Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24341 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/11/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4891-2013 proposto da:

I.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DARDANELLI 23, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MELINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO FRANCESCO SACCOMANNO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

U.S.L. n. (OMISSIS);

DIRETTORE GENERALE DELL’ASL DI PALMI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 337/2011 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, emessa il 22/12/2011 e depositata il 30/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRASCA RAFFAELE;

udito l’Avvocato Giacomo Francesco Saccomanno, per il ricorrente, che

si riporta agli atti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Ritenuto quanto segue:

p.1. I.S. ha proposto ricorso per cassazione contro l’U.S.L. n. (OMISSIS) ed il Direttore generale dell’A.S.L. di Palmi avverso la sentenza del 30 dicembre 2011, con cui la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha disatteso il suo appello avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Palmi.

p.2. Al ricorso non v’è stata resistenza degli intimati.

p.3. Prestandosi il ricorso ad essere trattato in camera di consiglio, secondo il rito dell’art. 380 – bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione all’avvocato del ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

p.4. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato quanto segue:

p.1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 – bis si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(…) p.3. Il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., in quanto appare inammissibile.

Queste le ragioni.

p.3.1. In via preliminare si rileva che il ricorso è stato notificato al Direttore generale dell’A.S.L. di Palmi, ancorchè esso non sia stato parte del giudizio di appello. La notifica è avvenuta nell’espresso presupposto che esso sia subentrato come commissario liquidatore dell’U.S.L. n. (OMISSIS).

p.3.2. Il ricorso appare inammissibile per l’assoluta inidoneità del requisito dell’esposizione del fatto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

Prima di esporre i motivi, esso, nella seconda pagina del ricorso, viene fatto consistere in quanto risulta riportato dalla sentenza impugnata, che viene espressamente riprodotto.

Senonchè, quanto riprodotto si presenta del tutto insufficiente ai fini dell’assolvimento del requisito di ammissibilità in discorso, atteso che da esso si apprende solo che il Tribunale di Palmi rigettava la domanda del qui ricorrente nei confronti dell’U.S.L. (OMISSIS) di Gioia Tauro per il pagamento di somme asseritamene dovutegli per lavori eseguiti in forza di appalto di opere pubbliche, che con la citazione in appello lo I. evocava davanti alla Corte territoriale l’U.S.L. n. (OMISSIS) di Palmi, quale subentrante alla disciolta U.S.L. n. (OMISSIS) “contestando il decisum del Tribunale” e che l’appellata contestava la propria legittimazione.

Nient’altro si apprende, sebbene in modo sommario e riassuntivo, sul fatto sostanziale e processuale, particolarmente sulle ragioni della difesa svolta in primo grado dall’ente convenuto, sulle modalità di svolgimento del relativo giudizio, sulle ragioni della decisione di primo grado, su quelle poste a base dell’appello e sulle ragioni dell’eccezione di legittimazione dell’appellato.

Ne consegue che, pur potendo il ricorrente in Cassazione assolvere al requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3, riproducendo lo svolgimento del processo contenuto nella sentenza impugnata e, se del caso essa tutta, il concreto assolvimento postula però la sufficienza di quanto riprodotto: nella specie essa è del tutto carente, se si considerano i criteri cui deve assolvere l’esposizione del fatto secondo consolidata giurisprudenza della Corte.

p.3.3. In proposito si ricorda quanto segue.

E’ innanzitutto principio consolidato quello secondo cui: “Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata.” (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).

Le stesse Sezioni Unite avevano, d’altro canto, già osservato che “Il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato” (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003).

E’ stato, del resto, nella logica dei principi affermati dalle Sezioni Unite efficacemente detto che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa” (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006; n. 12688 del 2006).

p.3.3.1. Si deve aggiungere che il requisito dell’esposizione sommaria del fatto sostanziale e processuale è divenuto tanto più importante a seguito della innovazione legislativa introdotta nella disciplina del libro primo del c.p.c. (e che sarebbe perciò certamente applicabile anche alle sentenze di cassazione) e che è d’indiretta, ma sicura rilevanza pratica in sede di giudizio di legittimità: si tratta della modifica (ex L. n. 69 del 2009) dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi del quale la sentenza deve contenere non più “la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”, bensì “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Prescrizione che, poi, il pure novellato art. 118 disp. att. c.p.c., ridimensiona (all’apparenza) ulteriormente, parlando della “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.

Queste disposizioni, applicabili – ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2, ai processi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore (ed anche a quelli pendenti in appello ed in cassazione, a meno di ritenere che la novità normativa si sia inteso applicarla solo a far tempo dalle decisioni rese in primo grado dopo l’entrata in vigore della legge) – almeno apparentemente parrebbero legittimare i giudici di merito ad omettere qualsiasi riferimento allo svolgimento del processo, il che può rendere al lettore pressochè incomprensibile la decisione.

Senza indulgere a spiegare perchè un’esegesi ragionevole della nuova previsione comporti che essa non debba essere presa alla lettera dai giudici di merito, atteso che non si riesce a comprendere come, almeno entro certi limiti, si possano esporre le ragioni di fatto e di diritto della decisione senza dar minimo conto e per quanto necessario dello svolgimento processuale, potendo configurarsi in casi limite, il rischio di una motivazione del tutto apparente sul piano percettivo, importa qui rilevare che non è dubitabile che nel nuovo contesto normativo, il requisito di cui al n. 3 assuma certamente rinnovata importanza, perchè impone alla parte ricorrente in Cassazione – sempre che la sentenza non impinga per quanto si è appena rilevato in un’apparenza di motivazione – di sopperire ad eventuali manchevolezze della sentenza nell’individuare fatto sostanziale e – soprattutto – processuale.

p.3.4. Ebbene, la sopra riportata esposizione del fatto nel ricorso in esame è del tutto carente secondo i principi di diritto che si sono ricordati.

Donde l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3″.

p.2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali parte ricorrente muove, nella sua memoria, rilievi che non sono idonei ad evidenziarne in alcun modo l’erroneità.

p.2.1. Tali rilievi iniziano con la condivisione dell’assunto della relazione che quanto esposto nella parte del ricorso dedicata al “fatto”, per il tramite della riproduzione della esposizione del fatto di cui alla sentenza impugnata, sarebbe effettivamente inidoneo ad integrare il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

La memoria, però, sostiene che, dopo tale riproduzione, nel ricorso i fatti sarebbero stati ricostruiti dopo l’indicazione del primo motivo e prima di illustrarlo, cioè nelle pagine 3/5 del ricorso.

Ora, anzichè spiegare come e perchè, in relazione alla giurisprudenza evocata dalla relazione, quanto colà riprodotto integrerebbe un’allegazione del fatto sostanziale e processuale conforme ai principi di cui a detta giurisprudenza, come avrebbe imposto l’attività di confronto con il progetto di decisione ipotizzato dalla relazione, parte ricorrente si limita ad asserire che quanto oggetto della riproduzione avrebbe quell’efficacia.

La mancanza di esplicitazioni dell’assunto e l’assenza di confronto con la giurisprudenza evocata della relazione, condivisa dal Collegio, non richiederebbe alcuna osservazione.

Senonchè e per mera completezza, si osserva che quanto enunciato nelle pagine 3-5 del ricorso si presenta del seguente tenore: inizia già in modo inidoneo a dar conto del requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3, atteso che si allude alla proposizione dell’appello contro la sentenza di primo grado; continua con l’indicazione che con esso venne convenuta l’U.S.L. con l’indicazione di un suo procuratore; riferisce del modo in cui venne eseguita la notificazione; svolge assertoriamente, quindi, attività argomentativa e non narrativa; riferisce della costituzione in appello dell’U.S.L. e dice, senza individuare l’autore della deduzione, che “dopo aver illustrato i fatti, eccepiva”; riferisce di una deduzione di cinque righe della prima conclusionale in cui si alludeva ad una richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa o all’integrazione del contraddittorio nei confronti della Regione; riproduce il contenuto di una ordinanza che dispose la rimessione sul molo della causa per la produzione di atti relativi ad un procedimento di istruzione preveniva; riferisce il contenuto di una seconda conclusionale.

Non è spiegato come tali enunciazioni possano avere integrato il requisito dell’art. 366, n. 3, come s’è già detto, ma è, comunque, palese che esse si risolvono nel riferire si un’eccezione sollevata nel corso del giudizio di appello, la cui comprensione per il lettore resta impossibile perchè nulla si dice sullo svolgimento processuale pregresso del giudizio di primo grado.

p.2.2. Il Collegio rileva, peraltro, che lo stesso argomentare svolto nelle pagine 3-5 e quello successivamente svolto ad illustrazione dei motivi, risulta basato su atti processuali riguardo ai quali nemmeno si fornisce l’indicazione specifica nei termini richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (ex multis, Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, con specifico rifermento agli atti processuali), sicchè si configurerebbe anche una gradata causa di inammissibilità.

p.3. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 – quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 – bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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