Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24343 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 16/10/2017, (ud. 13/07/2017, dep.16/10/2017),  n. 24343

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16314-2014 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliata in Roma, via Pisanelli,

2, presso lo studio dell’Avvocato STEFANO DI MEO, che la rappresenta

e difende, anche disgiuntamente, insieme all’Avvocato PIETRO

GUSTINUCCI per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G. e G.L., elettivamente domiciliati a Roma, via

Giulia di Colleredo, 46/48, presso lo studio dell’Avvocato GABRIELE

DE PAOLA e rappresentati e difesi dall’Avvocato LORENZA DI CERBO,

per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

B.F., con citazione notificata il 3/10/2006, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Pisa, G.G. e S.B. deducendo di aver acquistato dagli stessi, con atto in data 6/10/2005, un appartamento posto al terzo piano del fabbricato sito a (OMISSIS), appartamento che, poco dopo l’acquisto, aveva dimostrato l’esistenza di vizi che al momento della vendita le erano stati taciuti, nè riconoscibili con l’ordinaria diligenza: in particolare, in data 10/7/2006, si era distaccata, presumibilmente per infiltrazioni d’acqua, una parte della copertura del fabbricato mentre i muri dell’appartamento erano stati interessati da consistenti infiltrazioni di umidità.

In forza di tali fatti, l’attrice, invocando la garanzia prevista dall’art. 1490 c.c., ha chiesto che i convenuti fossero condannati a restituirle parte del prezzo di acquisto, nella misura necessaria all’esecuzione dei lavori occorrenti per eliminare i vizi, oltre ai danni.

G.G. e S.B. si sono costituiti eccependo che: l’appartamento venduto alla B. era ricompreso in un fabbricato risalente agli anni ‘60 e, quindi, realizzato con le tecniche costruttive del tempo; al momento dell’acquisito, l’appartamento si trovava in precarie condizioni di manutenzione; l’attrice aveva più volte visionato l’appartamento prima di comprarlo; il prezzo era stato pattuito tenendo conto di tali condizioni; gli inconvenienti realizzati erano riconducibili ad eventi atmosferici di eccezionale gravità ed alla omessa e carente manutenzione da parte del condominio.

Il tribunale di Pisa, disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 10/10/2012, ha accolto la domanda ed, accertata l’esistenza dei vizi dedotti, ha condannato i convenuti a pagare in favore dell’attrice la somma di Euro 11.348,83, oltre IVA e interessi, rigettando la domanda di risarcimento dei danni.

G.G., in proprio e nella qualità di erede della moglie S.B., nel frattempo deceduta, e G.L., nella qualità di erede di S.B., nel frattempo deceduta, hanno proposto appello avverso la sentenza del tribunale, chiedendone la riforma.

B.F. ne ha chiesto, invece, la conferma.

La corte d’appello di Firenze, con sentenza del 21/1/2014, ha accolto l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato le domande proposte da B.F..

A sostegno di tale decisione, la corte, a fronte degli “inconvenienti manifestatisi”, così come accertati dal consulente tecnico d’ufficio, e cioè il distacco con crollo di una parte della gronda del tetto e le infiltrazioni nelle due camere provenienti dal tetto e sulla parete esterna della camera singola, ha escluso che gli stessi potessero configurarsi come vizi occulti rilevanti.

La corte, in particolare, dopo aver premesso, in fatto, che le cause del crollo della gronda del tetto fossero da ricercare “nella tipologia costruttiva della gronda, gronda a cassetta (vale a dire, come rilevato dal tecnico, “una soluzione in uso negli anni in cui il fabbricato venne eretto nella insufficiente resistenza e vetustà dei materiali e nella mancanza di adeguata manutenzione nel tempo” e che le infiltrazioni dal tetto fossero riconducibili al fatto che “il tetto non aveva la guaina, come era normale che fosse per un tetto costruito negli anni ‘60, in quanto all’epoca non veniva utilizzato un simile importante accorgimento”, laddove la causa delle infiltrazioni sulla parete della camera va rinvenuta nella “mancanza di manutenzione del terrazzo adiacente…”, ha rilevato, in diritto, che “il vizio occulto rilevante è quello che non deve esistere, in quanto non proprio di un fabbricato avente apparentemente determinate caratteristiche”, sicchè “in presenza… di carenze del fabbricato riconducibili alla vetustà oppure a criteri di costruzioni propri di altra epoca ad oggi superati, non si può parlare di vizio occulto, bensì di caratteristiche non positive dell’immobile che influiscono solo sul suo valore commerciale”: “colui che acquista un immobile di non recente costruzione… ha l’onere di verificare con cura le condizioni di manutenzione, se del caso interpellando l’amministratore del Condominio al fine di conoscere quali interventi manutentivi siano stati effettuati… “, sicchè, nella specie, in difetto di “una qualche assicurazione circa le buone condizioni del tetto” (neppure allegata), “… l’acquirente doveva sapere che si trattava di un fabbricato risalente agli anni ‘60, con caratteristiche costruttive non propriamente eccellenti, e doveva sapere che prima o poi potevano rendersi necessari interventi al tetto, come alle altre parti del fabbricato…”, tanto più a fronte della mancata concessione di garanzie al riguardo: la B., cioè, “accingendosi ad acquistare un immobile di vecchia costruzione, nel formarsi il convincimento sulla congruità del prezzo, dovrebbe aver considerato che non le venivano date garanzie particolari sicchè avrebbe dovuto mettere in conto che nel tempo sarebbero venute fuori problematiche varie, come è normale che avvenga a seguito della vetustà”.

B.F., con ricorso notificato il 16/6/2014 e depositato il 16/6.2/7/2014, ha chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza, notificata il 17/4/2014, della corte d’appello.

Hanno resistito G.G. e G.L., con controricorso notificato in data 25.30/7/2014 e depositato il 23/9/2014.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico ed articolato motivo, la ricorrente, denunciando la violazione e/o la falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata per non avere applicato la disciplina dettata dall’art. 1490 c.c., comma 1, nel combinato disposto con l’art. 1492 c.c., comma 1, pur a fronte di difetti ed imperfezioni non conosciuti nè facilmente conoscibili dall’acquirente e che, derivando dalla mancata o inadeguata manutenzione del bene venduto, sono vizi idonei a ridurre il valore della cosa venduta.

2. Il motivo non è fondato. Premesso che la ricorrente non ha contestato l’accertamento del fatto operato dal giudice di merito, neppure nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, e che, pertanto, i difetti del bene che la stessa ha lamentato sono quelli che lo stesso giudice ha definitivamente accertato in termini di “carenze del fabbricato riconducibili alla vetustà oppure a criteri di costruzioni propri di altra epoca ad oggi superati”, rileva la Corte che, in caso di vendita di un bene appartenente ad un edificio condominiale di costruzione molto risalente nel tempo, i difetti materiali conseguenti al concreto ed accertato stato di vetustà ovvero alla risalenza nel tempo delle tecniche costruttive utilizzate, non integrano un vizio rilevante ai fini previsti dall’art. 1490 c.c..

La garanzia in esame, infatti, è esclusa tutte le volte in cui, a norma dell’art. 1491 c.c., il vizio era facilmente riconoscibile, salvo che, in quest’ultimo caso, il venditore non abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi.

Nel caso di specie, la corte d’appello, con apprezzamento di fatto sottratto a sindacato in sede di legittimità (Cass. n. 24731/2016), ha incontestatamente accertato non solo che i venditori non hanno dato alcuna assicurazione circa l’inesistenza dei difetti poi riscontrati, ma pure che il bene acquistato si trovava in condizioni materiali tali (“… si trattava di un fabbricato risalente agli anni ‘60, con caratteristiche costruttive non propriamente eccellenti…”) che la compratrice avrebbe dovuto attentamente esaminarlo (“colui che acquista un immobile di non recente costruzione… ha l’onere di verificare con cura le condizioni di manutenzione, se del caso interpellando l’amministratore del Condominio al fine di conoscere quali interventi manutentivi siano stati effettuati… “) onde riscontrarne, se non i vizi che si sono in seguito manifestati, quanto meno le cause della loro possibile verificazione (“… l’acquirente… doveva sapere che prima o poi potevano rendersi necessari interventi al tetto, come alle altre parti del fabbricato…”), le quali, pertanto, sebbene in fatto ignorate, erano dalla stessa, con un minimo sforzo di diligenza (e, quindi, “facilmente”), conoscibili: “l’esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1491 c.c.,… consegue all’inosservanza di un onere di diligenza del compratore in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione… sebbene il grado della diligenza esigibile non possa essere predicato in astratto, ma debba essere apprezzato in relazione al caso concreto, avuto riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa ed alla qualità dell’acquirente…” (Cass. n. 2981/2012).

Questa Corte, non a caso, pronunciandosi in ordine all’applicabilità delle norme sulla garanzia per vizi nella vendita di cose usate, ha ritenuto che “il riferimento al bene come non nuovo comporta che la promessa del venditore è determinata dallo stato del bene stesso conseguente al suo uso, e che le relative qualità si intendono ridotte in ragione dell’usura, che non va considerata (onde escludere la garanzia) come quella che, astrattamente, presenterebbe il bene utilizzato secondo la comune diligenza, bensì come quella concreta che scaturisce dalla reali vicende cui il bene stesso sia stato sottoposto nel periodo precedente la vendita” (Cass. n. 5251/2004; conf. Cass. n. 23346/2009).

3. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, d’ufficio, in dispositivo.

5. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali per il 15% ed accessori come per legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2017

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