P., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Natale Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 05/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal cons. Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 5.11.2018, respingeva il ricorso proposto da O.P., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

Il Tribunale di Napoli riteneva che le dichiarazioni rese dal richiedente non fossero attendibili e che la Commissione avesse correttamente valutato l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle situazioni soggettive invocate per ottenere la protezione internazionale.

Il richiedente aveva raccontato di essere di religione (OMISSIS) e di provenire dall'(OMISSIS); di essere fuggito nel gennaio 2016 dalla (OMISSIS) “per motivi politici e socio economici”, in particolare dopo essere stato sequestrato da uno zio che lo voleva convertire alla religione (OMISSIS).

Il tribunale partenopeo respingeva la domanda di protezione evidenziando le contraddizioni e l’incoerenza del colloquio nonchè la carenza dei presupposti della protezione umanitaria.

O.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi di ricorso.

Il ministero dell’interno si è costituito, svolgendo attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il decidente escluso il riconoscimento della protezione internazionale, violando il principio secondo il quale il convincimento del giudice non può fondarsi sulla sola credibilità soggettiva del richiedente, sussistendo l’onere del giudice di verificare d’ufficio la credibilità delle persecuzioni di opinioni, abitudini, pratiche sulla base delle informazioni esterne relative alla situazione del paese di provenienza; sosteneva al contrario la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni rese, mentre il collegio avrebbe valutato solo la contraddittorietà di alcuni elementi secondari (dettagli) della narrazione.

3.Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,7,8 e 11; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il tribunale escluso il riconoscimento dello status di rifugiato, pur sussistendo il timore fondato dello straniero di subire persecuzioni gravi che la autorità statuali non sono in grado di impedire.

4.Con la terza censura si deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14, lett. c), nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere i giudici di primo grado escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, violando il dovere di cooperazione istruttoria, non avendo il decidente attivato il potere di acquisire informazioni attendibili sulla situazione del paese di provenienza. Nel caso all’esame, fonti internazionali descriverebbero la presenza di un conflitto all’interno del paese ((OMISSIS) e negli stati nord-orientali) ad opera di gruppi armati che attesterebbe la presenza di una grave situazione di pericolo per l’incolumità del richiedente, oltre alla violazione diffusa dei diritti fondamentali dell’uomo, operando l’esercito arresti di massa illegali e maltrattamenti e trattamenti inumani (sebbene siano indicate solo il giorno ed il mese di detti eventi e non anche l’anno di riferimento); nonchè sgomberi di massa nella zona di Lagos.

5. Con la quarta censura, si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; per avere il tribunale escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, sulla base della non credibilità della versione fornita alla Commissione, deducendo il vizio di motivazione apparente, non avendo il tribunale considerato le condizioni del ricorrente: giovane età, la buona integrazione sociale in Italia, il pericolo di essere sottoposto a trattamenti disumani, l’instabilità politica della (OMISSIS).

6. Le prime due censure sono destituite di fondamento.

Secondo un recente indirizzo di legittimità, inaugurato da Cass. 2954/2020 e seguito da Cass. n. 8810/2020 e da Cass. n. 11925 del 19/06/2020, cui il collegio presta convinta adesione, il dovere di cooperazione istruttoria, nelle due forme di protezione cd. “maggiori”, non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma si colloca in un rapporto di stretta connessione logica (anche se non in una relazione di stretta e indefettibile subordinazione) rispetto alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. Il principio che le inattendibili dichiarazioni del richiedente non richiedono approfondimento istruttorio officioso rileva ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Difatti è in relazione alla massima protezione ed ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, che la valutazione di credibilità soggettiva (all’esito di una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda; Cass. n. 21142/2019) costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento; sicchè le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018) dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794). Salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, incombendo al giudice l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa ed attuale conoscenza della complessiva situazione dello Stato di provenienza, al fine di accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Cass. n. 871 del 2017; Cass. n. 19716/2018).

Quanto alla doglianza secondo la quale il giudice avrebbe affermato l’inattendibilità complessiva del richiedente asilo, rispetto ad alcuni secondari dettagli, violando il principio del beneficio del dubbio (Cass. 16028/2019), si rammenta che il D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3 dispone che: “Qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.

Detto principio è suffragato da quanto affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di onere della prova: stante la particolare situazione in cui si trovano i richiedenti asilo, risulta spesso necessario concedere loro il beneficio dei dubbio quando si vada a considerare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a supporto (CEDU, R.C. v. Svezia, 2010, 12 par. SO; CEDU, N. v. Svezia, 2010, par. 53; CEDU, A.A. v. Svizzera, 2014, par. 59) nonchè dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. e), secondo il quale, nella valutazione di credibilità, si deve verificare anche se il richiedente “è, in generale, attendibile”, sicchè, ponendo come condizione che il racconto sia “in generale, attendibile” viene interpretata nel senso di ritenere sufficiente che il racconto sia credibile “nell’insieme” o “in generale” (Cass. n. 21142/2019).

Tuttavia, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 enuncia alcuni parametri, meramente indicativi e non tassativi, che possono costituire una guida per la valutazione nel merito della veridicità delle dichiarazioni del richiedente, i quali, tuttavia, fondandosi sull'”id quod plerumque accidit”, non sono esaustivi, non precludendo la norma la possibilità di fare riferimento ad altri criteri generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese; non essendo, in particolare, il racconto del richiedente credibile per il solo fatto che sia circostanziato, ai sensi del comma 5, lett. a) medesima norma, ove i fatti narrati siano di per sè inverosimili secondo comuni canoni di ragionevolezza (cfr. Cass. n. 20580 del 31/07/2019).

Da ciò consegue che: a) la norma non potrà mai dirsi violata sol perchè il giudice del merito abbia ritenuto inattendibile un racconto o inveritiero un fatto; b) non sussiste un diritto dello straniero ad essere creduto sol perchè abbia presentato la domanda di asilo il prima possibile o abbia fornito un racconto circostanziato; c) il giudice è libero di credere o non credere a quanto riferito secondo il suo prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass. n. 6897/2019; 11925 del 19/06/2020), giacchè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda tutti gli aspetti significativi della domanda (art. 3, comma 1) e si riferisce, come risulta dall’art. 3, comma 3, lett. b), c), d) e comma 4 D.Lgs. cit., a tutti i profili di danno grave considerati dalla legge come condizionanti il riconoscimento della protezione sussidiaria. Occorre precisare che solo a condizione che la suddetta valutazione – di credibilità soggettiva o meno – risulti essere stata effettuata con il metodo indicato dalla specifica normativa attuativa di quella di origine UE e, quindi, in conformità della legge, essa può dare luogo ad un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, come tale censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (tra le tante: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340, n. 13944/2020; n. 11925/2020).

Il che significa che se tale valutazione non deriva da un esame effettuato in conformità con i criteri stabiliti dalla legge è denunciabile in cassazione – con riguardo all’esame medesimo – la violazione delle relative disposizioni – la cui sussistenza viene ad incidere “a monte” sulle premesse della valutazione di non credibilità, travolgendola non per ragioni di fatto ma di diritto – salva restando l’impugnabilità della valutazione in oggetto per uno dei vizi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione che il ricorrente non può limitarsi ad allegare mediante un generale contrasto del giudizio complessivo formulato dal giudice di merito, dovendosi escludere che abbia rilievo la mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. n. Cass. n. 3340/2019; 33858.del 2019; N. 3340 del 2019; N. 8819 del 2020; Cass. n. 11924/2020).

Nella fattispecie in esame si ha che il Collegio non si è sottratto all’obbligo di scrutinio delle dichiarazioni rese dal richiedente ed a quello susseguente di integrazione istruttoria e tanto con un accertamento di fatto che sfugge al sindacato di questa Corte di legittimità, avendo i giudici escluso che sia stato superato il vaglio di credibilità soggettiva per la genericità e incongruenza del racconto reso. In particolare, il giudice di primo grado ha ‘ concluso per l’inattendibilità della vicenda narrata, considerando complessivamente l’inverosimiglianza della narrazione, neppure riscontrabile nella situazione sociopolitica della parte meridionale della (OMISSIS); in particolare ha rilevato l’inverosimiglianza delle dichiarazioni secondo le quali il richiedente avrebbe subito minacce da uno zio che si sarebbe convertito in età adulta alla religione (OMISSIS) – il cui nome M. avrebbe invece ricevuto sin dalla nascita desumendola altresì dalla circostanza che il richiedente non abbia saputo collocare nel tempo l’episodio del dedotto sequestro, descrivere il luogo del rapimento nè le modalità dello stesso.

Il Tribunale, al contrario, ha affermato che le fonti indicate nel decreto ((OMISSIS) (OMISSIS)… su AdnKronos del 22.02.2018; Annual reporton religious freedom 2017, USDOS 2018 su (OMISSIS)) testimoniano che solo nel Nord della (OMISSIS) opera un gruppo terroristico di (OMISSIS), mentre nel sud della (OMISSIS), come nella zona di (OMISSIS) da cui proviene il ricorrente, l’indice di violenza pone lo stato all’ottavo posto rispetto alle altre aree della zona del (OMISSIS).

Le stesse fonti testimoniano la prevalenza di cristiani nella zona sud, il che renderebbe inattendibile non solo il tentativo violento di conversione da parte di uno zio appartenente ad una minoranza ma altresì la dedotta inerzia della polizia.

Oltre alla inverosimiglianza intrinseca del racconto, quindi, il Collegio ne ha rilevato le contraddizioni con la situazione socio-politica della (OMISSIS), dove non sono riscontrabili conflitti tra musulmani e cristiani.

A fronte di dette argomentazioni parte ricorrente si è limitata da un lato ad una generica affermazione di plausibilità della narrazione compiuta dal richiedente, dall’altro a ridimensionare le contraddizioni evidenziate dal Tribunale, veicolando la critica sotto il paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

7.Con riferimento alla terza censura, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Sez.1, 31/1/2019 n. 3016; Cass. n.. 15794 del 2019; n. 10286/2020).

La protezione sussidiaria, disciplinata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha come presupposto la presenza, nel Paese di origine, di una minaccia grave e individuale alla persona, derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, il cui accertamento, condotto d’ufficio dal giudice in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, “deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente”, (Cass. n. 8819/2020); l’indagine d’ufficio non trova, pertanto, ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass. nn 8819 e 10286 del /2020; 24/05/2019; n. 14283; n. 19716/2018; Sez.6-1, 28/06/2018, n. 17069; Sez.6-1, 16/07/2015, n. 14998.).

Nel caso di specie, le fonti indicate dal giudice di merito, compiutamente indicate a pagina 9 del decreto impugnato, testimoniano la presenza di un conflitto armato nell’area nord-est del paese e rispetto alla regione di provenienza ((OMISSIS)) del richiedente la indicano all’ottavo posto rispetto alle altre zone per indice di violenza. Nella formulata critica a tali argomentazioni il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio dedotto non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Peraltro, per stessa ammissione del richiedente, le informazioni oggetto delle dedotte prove evidenziano una “contingente situazione di profonda conflittualità e instabilità socio – politica del (OMISSIS)” che si vorrebbe, solo in tesi, integrativa dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ed invero contraddetta da costante giurisprudenza di legittimità. “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (tra le altre: Cass. del 08/07/2019 n. 18306; n. 8669/2020).

8.L’ultimo mezzo è inammissibile.

In primo luogo deve rilevarsi che la pronuncia delle S.U. 29459 del 2019 ha definitivamente affermato che alle domande (e, conseguentemente, ai giudizi) in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 si applica il sistema legislativo preesistente relativo alla tutela di carattere umanitario e non opera la sopravvenuta abrogazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In secondo luogo, deve rilevarsi che la protezione umanitaria si fonda su requisiti non pienamente sovrapponibili con quelli posti a base delle protezioni tipizzate (rifugio politico e protezione sussidiaria) richiedendo un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità dedotte ed allegate, essendo tenuto il giudice del merito a svolgere anche su tale domanda, ove non genericamente proposta, il proprio dovere di cooperazione istruttoria. In senso conforme a tale pronuncia si segnalano le più recenti Sez. 1, n. 08020/2020 e Sez. 1, n. 07985/2020: quest’ultima ribadisce come “il difetto di intrinseca credibilità sulla vicenda individuale e sulle deduzioni ed allegazioni relative al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, non estenda i suoi effetti anche sulla domanda riguardante il permesso umanitario, perchè essa è soggetta ad oneri allegativi e deduttivi in parte diversi, che richiedono un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità, dovendo il giudice attivare, anche su tale domanda, ove non genericamente proposta, il proprio dovere di cooperazione istruttoria”.

Pertanto, ha errato il Tribunale a esaminare la richiesta di protezione sotto il profilo della credibilità del richiedente. Il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente non preclude al giudice di valutare altre circostanze che integrino una situazione di “vulnerabilità” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, dovendo il decidente valutare comparativamente, a fronte della documentata e stabile integrazione lavorativa in Italia, la condizione in cui il richiedente si sarebbe trovato ove avesse fatto rientro nel Paese di origine, tenendo conto della situazione ivi esistente in tema di compromissione dei diritti umani fondamentali. Così operando, ha omesso di verificare se la situazione generale del Paese, pur rappresentata come molto complessa, potesse pregiudicare il nucleo essenziale dei diritti umani inviolabili, come richiesto da Cass. n. 4455 del 2018, allorquando sia altresì allegato un certo grado d’integrazione sociale e lavorativa secondo il giudizio comparativo ritenuto necessario ai fini della concessione della protezione umanitaria dalle S.U. n. 29459 del 2018.

Sennonchè, il motivo non supera la soglia dell’ammissibilità dal momento che non viene neppure dedotto che le allegazioni delle circostanze riferite nella censura – vale a dire l’intervenuta integrazione sociale del ricorrente di cui si allega anche contratto di lavoro in essere del 13.09.2018 – fossero state già prospettate dalla parte ricorrente nel giudizio di primo grado. Al riguardo, la mancanza del grado d’appello non rileva, perchè quanto specificato nel ricorso per cassazione ben poteva formare oggetto delle difese nel giudizio di primo grado, atteso che l’udienza si è tenuta successivamente all’inizio del rapporto lavorativo, in data 31.10.2018. Quanto all’attivazione del contraddittorio in tale giudizio deve rilevarsi che non è stato formulato un motivo di censura specifico al riguardo (Cass. n. 7985/2020; 11267 del 2019; n. 10922 del 2019).

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla refusione delle spese sostenute dal ministero che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della corte di cassazione, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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