Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24352 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/10/2017, (ud. 03/05/2017, dep.16/10/2017),  n. 24352

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17512-2015 proposto da:

C.R.S. CENTRO RIABILITAZIONE SANITARIA S.P.A., P.I. (OMISSIS), già

CENTRO DI RIABILITAZIONE SANITARIA S.R.L., domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dagli Avvocati RAFFAELE PIGNATARO, UMBERTO

CANETTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.S., C.f. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dagli Avvocati EMANUELE GUARINO, GIACOMO

PACE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7769/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/12/2014 R.G.N. 3251/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2017 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 30 dicembre 2014, in accoglimento del gravame svolto da T.S., dichiarava la nullità del licenziamento collettivo intimato dal Centro Riabilitazione Sanitaria s.r.l. al predetto lavoratore, in data 15 ottobre 2010, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro, con condanna della società al pagamento della retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra.

2. Riteneva la Corte territoriale assolti gli obblighi, prescritti dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4 in ordine ai contenuti della comunicazione da inviare alle organizzazioni sindacali, per essere risultate non identiche le ragioni relative alla crisi aziendale che hanno riguardato la s.r.l. Centro di Riabilitazione Sollo e l’attuale società ricorrente (costituita per scissione parziale dalla s.r.l.) e sussistenti le ragioni, indicate nella predetta comunicazione, che avevano determinato la crisi e l’impossibile ricorso ad altre misure per evitare il licenziamento.

3. Quanto ai criteri di scelta, la Corte di merito, premesso che su di essi non era stato raggiunto l’accordo sindacale, specie quanto al criterio dei carichi di famiglia ritenuto dall’azienda prevalente sugli altri due (anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative), riteneva nullo il licenziamento per non essere stato indicato il motivo della scelta del solo criterio del carico di famiglia e, senza alcuna giustificazione, pretermessa ogni considerazione degli altri due criteri in concorso tra loro, atteso che il lavoratore era più anziano di altra dipendente (mantenuta in servizio per il maggior carico di famiglia) e che la crisi non aveva riguardato il settore amministrativo, al quale il dipendente era addetto, ma quello di fisiokinesiterapia.

4. Avverso tale sentenza ricorre la s.p.a. Centro Riabilitazione Sanitaria, con ricorso affidato ad un unico articolato motivo con il quale, deducendo violazione di norme di diritto e omesso esame di un fatto decisivo, la società si duole che la Corte di merito abbia ritenuto non sorretta da indicazioni la scelta dell’unico criterio dei carichi di famiglia, trascurando di considerare la documentazione, allegata agli atti di causa e al ricorso per cassazione, recante specifiche richieste dei dipendenti di accordare priorità ai carichi di famiglia e attenendosi, come indicato nelle note esplicative inviate a fine procedura, al predetto criterio in considerazione del minore carico di famiglia del T., benchè con maggiore anzianità di servizio; inoltre, come risultante dalla nota esplicativa accompagnatoria delle comunicazioni L. n. 223 cit., ex art. 4, comma 9 il criterio delle esigenze tecnico – produttive – organizzative non aveva alcun rilievo per essere il T. e l’altra dipendente di pari mansioni e professionalità.

5. T.S. ha resistito con controricorso.

6. Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

7. Il ricorso è infondato.

8. Come da ultimo ribadito da Cass. 19 settembre 2016, n. 18306, non essendo richiesto, per la legittimità del licenziamento collettivo, la giusta causa od il giustificato motivo e gravando sul lavoratore licenziato l’onere di allegare e provare la violazione dei criteri di scelta (legali o convenzionali), l’effettiva garanzia per il lavoratore licenziato è proprio di tipo procedimentale: il datore di lavoro comunica il criterio di selezione adottato “con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta” ed il lavoratore può contestare che la scelta sia stata fatta in “puntuale” applicazione di tale criterio.

9. Occorre quindi la “puntuale indicazione” – come prescrive l’art. 4, comma 9 citato – dei criteri di scelta e delle modalità applicative, nel senso che il datore di lavoro non può limitarsi alla mera indicazione di formule generiche, ripetitive dei principi dettati in astratto dalla disciplina contrattuale e legislativa sia pure specificamente riferiti ai singoli lavoratori che hanno impugnato il licenziamento, ma deve – nella comunicazione dallo stesso effettuata – operare una valutazione comparativa delle posizioni dei dipendenti potenzialmente interessati al provvedimento, quanto meno con riguardo alle situazioni raffrontabili per livello di specializzazione (cfr. Cass. 10.7.2013, n. 17119; Cass. 5.8.2008, n. 21138).

10. Tale principio è stato ribadito anche quando il criterio prescelto sia stato unico (cfr. Cass. n. 18306/2016 cit. e la giurisprudenza ivi richiamata).

11. E proprio sull’adozione di un unico criterio di scelta, Cass. 2 febbraio 2017, n. 3045 ha ulteriormente chiarito che ove l’unico criterio prescelto si riveli, quando applicato nella realtà, insufficiente ad individuare i dipendenti da licenziare, esso diviene automaticamente illegittimo se non combinato con un altro criterio di selezione interna (cfr. Cass. nn. 14339/2015, 7490/2015, 10424/2012, 1938/2011) e che finanche l’adozione dell’unico criterio in un accordo sindacale raggiunto all’esito della procedura di consultazione non è legittima qualora tale criterio non permetta l’esauriente e univoca selezione dei lavoratori destinatari del licenziamento e, quindi, non risulti applicabile senza margini di discrezionalità da parte del datore di lavoro (v., in precedenza, Cass. n. 10424/2012).

12. Peraltro, pur premessa la legittimità della determinazione di un criterio unico, Cass. 19 dicembre 2008, n. 29831 aveva già ritenuto che ciò non esonerava il datore di lavoro da effettuare la comunicazione di cui alla L. n. 223 cit., art. 4, comma 9, con l’indicazione delle modalità di attuazione di tale criterio tra i lavoratori in servizio e quindi in comparazione tra loro, con apposita interlocuzione con le parti sociali.

13. Nella specie, l’adozione dell’unico criterio dei carichi di famiglia – a nulla rilevando che nell’indicazione della priorità di tale criterio avessero inciso specifiche richieste dei dipendenti – non consentiva di individuare, in via oggettiva e predeterminata, il lavoratore da sospendere, cosicchè la scelta operata dall’imprenditore, indicando specificamente la soppressione della posizione lavorativa alla quale era preposto il T., si è nella realtà risolta in una valutazione di carattere prettamente discrezionale.

14. La sentenza impugnata, che si è conformata agli esposti principi, si sottrae alle censure formulate.

15. Il ricorso va rigettato.

16. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

17. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi) e di provvedere in conformità.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e spese generali in misura del quindici per cento. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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