Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24354 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/10/2017, (ud. 18/05/2017, dep.16/10/2017),  n. 24354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29703-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

FIORILLO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8801/2010 della CORTE 4D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/12/2010, R. G. N. 1389/2006.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 4 dicembre 2010 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha dichiarato illegittimo il termine apposto al secondo dei contratti intercorsi tra Poste Italiane s.p.a. e M.F. dal 1 giugno al 30 ottobre 1999 ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994 per far fronte ad ” esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo riequilibrio sul territorio delle risorse umane”, legittimo il primo, confermate le statuizioni conseguenti (risarcimento del danno dalla messa in mora del 19.3.2003 al ripristino) che non erano state oggetto di specifica impugnazione.

che avverso tale sentenza Poste Italiane ha proposto ricorso affidato a tre motivi ed ha chiesto, in subordine, con un quarto motivo l’applicazione della L. 4 novembre 2010, art. 32 comma 5 sopravvenuta. M.F. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria illustrativa insistendo nelle conclusioni già prese.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo che denuncia la violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175,1375,2697,1427 e 1431 c.c. e dell’art. 100 c.p.c. è infondato poichè la Corte territoriale si è attenuta alla costante giurisprudenza di questa Corte che nel ribadire che grava sul datore di lavoro l’onere di provare I’ intervenuta risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro ha poi ripetutamente affermato che (Cass. sez. 6-L n. 16932 del 04/08/2011 e recentemente Cass. sez. 6-L 20/04/2016 n. 8450) ha poi correttamente rammentato che per potersi configurare una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo e che a tal fine non è significativa nè la mera inerzia del lavoratore nè la mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto (cfr. Cass. 8450 del 2016 cit. ed ancora 6307 del 2016 oltre che, recentemente Cass. ord. sez. 4 20/04/2017 n. 10027).

che anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono infondati atteso che è oramai consolidato l’orientamento in base al quale si è affermato che: 1) la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. Cass. Sez. Un. 2 marzo 2006, n. 4588); 2) in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25/9/97 (con riferimento al distinto accordo attuativo, sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo del 16/1/98 con i quali le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31/1/98 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30/4/98), della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo; 3) solo nei suddetti limiti temporali la società poteva procedere ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo; 4) che pertanto sono illegittimi i contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo; 5) che è irrilevante l’accordo 18/1/01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato (cfr. Cass. 12 marzo 2004, n. 5141) (per tale complessiva ricostruzione si veda tra le tante, Cass. 23/08/2006 n. 18378 e più recentemente Cass. 03/04/2014 n. 7881, 09/07/2015 n. 14305, 26/11/2015n. 24189).

Da quanto esposto consegue quindi che il contratto, stipulato al di fuori del limite temporale del 30/4/98, è stato correttamente ritenuto illegittimo in quanto non rientra nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962;

che, per contro è fondato l’ultimo motivo con la richiesta di applicazione dello jus superveniens anche alla luce della recente pronuncia delle sezioni unite di questa Corte che hanno chiarito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico.” (cfr. Cass. s.u. 27/10/2016 n. 21691). Nè, ove sia stato proposto appello limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine, è configurabile il giudicato in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente (cfr. Cass. 28/02/2017 n. 5226).

che pertanto rigettati i primi tre motivi di ricorso la sentenza deve essere cassata in accoglimento della richiesta di applicazione dello jus superveniens con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che quantificherà l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr. per tutte Cass. n. 14461 del 2015) con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr. per tutte Cass. 3062 del 2016) e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte, accoglie l’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri.

Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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