Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24342 del 29/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24342 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 5048-2011 proposto da:
EVOLA GIUSEPPE VLEGPP58B07B780P, già elettivamente
domiciliato in ROMA, V. CRESCENZIO 25, presso lo
studio dell’avvocato MARIA VITTORIA PIACENTE,
rappresentato e difeso dall’avvocato DI FEDE ANGELO,
giusta delega in atti e da ultimo presso LA
2013

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– ricorrente –

2556

contro
y

BANCA POPOLARE DI LODI S.P.A. 05754690963, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 29/10/2013

domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio
dell’avvocato CICCOTTI ENRICO, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati TULLIO FORTUNA,
BURRAGATO GUGLIELMO, giusta delega in atti;
– controricorrenti

di PALERMO, depositata il 18/02/2010 R.G.N. 1043/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/09/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato CICCOTTI ENRICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO ) che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorsop /A4 //f.,6024,94 -rte_. Jfo

avverso la sentenza n. 15/2010 della CORTE D’APPELLO

FATTO
Il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, rigettava la
domanda proposta da Evola Giuseppe – dipendente della Banca Popolare
di Lodi ( poi Banco Popolare soc. coop. a r.I.) con mansioni di cassiere —
intesa ad ottenere la declaratoria dell’illegittimità: a) del licenziamento
disciplinare per giusta causa intimatogli in data 2 marzo 2004, ai sensi
dell’art. 61 lettera d) CCNL 11 luglio 1999, conseguente a numerose
irregolarità contestate con nota del 3 febbraio 2004 ed emerse all’esito di

accertamenti ispettivi; b) della sanzione disciplinare della sospensione per
tre giorni dal servizio e dal trattamento economico irrogatagli in data 4
aprile 2002. Gli addebiti posti a fondamento del licenziamento erano
consistiti in transazioni anomale quali: negoziazione di assegni non
trasferibili a persone diverse dai beneficiari; effettuazione di operazioni
(cambi di assegni, pagamenti, prelievi) su saldi indisponibili senza
l’autorizzazione del titolare della Dipendenza; operazioni la cui relativa
documentazione riporta firme non conformi a quelle depositate sugli
appositi contratti o effettuate senza una disposizione sottoscritta dai titolari
dei rapporti movimentati; applicazione su alcune operazioni contabili di
valute non autorizzate da organi competenti e numerose operazioni di
cambio, in particolare di assegni tratti su altri istituti, non transitate sui
rapporti di conto corrente, al fine sia di recuperare la valuta sia di creare
indisponibilità sul rapporto, con conseguenti perdite per l’istituto.
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 18 febbraio 2010,
confermava la sentenza del primo giudice avendo ritenuto: a) infondata la
eccezione di nullità del procedimento disciplinare per non avere la Banca
consentito al dipendente di apprestare compiutamente le proprie difese
omettendo di mettergli a disposizione la documentazione relativa alle
singole contestazioni; b) provati gli addebiti mossi all’Evola sulla scorta
delle risultanze istruttorie – in particolare, del contenuto della relazione
ispettiva confermata in sede di deposizione testimoniale e della
documentazione prodotta — valutate tenendo conto delle giustificazioni
addotte dal dipendente in relazione a ciascuna singola i_ nfrazione
contestata ( anche con riferimento all’addebito relativo alla sanzione
disciplinare del 4 aprile 2002); c) proporzionata la sanzione irrogata alla
gravità degli addebiti in considerazione del ruolo ricoperto dal dipendente.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’ Evola affidato a due
motivi.

1

Resiste con controricorso Banca Popolare di Lodi s.p.a..

DIRITTO
Col primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione
del CCNL di settore, con riferimento agli artt. 7 L. n. 300/1970, 1175, 1176,
1375 c.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia.
Si assume che — diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello —

il procedimento disciplinare all’esito del quale era stato irrogato il
licenziamento sarebbe affetto da nullità per non avere la ganca consentito
all’Evola di partecipare agli accertamenti ispettivi ed alla ricognizione dei
documenti che, peraltro, non erano stati messi a disposizione del
dipendente al quale era stata così impedita la possibilità di una effettiva
difesa in relazione ai singoli addebiti.
Con il secondo motivo si denuncia violazione ed erronea interpretazione
degli artt. 2697 e ss., 1455, 2118 e 2119 c.c. 1 e 3 della L. n. 604/1966 ,
115 c.p.c. nonché contraddittoria ed insufficiente motivazione.
Premesso che l’onere di provare gli addebiti grava sul datore di lavoro, si
rileva che l’impugnata sentenza aveva invertito tale onere nel ritenere
veritiera ogni affermazione proveniente dalla banca, in particolare:
in relazione alla sanzione disciplinare conservativa, non si era tenuto in
debito conto di quanto affermato dai testi escussi e la Corte di merito aveva
dato rilievo solo alle argomentazioni difensive della banca e, comunque, la
sanzione era del tutto sproporzionata rispetto all’addebito;
riguardo al licenziamento, l’impugnata sentenza aveva ritenuto provati gli
addebiti sulla scorta dei verbali ispettivi – erroneamente non considerati
“atti di parte” — e della conferma del loro contenuto in sede testimoniale da
parte dell’ispettore che li aveva redatti, senza valutare le deposizioni rese
dai testi escussi.
Il motivo, quindi, esamina specificamente gli addebiti mossi dalla banca
(sei) all’Evola evidenziando le presunte carenze motivazionali della
decisione gravata. Nella parte finale del mezzo si lamenta anche la
sproporzione della sanzione espulsiva.
Il primo motivo è inammissibile in quanto non contiene censure pertinenti
alle motivazioni della impugnata sentenza in cui è stato esaustivamente
esposto che la Banca aveva messo a disposizione del dipendente in sede
di audizione tutta la documentazione relativa alle contestazioni e,

2

ciononostante, né l’Evola né il rappresentante sindacale che lo assisteva
richiesero di visionarla.
Infondato è anche il secondo motivo.
Vale

ricordare che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria

motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360
c.p.c., n. 5, si configura soltanto quando nel ragionamento del giudice di
merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi
della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un

insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della
decisione, vizio che non e’ certamente riscontrabile allorche’ il giudice di
merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un
significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.
Spetta, invero, solo al giudice del merito individuare le fonti del proprio
convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la
concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di
prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale
è assegnato alla prova (Cass. 29 settembre 2009 n. 20844; 6 marzo 2008
n. 6064; S.U. 11 giugno 1998 n. 18885).
Ciò detto, si osserva che la decisione impugnata si fonda su dati di fatto
così come emersi dalla istruttoria espletata (documentale ed orale). Le
relazioni degli ispettori della banca — confermate in sede di deposizione
testimoniale — sono state ritenute attendibili in quanto concernenti
rilevazione di vicende tecniche, oggettive e non contenenti giudizi oltre ad
aver trovato riscontro nella documentazione prodotta.
In effetti il ricorrente, nel motivo in esame, finisce con il riproporre in
questa sede le censure già mosse nell’appello alla sentenza del primo
giudice, a ciascuna delle quali la Corte territoriale ha dato una puntuale ed
esaustiva risposta, e tende a fornire una ricostruzione dei fatti diversa da
quella operata dal giudice del gravame, sollecitando questa Corte ad un
inammissibile nuova valutazione del merito della controversia ( Cass. n.
6288 del 18/03/2011; Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n.
27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n.
18885/2008, Cass. n. 6064/2008).
Per quanto esposto il ricorso va rigettato.
3

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono
poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per
compensi, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2013.

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