Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24340 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16249-2013 proposto da:

TRENITALIA S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona dell’avvocato Antonino

Russo, institore in virtù dei poteri conferitigli giusta procura

per atto notarile in Roma 12/03/2008, n. Rep. 72872, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio

dell’avvocato GERARDO che la rappresenta e difende giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 256/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

emessa il 21/2/2013 e depositata il 30/4/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

6/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MAROTTA CATERINA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

“Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze confermava la decisione del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda di B.R. nei confronti di Trenitalia S.p.A. intesa ad ottenere, con riguardo al periodo dal gennaio 2002 al settembre 2003, l’indennità di posizione “quadri”, nella misura massima prevista contrattualmente a livello collettivo, in ragione delle funzioni assegnategli di addetto alla programmazione dei turni del personale di macchina. Riteneva la Corte territoriale che non fosse più in discussione l’accertamento in fatto delle mansioni svolte dal B. e poste da medesimo a fondamento delle rivendicazioni economiche nè la questione della prescrizione (non essendo stata riproposta in appello dalla società la relativa eccezione). Per il resto osservava che la differenziazione delle misure dell’indennità, quadri (in tre livelli, da un minimo ad un massimo) fosse rimasta ancorata, pur a seguito delle previsioni di cui al C.C.N.L. del 1998, sempre agli stessi originari criteri in forza dei quali la posizione di quadro addetto alla predisposizione dei turni del personale di macchina aveva visto attribuita la terza, e massima, misura dell’indennità (irrilevante essendo la riduzione quantitativa del numero dei treni da gestire, collegata alla esclusione del settore trasporto merci, peraltro, nella specie, di entità limitata e del pari irrilevante che il B., come altri colleghi addetti al medesimo lavoro, non provvedesse anche all’individuazione nominativa dei macchinisti che avrebbero dovuto ricoprire i turni di servizio dal medesimo individuati in base al numero ed alla tratta di percorrenza dei treni operativi).

Per la cassazione della sentenza propone ricorso Trenitalia S.p.A. che affida l’impugnazione a due motivi di censura.

B.R. è rimasto solo intimato.

Con i due articolati motivi la ricorrente denunzia la violazione e falsa del C.C.N.L. 1990/1992, art. 49, dell’Accordo di procedura sottoscritto con le OO.SS. di categoria del 26/3/1991, del 13/7/1993, del 13/5/1993, degli artt. 1362 e ss. c.c., dell’art. 116 c.p.c., nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ed ancora. In pratica, la ricorrente imputa alla Corte territoriale di non aver considerato che, a seguito della revisione della organizzazione societaria avvenuta nel 1995, l’indennità ex adverso richiesta non era più dovuta in quanto, per previsione pattizia, l’attribuzione dell’indennità di posizione per le figure professionali di nuova costituzione doveva essere oggetto di contrattazione collettiva, non effettuata nel caso di specie.

I motivi sono improcedibili laddove denunciano la violazione di clausole di contratti e accordi collettivi nazionali senza produrne il testo integrale. Invero, per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. 4 marzo 2015, n. 4350; Cass. 31 gennaio 2011, n. 2143; Cass. 15 ottobre 2010, n. 21358; Cass., Sez. un., 23 settembre 2010, n. 20075; Cass. 13 maggio 2010, n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto o dell’accordo collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.. Nè a tal fine basta la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali atti siano stati eventualmente depositati, essendo altresì necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto processuale (v., ad es., Cass. 22 dicembre 2014, n. 27228), il che nel caso in esame non è avvenuto.

E’ pur vero che è stato anche ritenuto che il suddetto onere possa essere adempiuto, in base al principio di strumentalità delle forme processuali – nel rispetto del principio di cui all’art. 111 Cost., letto in coerenza con l’art. 6 della CEDU, in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli – anche mediante la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze (cfr. Cass. 7 luglio 2014, n. 15437) ciò però sempre a condizione che il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco degli atti depositati, posto in calce al ricorso, vi sia la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo contiene.

Nel caso in esame non vi è traccia in ricorso dell’avvenuto deposito integrale nel corso del giudizio di merito dei C.C.N.L. e degli accordi citati e se anche la società riproduce il contenuto di punti delle clausole denunciate, indicando il numero della produzione del fascicolo di parte di primo grado (così alle pagg. 19 e 20 del ricorso), tuttavia non è dato evincere se fosse stato allegato il testo integrale dei contratti ovvero degli accordi richiamati.

Ad ogni modo, nel merito della questione, va evidenziato che questa Corte ha già avuto modo di confermare la interpretazione delle norme contrattuali, qui accolta dal Giudice di appello, con la sentenza Cass. 29 settembre 2009, n. 20835.

Per il resto, va osservato che, a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile, in base al comma 3 della medesima norma, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, e dunque dall’11/9/2012, è deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti; il controllo della motivazione è, così, ora confinato sub specie nuilitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/14).

Nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicchè neppure potrebbe trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dall’odierna ricorrente.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 116 c.p.c., va innanzitutto chiarito che una violazione o falsa applicazione di norme di legge (sostanziale o processuale), non può dipendere o essere in qualche modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale istruttorio. Al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 116 c.p.c., può porsi solo allorchè sia allegato che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione. E poichè, in realtà, nessuna di queste situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste.

La Corte territoriale, lungi dal considerare irregolarmente le fonti di prova sottoposte alla sua valutazione, ha ritenuto che, sulla base dell’istruttoria svolta, potesse considerarsi irrilevante, ai fini della spettanza dell’indennità nella misura rivendicata, la riduzione quantitativa del numero dei treni da gestire, collegata alla esclusione del settore trasporto merci, e cioè in ragione dell’entità limitata della stessa e che, del pari, fosse irrilevante che il B., come altri colleghi addetti al medesimo lavoro, non provvedesse anche all’individuazione nominativa dei macchinisti che avrebbero dovuto ricoprire i turni di servizio dal medesimo individuati in base al numero ed alla tratta di percorrenza dei treni operativi, e ciò in ragione del fatto che non era emerso che, prima della riorganizzazione, tale assegnazione nominativa costituisse una specifica attribuzione dell’addetto alla predisposizione dei turni.

Rispetto a tali argomentazioni così come rispetto alla valutazione della prova testimoniale, i rilievi della ricorrente impingono in valutazioni di fatto riservate al giudice di merito, sollecitando soltanto una nuova lettura delle risultanze probatorie, operazione preclusa in sede di legittimità.

In conclusione, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

2 – La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis c.p.c., con la quale la ricorrente, per un verso, contesta la valutazione di improcedibilità dei motivi di ricorso (senza, peraltro, fornire elementi per ritenere che nel giudizio di merito fosse stato depositato il testo integrale del c.c.n.l. o degli accordi la cui violazione è espressamente denunciata) e, per altro verso, si limita a riproporre le ragioni espresse nei motivi di cui al ricorso.

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va rigettato.

5 – Nulla va disposto per le spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

6 – La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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