Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24354 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. I, 03/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 03/11/2020), n.24354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31089/2018 proposto da:

M.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Migliaccio Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 18/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal cons. Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Napoli, con decreto pubblicato il 18.09.2018, respingeva il ricorso proposto da M.M., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento con il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

Il Tribunale di Napoli riteneva che le dichiarazioni rese dal richiedente non fossero attendibili e che la Commissione avesse correttamente valutato l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle situazioni soggettive invocate per ottenere la protezione internazionale. Il richiedente aveva raccontato di essere stato accusato ingiustamente nell’anno 2015 – di aver incendiato l’abitazione di uno zio, provocando il decesso del cugino, di essere stato arrestato e rimasto recluso per tre mesi sino a quando uno zio non aveva offerto come cauzione “i documenti di prorprietà della sua casa”; che decideva pertanto di fuggire del Gambia rifugiandosi dapprima in Senegal, poi a Mali, Burkina Faso e in Libia dove rimase per un anno e dove venne recluso nel lager di Zawiya per circa cinque mesi, prima di imbarcarsi e raggiungere l’Italia nel giugno 2016.

Il tribunale partenopeo respingeva la domanda di protezione evidenziando le contraddizioni e l’incoerenza del colloquio nonchè la carenza dei presupposti della protezione umanitaria.

M.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di cinque motivi. Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2. on il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis e art. 737 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; per avere il decidente escluso il riconoscimento della protezione internazionale, violando il principio secondo il quale il convincimento del giudice non può fondarsi sulla sola credibilità soggettiva del richiedente, sussistendo l’onere del giudice di verificare d’ufficio la credibilità delle persecuzioni di opinioni, abitudini, pratiche sulla base delle informazioni esterne relative alla situazione del paese di provenienza; nonchè di assumere informazioni presso il consolato in ordine alle vicende processuali del richiedente asilo, omettendo di considerare gli sforzi infusi dal ricorrente per circostanziare la domanda, affermando la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni rese, mentre il collegio avrebbe valutato solo la contraddittorietà di alcuni elementi secondari (dettagli) della narrazione, violando il suo dover di cooperazione che gli imponeva di verificare le condizioni di persecuzione sulla base delle informazioni esterne ed oggettive relative alla situazione reale del paese di provenienza.

3.Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. G), artt. 3, 4, 5 e art. 6, comma 2, art. 14, lett. b); del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il tribunale escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria pur sussistendo il timore fondato dello straniero di subire persecuzioni per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, in difetto del presupposto della credibilità soggettiva del richiedente asilo, attingendo la decisione nella parte in cui il tribunale avrebbe omesso di accertare la situazione reale del paese di origine attraverso i poteri officiosi di indagine e acquisizione documentale e l’impossibilità per il ricorrente di essere sottoposto, rientrando in Gambia, al rischio di torture o trattamenti denigranti.

4.Con la terza censura, si lamenta la error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, vale a dire della crisi politica post-elettorale del Gambia, che ha portato il paese sull’orlo di una guerra civile e dell’analisi comparativa tra la vita privata e familiare in Italia e la situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui si troverebbe esposto una volta reimpatriato.

5.Con il quarto motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e dell’art. 5, comma 6 t.u.i.ex art. 360 c.p.c., n. 3; per avere i giudici collegiali escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in violazione degli obblighi di diritto internazionale e convenzionale (art. 2 Cedu) e degli obblighi di diritto UE (direttiva 2008/304/Ce). In altri termini, il decidente avrebbe dovuto esaminare la vulnerabilità del richiedente asilo attraverso il bilanciamento tra integrazione sociale acquisita in italia e situazione oggettiva del paese di origine, verificando la condizione di effettiva deprivazione dei diritti umani in caso di allontanamento.

6.Con l’ultimo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in quanto la prospettazione della permanenza in Libia era rilevante al fine di tracciare il profilo di vulnerabilità del ricorrente, circostanza che avrebbe potuto determinare la concessione della protezione gradata.

7.Le prime due censure sono inammissibili.

Secondo un recente indirizzo di legittimità, inaugurato da Cass. 2954/2020 e seguito da Cass. n. 8810/2020 e da Cass. n. 11925 del 19/06/2020, Cass. n. 8569/2020, cui il collegio presta convinta adesione, il dovere di cooperazione istruttoria, nelle due forme di protezione cd. “maggiori”, non sorge ipso facto sol perchè il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma si colloca in un rapporto di stretta connessione logica (anche se non in una relazione di stretta e indefettibile subordinazione) rispetto alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile. Il principio che le inattendibili dichiarazioni del richiedente non richiedono approfondimento istruttorio officioso rileva ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Difatti è in relazione alla massima protezione ed ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, che la valutazione di credibilità soggettiva (all’esito di una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda; Cass. n. 21142/2019) costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento; sicchè le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018) dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794). Salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, incombendo al giudice l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa ed attuale conoscenza della complessiva situazione dello Stato di provenienza, al fine di accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedottò (Cass. n. 871 del 2017; Cass. n. 19716/2018).

Sull’indicata premessa, nella intrinseca inattendibilità del richiedente alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, i giudici di merito non sono tenuti a porre in essere alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass. 10/4/2015 n. 7333; Cass. 1/3/2013 n. 5224). Il contenuto dei parametri sub c) ed e) (coerenza e plausibilità delle dichiarazioni; generale attendibilità del richiedente) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 su cui scrutinare la credibilità del racconto del richiedente protezione, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese là dove il complessivo quadro di allegazione e prova che sia stato fornito non risulti esauriente sempre che, però, sia positivo il giudizio di veridicità alla stregua degli indici di genuinità intrinseca (Cass. 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Cass. 10/5/2011, n. 10202).

A questo detto si aggiunga che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero integra, una volta accertata la conformità ai criteri di cui all’art. 3 cit., un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), – e che tale apprezzamento di fatto diviene censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio chè è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 33096 del 20/12/2018).

Nel caso all’esame, il Tribunale ha rilevato come il ricorrente avrebbe potuto acquisire facilmente informazioni e documentazione relativa al processo che lo interessava, soprattutto in considerazione del fatto dichiarato di essere stato in carcere per tre mesi (per l’incendio dell’abitazione di uno zio e la conseguente morte del cugino) e di essere uscito dalla detenzione “solo grazie all’aiuto di uno zio che avrebbe fornito come cauzione la documentazione relativa alla proprietà di una sua abitazione”. Nè rientrava nei poteri officiosi del tribunale, come richiesto dal ricorrente, accertare la situazione processuale specifica del richiedente presso il Consolato, concernendo detti poteri officiosi solo le indagini relative alle situazioni socio-politiche dei paesi di provenienza.

Il giudice di primo grado ha, pertanto, operato correttamente, considerando non certamente l’inattendibilità dei profili marginali della vicenda narrata, ma considerando complessivamente l’inverosimiglianza della narrazione, comparandola altresì con il racconto descritto nell’originaria audizione, ove il ricorrente affermava (nell’anno 2017) di avere ancora rapporti telefonici in corso con i familiari, mentre, in seguito alla richiesta di documentazione relativa all’accusa di incendio doloso ed omicidio (a cui era seguito, secondo l’assunto del ricorrente, l’arresto), dichiarava di aver perso il numero di telefono dei familiari e di non avere con loro più rapporti dal 2015 (mentre la prima audizione è avvenuta nel 2017).

A fronte di dette argomentazioni parte ricorrente si è limitata da un lato ad una generica affermazione di plausibilità della narrazione compiuta dal richiedente, dall’altro a ridimensionare genericamente le contraddizioni evidenziate dal Tribunale, veicolando la critica sotto il paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

6. Il terzo motivo non merita accoglimento.

Va anzitutto rilevato che la pronuncia delle S.U. 29459 del 2019 ha definitivamente affermato che alle domande (e, conseguentemente, ai giudizi) in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 si applica il sistema legislativo preesistente relativo alla tutela di carattere umanitario e non opera la sopravvenuta abrogazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

In secondo luogo, deve rilevarsi che la protezione umanitaria si fonda su requisiti non pienamente sovrapponibili con quelli posti a base delle protezioni tipizzate (rifugio politico e protezione sussidiaria) richiedendo un esame autonomo delle condizioni di vulnerabilità dedotte ed allegate, essendo tenuto il giudice del merito a svolgere anche su tale domanda, ove non genericamente proposta, il proprio dovere di cooperazione istruttoria.

Quanto ai presupposti utili a ottenere la protezione umanitaria, le sezioni unite, con la sentenza n. 29461/2019 hanno definitivamente chiarito, (in consonanza con la citata pronuncia 4455/2018 di questa Corte, ed in aperta (difformità da quanto erroneamente opinato dalla ordinanza di rimessione 11749/2019): 1) Che non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che l’alimentano. 2) Che gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096). 3) Che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione. 4) Che è necessario dar seguito a quell’orientamento di legittimità (inaugurato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, e riaffermato, tra le altre, da Cass. 19 aprile 2019, n. 11110 e da Cass. n. 12082/19) nonchè della prevalente giurisprudenza di merito, che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 CEDU, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare, come già detto, la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; conf. Cass. 4455/2018 e, da ultimo, Cass. 630/2020; n. 13573/2020).

Vale osservare come l’apprezzamento della valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere correlata ad una valutazione individuale, da spendersi caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia che va comparata con la situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. Là dove infatti si prescindesse dalla situazione particolare del richiedente, si prenderebbe in considerazione non già la peculiare situazione del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. 03/04/2019 n. 9304). Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria occorre poi procedere al confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro paese e la situazione oggettiva del paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di “comparazione attenuata” (v. Cass. n. 1104/2020; n. 9304/2019), nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il “secundum comparationis”.

Esclusa l’attendibilità del racconto e con essa la prova di una vicenda del richiedente meritevole di protezione, il Collegio ha ritenuto che quanto residuava nelle richieste del richiedente era da apprezzarsi in termini di valutazione della situazione generale del Gambia senza collegamento con la storia personale del primo che restava, come tale, non meritevole di tutela, giudizio non censurabile in sede di legittimità per le ragioni più sopra esposte sulla inattendibilità del racconto che quelle situazioni descrive.

Nella specie, il Tribunale, pur ritenendo l’inverosimiglianza del racconto del richiedente, ha esaminato la situazione del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato (anzi la zona risulta caratterizzata da un certo sviluppo turistico). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese di provenienza, accertando sia il difetto della condizione di vulnerabilità del richiedente, sia l’inidoneità della frequentazione di un corso di lingua a costituire indice di integrazione nel paese ospitante,nell’ambito del giudizio di bilanciamento, in conformità coi principi affermati da questa Corte (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072; 9304 e 13096 del 2019; S.U. n. 29495/2019, n. 7599/2020).

7. Parimenti infondato è l’ultimo mezzo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte infatti l’allegazione da parte del richiedente che in un paese di transito (quale la Libia nel caso di specie) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (Cass. 31676/2018; 18989/2020).

8. Il ricorso va dunque respinto.

Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso.

Si dà atto della sussistenza del presupposto processuale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) (S.U. n. 4315/2020), ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della corte di cassazione, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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