Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24356 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 03/11/2020), n.24356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33395/2018 proposto da:

A.R., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Natale Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 02/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal cons. Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 2.11.2018, respingeva il ricorso proposto da A.R., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta, a sua volta, avevà rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

Il Tribunale di Napoli riteneva l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria. Il richiedente aveva raccontato di aver lasciato il (OMISSIS) nel giugno 2016, attraversando la Libia, in virtù della grave situazione economica in cui con la sua famiglia si trovava, avendo genitori anziani, un fratello tetraplegico, un altro non vedente (come la moglie ed i figli); che per potergli consentire di partire il padre aveva venduto sia la casa che il terreno.

Il tribunale partenopeo respingeva la domanda di protezione evidenziando l’assenza dei presupposti della richiesta protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria.

Il richiedente asilo ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi.

Il ministero dell’interno ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. A) e art. 14, lett. C) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere i giudici di primo grado escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, violando il dovere di cooperazione istruttoria, non avendo il decidente attivato il potere di acquisire informazioni attendibili sulla situazione del paese di provenienza. Nel caso all’esame, fonti internazionali descriverebbero la compressione delle libertà fondamentali dei gay, della libertà di riunirsi, l’uso della tortura e maltrattamenti, la previsione della pena di morte, la presenza di una situazione generalizzata di violenza diffusa ed indiscriminata.

2.Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. A) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3,; per avere il tribunale escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in quanto i motivi economici addotti dal ricorrente non legittimano il riconoscimento della protezione residuale. Argomenta che sussistono le condizioni di vulnerabilità (giovane età, impossibilità di reinserimento nel paese di origine, pericolo di essere sottoposto a trattamenti inumani, instabilità politica) legittimanti la concessione della richiesta protezione.

3.La prima censura è destituita di fondamento.

Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), la “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

La protezione sussidiaria, disciplinata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha come presupposto la presenza, nel Paese di origine, di una minaccia grave e individuale alla persona, derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, il cui accertamento, condotto d’ufficio dal giudice in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, “deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente”, (Cass. n. 8819/2020). L’obbligo di cooperazione si sostanzia nell’acquisizione di COI pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti (tale non potendosi ritenere, come già affermato da questa Corte, il sito ministeriale “Viaggiare sicuri”, il cui scopo e la cui funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti in sede di giudizio di protezione internazionale). E ciò è a dirsi alla luce dell’obbligo, sancito dall’art. 10, comma 3, lett. b) Direttiva Procedure, “di mettere a disposizione del personale incaricato di esaminare le domande informazioni precise e aggiornate provenienti dall’EASO, dall’UNHCR e da Organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani circa la situazione generale nel paese d’origine dei richiedenti e, all’occorrenza, dei paesi in cui hanno transitato”. Spetterà, dunque (all’amministrazione, prima, e poi) al giudice fare riferimento anche di propria iniziativa a informazioni relative ai Paesi d’origine che risultino complete, affidabili e aggiornate.

Nel caso di specie, le fonti internazionali esaminate dal giudice di merito, compiutamente indicate a pagina 5 del decreto impugnato, dimostrano che le criticità della situazione socio-politica del paese sono correlate esclusivamente ai conflitti tra il partito di maggioranza e l’opposizione ed alla compressione delle libertà fondamentali, in particolare degli oppositori, dei gay e nei giornalisti attivisti per le minoranze.

La Corte di giustizia UE 17.2.2009, in causa C-465/07, Elgafaji, ha affermato: a) che la situazione di violenza generalizzata esistente in una determinata area geografica non è sufficiente a giustificare la concessione della protezione sussidiaria, se il richiedente non dia prova di essere personalmente ed individualmente esposto ad un rischio grave in conseguenza di quella situazione (p. 37: “la sola dichiarazione oggettiva di (“un rischio legato alla situazione generale di un paese non è sufficiente, in linea di principio, a provare che le condizioni (per la protezione sussidiaria) sono soddisfatte in capo ad una determinata persona”); b) che a tale principio può derogarsi solo “in via eccezionale”, e solo nel caso in cui la violenza scoppiata nel paese del richiedente asilo sia così vasta e feroce, da lasciar presumere che il rientro in patria esporrebbe il richiedente asilo al rischio di danno grave alla persona “per il fatto della sola presenza” nel suo paese (p. 43 della motivazione); c) che, in ogni caso, spetta al giudice nazionale valutare se, quale e quanta sia l’intensità della violenza indiscriminata esistente nel paese di provenienza del richiedente (p. 43 della motivazione, secondo alinea) (Corte giust. 17/2/2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30/1/2014, C 285/12, Diakitè). Questa Corte ha parimenti affermato che la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione/correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. Sez. 6-1, 17/04/2018, n. 9427; sez. I n. 2954/2020; n. 18306 e 9090 del 2019).

Nella specie, il collegio giudicante, dopo aver attivato il potere officioso di informarsi sulla situazione del paese di origine del ricorrente, ha scongiurato l’eventualità di un rischio per il predetto, per aver accertato non solo l’assenza di una violenza generalizzata nel Paese ma altresì l’assenza di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica del ricorrente. Pertanto, la censura relativa alla dedotta violazione del c.d. dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 risulta smentita dall’assolto onere di cooperazione dal decidente; con riferimento alla critica che attinge la valutazione operata dal primo collegio con riferimento alla situazione di pericolo in cui verserebbe il richiedente in caso di reimpatrio, vale osservare che lo stabilire quale sia il livello di violenza esistente nel paese di provenienza del richiedente (se basso, alto o “eccezionale”) è questione di fatto che deve essere “valutata dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda” (p. 43 della motivazione). Di conseguenza, lo stabilire in punto di fatto se in un determinato paese esista o non esista una condizione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato che generi un grave pericolo per il ricorrente è un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, profilo nel caso di specie non prospettato. Il risultato di tale indagine può essere censurato, quindi, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018; Cass. n. 11936/2020).

4. Del pari, la seconda censura è infondata.

In primo luogo deve rilevarsi che la pronuncia delle S.U. 29459 del 2019 ha definitivamente affermato che alle domande (e, conseguentemente, ai giudizi) in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 si applica il sistema legislativo preesistente relativo alla tutela di carattere umanitario e non opera la sopravvenuta abrogazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. (v. anche Cass. n. 4890 del 2019; n. 13403/2019; n. 9090/2019).

Quanto ai presupposti utili a ottenere la protezione umanitaria, le sezioni unite, con la sentenza n. 29461/20191 hanno chiarito, (in consonanza con la citata pronuncia 4455/2018 di questa Corte, ed in aperta difformità da quanto erroneamente opinato dalla ordinanza di rimessione 11749/2019): 1) Che non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano. 2) Che gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096). 3) Che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione. 4) Che è necessario dar seguito a quell’orientamento di legittimità (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e riaffermato, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19) nonchè della prevalente giurisprudenza di merito, che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare, come già detto, la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; conf. Cass. 4455/2018 e, da ultimo, Cass. 630/2020; n. 13573/2020).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione.” (cfr. Cass. 13079/2019;Cass.n. 8571/2020).

Se è vero, difatti, che ai fini della protezione umanitaria “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019 e, da ultimo, Cass. 1040/2020), è pur vero che, ai fini di una simile verifica, effettuabile dal giudice anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi, risulta però “necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei perchè da essi possa desumersi che il suo rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 27336/2018, 8908/2019, 17169/2019); ma tale onere, nella specie, non risulta assolto, avendo il richiedente asilo dedotto genericamente, a fondamento della sua domanda, la sussistenza della vulnerabilità in considerazione della giovane età, dell’avvenuta interruzione dei legami con il paese di origine e dell’instabilità politica e sociale del (OMISSIS), delle condizioni di povertà in cui viveva nel paese di provenienza; omettendo qualsiasi riferimento al suo livello di integrazione in Italia ed al pericolo di subire limitazioni dei diritti fondamentali (ritenuti dal Collegio circoscritti invece a determinati gruppi politici). Si tratta di censura che finisce col trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, invocando l’esercizio di poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715). Sotto altro aspetto, il motivo si risolve, in parte qua, nella censura della valutazione degli elementi probatori così come operata dal Tribunale in ordine alla idoneità degli stessi a dimostrare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente della protezione umanitaria: ma anche una siffatta censura può trovare ingresso in questa sede solo sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072; 9304 e 13096 del 2019; S.U. n. 29495/2019, n. 7599/2020).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

P.Q.M.

LA CORTE

– rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. 4315/2020), ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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