Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2435 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9786-2018 proposto da:

M.N., in proprio ed in qualità di erede legittimo del

Sig. M.C., nonchè per gli altri eredi legittimi del

Sig. M.C.: M.M.R.,

M.A., M.S., M.G.,

M.C., M.I., M.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA RIDOLFINO VENUTI, 42, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRA DI SARNO, rappresentati e difesi

dall’avvocato ANTONIO TANZA;

– ricorrenti –

BPER BANCA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA N. 78, presso lo

studio dell’avvocato DOMENICO SPAGNUOLO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SIDO BONFATTI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.N., in proprio ed in qualità di erede legittimo del

Sig. M.C., nonchè per gli altri eredi legittimi del

Sig. M.C.: M.M.R.,

M.A., M.S., M.G.,

M.C., M.I., M.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA RIDOLFINO VENUTI, 42, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRA DI SARNO, rappresentati e difesi

dall’avvocato ANTONIO TANZA;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 5/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata l’08/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza n. 5/2018, ha confermato parzialmente la sentenza emessa dal Tribunale di Lanciano, con la quale la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona era stata condannata al pagamento, in favore di M.N., quale procuratore di M.C., della somma di Euro 664.609,77, in relazione al conto corrente n. (OMISSIS), ed, in favore di M.N., in proprio, della somma di Euro 333.881,22, in relazione al conto corrente n. (OMISSIS), in conseguenza della declaratoria di nullità parziale delle clausole inserite nelle condizioni generali di contratto di conto corrente, relative alla determinazione degli interessi ultralegali, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi ed alla determinazione della commissione di massimo scoperto e all’illegittimità del meccanismo di calcolo dei giorni di valuta, il tutto oltre interessi legali a partire dal giorno di chiusura dei due rapport di conto corrente, rispettivamente, nel 1997 e nel 1998.

La Corte d’Appello, in parziale riforma, statuiva che gli interessi fossero dovuti, non dal giorno della chiusura dei conti, ma dal momento della domanda giudiziale (14/9/2005), in ragione del disposto dell’art. 2033 c.c., secondo il quale, in presenza della buona fede di chi riceve somme indebitamente, la maturazione degli interessi legali deve decorrere dalla domanda.

La Corte di merito respingeva i motivi di appello relativi sia alla intervenuta prescrizione del diritto a richiedere quanto indebitamente pagato, rilevando che, da un lato, di norma, anche laddove un rapporto di conto corrente sia funzionale ad un rapporto di apertura di credito, i versamenti effettuati dal correntista comportano non un pagamento, atto solutorio idoneo a far decorrere la prescrizione dal giorno dell’annotazione, ma una mera operazione di ripristino della provvista e la banca non aveva individuato, nel formulare l’eccezione di prescrizione, le rimesse solutorie, sia alla incompleta produzione degli estratti conto, mancando gli estratti conto relativi ad alcuni trimestri, in quanto tali lacune non avevano reso inattendibili le appostazioni a debito e credito e la ricostruzione delle movimentazioni operata dal consulente. Infine, la Corte di merito non ammetteva la chiesta rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio.

Avverso suddetta sentenza, M.N., in proprio e quale erede di M.C., nonchè M.M.R., M.A., M.L., M.C., M.S., M.I., M.G., tutti quali eredi di M.C., propongono ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo; resiste con controricorso e ricorso incidentale, la BPER Banca S.p.A. (quale incorporante la Banca Popolare di Lanciano e Sulmona S.p.A.), affidato a tre motivi.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti principali lamentano, con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 821 c.c., comma 3, per non aver, la Corte d’Appello valutato la valenza del debito della banca come di valuta e quindi la naturale maturazione degli interessi fin dal giorno in cui erano stati chiusi i rapporti di conto corrente.

2. La ricorrente incidentale lamenta, con il primo motive, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., per aver la Corte di merito considerato provata la ricostruzione dell’andamento dei rapporti di conto corrente nonostante quanto eccepito in ordine ad alcune lacune, di rilievo, negli estratti conto prodotti dalla parte attrice in ripetizione di indebito, a ciò onerata; con il secondo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2697,2935 e 2946 c.c., per aver la Corte d’ Appello riversato sulla banca l’onere di provare la natura solutoria delle rimesse in conto corrente, ai fini della decisione sulla decorrenza della prescrizione decennale; con il terzo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame su un fatto decisivo, rappresentato dalla mancata ammissione di un rinnovo della consulenza tecnica contabile, come richiesta dalla banca al fine di dare prova delle rimesse solutorie.

3. Il motivo proposto nel ricorso principale è infondato.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui gli interessi dovuti, ai sensi dell’art. 2033 c.c., decorrono dalla data del pagamento solo in ipotesi di malafede dell'”accipiens”, mentre in caso di sua buona fede (la quale si presume in difetto di specifiche prove contrarie) o di mancanza di prova della sua mala fede, detti interessi decorrono dalla domanda stragiudiziale avente valenza di atto di costituzione in mora o, in mancanza di essa, dalla domanda giudiziale (Cass. 17848/2009).

4. Il primo motivo proposto dalla ricorrente incidentale è invece fondato.

Ove sia il correntista ad agire giudizialmente per l’accertamento giudiziale del saldo e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito, essendo attore in giudizio, egli dovrà farsi carico della produzione dell’intera serie degli estratti conto (Cass. 7 maggio 2015, n. 9201; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948): con tale produzione, difatti, il correntista assolve all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti che la mancanza di causa debendi.

Questa Corte (Cass. n. 21597/2013 e Cass. n. 20693/2016) ha affermato che la rideterminazione del saldo del conto, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, deve avvenire attraverso i relativi estratti, a partire dalla data dell’apertura del conto corrente, così effettuandosi l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere, con applicazione del tasso legale, “sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili, invece, rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi od approssimativi” (sulla stessa linea: Cass. n. 9365/2018).

Questa Corte, da ultimo, ha evidenziato e ribadito come, a fronte della documentazione di un rapporto di conto corrente bancario incompleta, in mancanza dei contratti di conto corrente e degli estratti conto completi, non prodotti dalla correntista e dalla banca, convenuta in un’azione di ripetizione di indebito promossa dalla correntista, malgrado ordine di esibizione documentale, il giudice, “qualora il cliente limiti l’adempimento del proprio onere probatorio soltanto ad alcuni aspetti temporali dell’intero andamento del rapporto, versando la documentazione del rapporto in modo lacunoso e incompleto”, valutate le condizioni delle parti e le loro allegazioni (anche in ordine alla conservazione dei documenti), può integrare la prova carente “sulla base delle deduzioni in fatto svolte dalla parte, anche con altri mezzi di cognizione disposti d’uffici, in particolare con la consulenza contabile, utilizzando, per la ricostruzione dei rapporti di dare e avere, il saldo risultante dal primo estratto conto, in ordine di tempo, disponibile e acquisito agli atti” (Cass. 31187/2018, in motivazione).

Sempre in tema di ricostruzione del rapporto di conto corrente bancario, si è quindi statuito che, nel caso in cui non vengano prodotti tutti gli estratti conto (il che, di regola, deve avvenire, al fine di determinare un’integrale ricostruzione dei rapporti di dare ed avere, Cass. 21597/2013) e conseguentemente non sia possibile procedere ad una ricostruzione integrale del rapporto, tale situazione non causa il respingimento della domanda di restituzione dell’indebito da parte del correntista, ma è possibile procedere alla ricostruzione anche attraverso altre prove documentali o argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta dal correntista o dalla banca.

Invero, questa Corte ha affermato che “nei rapporti bancari in conto corrente, una volta esclusa la validità di talune pattuizioni relative agli interessi a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso la produzione in giudizio dei relativi estratti a partire dalla data della sua apertura”, ma che non trattandosi tuttavia “di prova legale esclusiva, all’individuazione del saldo finale possono concorrere anche altre prove documentali, nonchè gli argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta del medesimo correntista” (Cass. n. 9526/2019; nella specie, questa Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’appello, che aveva respinto integralmente la domanda della banca di condanna del correntista al pagamento del saldo passivo, in mancanza di un solo estratto conto relativo ad un periodo in cui il correntista aveva ammesso l’assenza di movimentazioni nel rapporto). Con successiva pronuncia (Cass. 11543/2019), questo Giudice di legittimità ha ulteriormente precisato che, nei rapporti bancari di conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, riportando il primo dei disponibili un saldo iniziale a debito del cliente, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui sia attore in giudizio; nella seconda ipotesi, che qui interessa (trattandosi di azione di accertamento negativo e di ripetizione di indebito promossa dal correntista nei confronti della banca che si è limitata a resistere in giudizio), “l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi i quali consentano di affermare che il debito, nell’intervallo temporale non documentato, sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo dal primo saldo debitore documentato”. Nella sentenza si è evidenziato il problema posto dalla scelta dell’azzeramento del saldo iniziale disponibile, correlato al fatto che, in presenza di nullità contrattuali, non potrebbe “teoricamente escludersi che il saldo intermedio (attestato dal primo degli estratti conto acquisiti al giudizio) sia di segno negativo proprio in ragione di pregressi addebiti di importi non dovuti e che esso potrebbe risultare, invece, di segno opposto (positivo dunque) ove lo si possa depurare dalle illegittime appostazioni”, con pregiudizio per la ricostruzione delle movimentazioni poste in atto in tale arco di tempo, non ancorate a un saldo iniziale certo e di valore definito. Cosicchè, per l’ipotesi, che qui interessa in cui sia il correntista ad agire per la ripetizione dell’indebito e la banca a resistere in giudizio, in mancanza di elementi utili che consentano di affermare che il debito del cliente, nel periodo non documentato, fosse inesistente o inferiore o che addirittura, in quel periodo, fosse maturato un credito per il cliente, dovrà assumersi come dato di partenza per le rielaborazioni delle successive operazioni il saldo iniziale, a debito e quindi sfavorevole allo stesso attore, risultante dal primo degli estratti conto acquisiti in giudizio.

Tali pronunce convergono nell’affermazione che l’estratto-conto non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto; esso consente, come si è appena detto, di avere un appropriato riscontro dell’identità e consistenza delle singole operazioni poste in atto: ma, in assenza di alcun indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni.

Nel caso in esame, tuttavia, la Corte d’Appello si è limitata ad affermare che la mancanza degli estratti conto, relativa solamente ad alcuni trimestri per il primo rapporto ed a diversi trimestri per l’altro, non inficiava la ricostruzione effettuata dal CTU, di talchè essa poteva ritenersi pienamente legittima.

Ora, come si evince anche dal ricorso per cassazione, per il primo rapporto di conto corrente, n. (OMISSIS), di cui non era neppure nota la data di stipula del contratto, erano stati prodotti comunque gli estratti conto dalla prima operazione contabilizzata (nel gennaio 1975) fino alla chiusura del rapporto (nell’aprile 1998), mancando solo alcuni trimestri intermedi (il primo del 1986, il quarto del 1989, il terzo del 1992); per il secondo rapporto, n. (OMISSIS), di cui neppure era nota la data di stipula del contratto, vi erano estratti conto incompleti dal febbraio 1976 all’ottobre 1997, data di chiusura, e mancavano diversi trimestri intermedi (tre nell’anno 1976, l’intero anno 1977, il quarto del 1978, del 1979, del 1980, del 1987, il primo del 1981, il terzo del 1986 e del 1993).

La Corte di merito non chiarisce perchè la ricostruzione operata dal consulente, contestata specificamente dalla banca, potesse comunque ritenersi attendibile nella ricostruzione dei saldi a credito dei correntisti.

5. Il secondo motivo incidentale è del pari fondato.

Con riferimento all’onere di allegazione e prova della natura solutoria delle rimesse in conto corrente ai fini della decisione sulla decorrenza della prescrizione, è da rilevare quanto segue.

Nel contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, ove il cliente agisca nei confronti della banca per la ripetizione d’importi relativi ad interessi non dovuti, è necessario distinguere i versamenti ripristinatori della provvista, operati nel limite dell’affidamento concesso al cliente, che possono essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, da quelli solutori, ovvero effettuati oltre tale limite, ai fini della decorrenza della prescrizione decennale dell’azione rispettivamente dalla estinzione del conto o dai singoli versamenti (per tutte, Cass., sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418).

Ai fini della valida proposizione dell’eccezione, questa Corte a Sezioni Unite ha da ultimo chiarito che “in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte” (Cass. S.U. n. 15895/2019).

Questa Corte ha altresì rilevato (Cass. 2660/2019) che “poichè la decorrenza della prescrizione è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti effettuati dal cliente, essa matura sempre dalla data del pagamento, qualora il conto risulti in passivo e non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento; ne discende che, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata”.

Alla luce dei suddetti arresti, la sentenza della Corte di merito non risulta conforme, avendo la Corte territoriale errato sia nell’addebitare all’istituto di credito l’onere di individuare le rimesse aventi natura solutoria, sia nell’affermare in maniera tautologica che gli atti effettuati dal correntista avessero natura, di regola, ripristinatoria e non solutoria.

6. Il terzo motivo di ricorso incidentale, con il quale è denunciato un omesso esame di fatto decisivo, consistente nella mancata ammissione di rinnovazione della CTU al fine di poter provare quali rimesse fossero solutorie, è, di conseguenza, assorbito.

7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso principale e, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso incidentale, assorbito il terzo, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila per nuovo esame. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso principale e, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso incidentale, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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