Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24341 del 29/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24341 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 31344-2007 proposto da:
LAMANNA AUGUSTO, 9 à elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio
dell’avvocato DETTORI MASALA ANGELA, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MINA
ANDREA, giusta delega in atti e da ultimo presso LA
2013

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– ricorrente –

2553

contro
i.

AZIENDA OSPEDALIERA “SPEDALI CIVILI” DI BRESCIA
01109200178, in persona del legale rappresentante pro

Data pubblicazione: 29/10/2013

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE
IV N.99, presso lo studio dell’avvocato FERZI CARLO,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
CHIELLO ANGELO, giusta delega in atti;
– controricorrente

di BRESCIA, depositata il 18/12/2006 R.G.N. 510/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/09/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
è comparso l’Avvocato MANCA BITTI DANIELE;y«,
udito l’Avvocato FERZI CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO P che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

(4wAct~/144/A…

avverso la sentenza n. 400/2006 della CORTE D’APPELLO

FATTO
Lamanna Augusto — dipendente dell’Azienda Ospedaliera “Spedali Civili”
di Brescia — dopo un periodo di malattia rassegnava le dimissioni, giusta
lettera del 31.1.2002 e con decorrenza 4.2.2002, revocandole il successivo
21 febbraio ed offrendo, da tale data, le proprie prestazioni lavorative.
L’Azienda, il 28.2.2002, comunicava l’accettazione delle dimissioni
respingendo la richiesta di ripresa del lavoro. Il Lamanna, sull’assunto che
la materia fosse ancora regolata dal disposto dell’art. 124 DPR 10.1.1957

n. 3 — secondo cui le dimissioni del pubblico dipendente devono essere
accettate per essere operative — conveniva in giudizio innanzi al Tribunale
di Brescia l’Azienda Ospedaliera chiedendo accertamento dell’illegittimità
del provvedimento del 28.2.2002 e la reintegra nel posto di lavoro, con ogni
consequenziale statuizione di ordine giuridico ed economico.
L’adito giudice rigettava la domanda, decisione questa confermata dalla
Corte territoriale con sentenza del 18 dicembre 2006.
Ad avviso della Corte l’eccezione di violazione del principio della domanda
e di ultrapetizione da parte del primo giudice, contenuta nel primo motivo di
appello, era infondata. Nel merito, rilevava che l’art. 124 DPR n. 3/1957
non era applicabile in quanto l’art. 37 lett. b) del CCNL di comparto 1994 1997 aveva nuovamente regolamentato l’istituto delle dimissioni che erano,
ormai, un atto unilaterale e non necessitavano di essere accettate per
produrre l’effetto risolutivo del rapporto.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Lamanna affidato
a quattro motivi.
Resiste con controricorso la Azienda Ospedaliera “Spedali Civili” di
Brescia.

DIRITTO
Preliminarmente, va rilevata la irritualità della costituzione del nuovo
difensore del ricorrente — avv. Daniele Manca Bitti — in sostituzione dell’avv.
Giovanna Dettori Masala, deceduta, già costituita unitamente all’avv.
Andrea Mina. Ed infatti la procura all’avv. Manca Bitti, autenticata da
quest’ultimo ed apposta a margine della comparsa di costituzione del
nuovo difensore, è nulla ( applicandosi la disciplina anteriore alla entrata in
vigore dell’art. 45 co. 9, lett. a) L. 18.6.2009 n. 69 essendo il presente
processo iniziato prima del 4.7.2009) perché apposta su un atto diverso da
0
quelli indicati dall’art. 83 c.p.c., comma 3 ( Cass. 9 ottobre 1997, n. 9799;
Cass. sez. un., 5 luglio 2004 n. 12265; con riferimento al caso in cui debba
1

sostituirsi il difensore nominato con il ricorso, deceduto nelle more del
giudizio, o tale nuovo difensore – come nella specie – si affianchi al
precedente cfr. Cass n. 18528 del 20/08/2009).
Ciò detto, passando al primo motivo di ricorso, si rileva che viene dedotta
violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 416, 420 c.p.c. e 2697
c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un
punto decisivo della controversia ) per avere la Corte di appello rilevato
d’ufficio la questione relativa alla vigenza dell’art. 124 cit. a seguito della

adozione del contratto collettivo, laddove la convenuta Azienda nulla aveva
eccepito al riguardo. In altri termini, diversamente da quanto affermato nella
impugnata sentenza, l’eccezione relativa ad una eventuale abrogazione del
citato art. 124 da parte del CCNL non era questione di mero diritto e,
pertanto, doveva essere allegata dall’Amministrazione resistente in sede di
costituzione.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione
degli artt. 124 DPR n. 37/1957 e 69 d.Lgs n. 165/2001 nonché vizio di
motivazione, per aver ritenuto possibile che una norma della contrattazione
collettiva potesse abrogare il disposto di una fonte primaria quale era l’art.
124 citato.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 78,
124, 127 del DPR n. 3/1957 in quanto la Corte di appello aveva affermato
che l’ingiustificata assenza dal lavoro del Lamanna – sul quale, secondo il
regime delineato dalla norma di cui veniva chiesta l’applicazione,
incombeva l’obbligo di proseguire la prestazione fino alla comunicazione
dell’accettazione delle sue dimissioni – sarebbe stata già di per sé causa di
risoluzione del rapporto per assenza ingiustificata.
Ed infatti, tale principio non era corretto in quanto il

DPR n. 3/1957

riconduceva la cessazione del rapporto di pubblico impiego, oltre al caso di
dimissioni accettate, alle sole ipotesi di decadenza o di destituzione che
presuppongono un provvedimento – nel caso in esame mai adottato – in tal
senso.
Con il quarto motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli
art.. 2697 c.c. e 420 c.p.c. nonché vizio di motivazione per non aver il
giudice del merito motivato la mancata ammissione delle prove orali
articolate ( interrogatorio formale e prova per testi) sulle circostanze di cui
ai capi di prova intese a ricostruire l’intera vicenda.
Il primo motivo è infondato.
2

Vale ricordare che, per costante orientamento di questa Corte, il principio
della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato fissato dall’art. 112 c.p.c.
– che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non
richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi
corrispondenza nella domanda – deve ritenersi violato ogni qual volta il
giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli
elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”),
attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello

richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella
domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del “petitum”, rilevi d’ufficio
un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto
fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto
dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e
situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo
un titolo (“causa petendi”) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a
sostegno della domanda, mentre non osta a che il giudice renda la
pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto
a quella prospettata dalle parti, nonché in base all’applicazione di una
norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass. n. 23079 del
16/11/2005; Cass. n. 19475 del 06/10/2005; Cass. n. 11455 del
19/06/2004).
Tale principio va peraltro posto in immediata correlazione con l’altro “iura
novit curia” di cui all’art. 113, primo comma, cod. proc. civ., rimanendo,
pertanto, sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa
qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione
esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta
fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua
decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle
parti ( Cass. n. 10009 del 24/06/2003).
Orbene, nel caso in esame, correttamente la Corte di appello ha
considerato che il primo giudice non avesse violato il principio della
domanda in quanto la questione relativa alla vigenza dell’art. 124 DPR n.
3/1957 era a fondamento della domanda proposta e si imponeva a seguito
della intervenuta privatizzazione del pubblico impiego e della entrata in
vigore degli artt. 2 e 69 del dLgs. n. 165/2001, a prescindere dalla
allegazione o meno da parte dell’Azienda del CCNL di comparto visto che i
contratti collettivi nazionali relativi al pubblico impiego possono essere
3

conosciuti direttamente dal giudice essendone prevista la pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale ( sul punto vedi, tra le altre, Cass. n. 17095 del
21.7.2010, in motivazione, e Cass. S.u. 4 novembre 2009, n. 23329). In
altri termini, il Tribunale, nel ricercare la norma applicabile alla fattispecie
oggetto del giudizio, non era certo vincolato alla posizione assunta dalle
parti in merito alla vigenza o meno dell’art. 124 cit..
Infondato è anche il secondo motivo.
La tesi del ricorrente non tiene conto della riforma del pubblico impiego

portata a compimento con il d.Lgs n. 165/2001 che ha determinato una
delegificazione del rapporto di lavoro pubblico con la sostituzione delle
norme pubblicistiche con quelle previste dalla contrattazione collettiva,
ragion per cui l’art. 124 cit., in virtù delle disposizioni contenute nel d.Lgs. n.
165/2001 (in particolare, artt. 2 co. 2° e 69 co.1°), è divenuto inapplicabile
a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994 1997 — come già evidenziato nella impugnata sentenza – ed ha cessato di
produrre effetti dal momento della sottoscrizione del CCNL del quadriennio
1998 -2001.
Del pari infondato è il terzo motivo di ricorso.
L’assunto del ricorrente è, infatti, in contrasto con quanto costantemente
affermato da questa Corte secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore del
d.lgs. n. 29 del 1993, essendo il c.d. rapporto di pubblico impiego
privatizzato regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul
lavoro, nonché dalle norme sul pubblico impiego, solo in quanto non
espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore
costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la
risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza
del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di
accettarle, sicché non necessitano più, per divenire efficaci, di un
provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione
(Cass. n. 5413 del 05/03/2013; Cass. n. 9575 del 29/04/2011; Cass. n. 57
del 07/01/2009; Cass n. 20787 del 04/10/2007).
Infine, anche il quarto motivo è infondato in quanto correttamente il giudice
del merito ha ritenuto di non ammettere i mezzi istruttori articolati dal
ricorrente stante la loro irrilevanza ai fini del decidere.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono
poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.
4

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 3.000,00 per compensi ed in euro 100,00 per
esborsi, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2013.

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