Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2434 del 27/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 27/01/2022, (ud. 16/11/2021, dep. 27/01/2022), n.2434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1020-2020 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

28, presso lo studio dell’avvocato GAETANO ALESSI, rappresentata e

difesa dall’avvocato PIETRO RABIOLO;

– ricorrente-

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3997/8/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA SICILIA, depositata il 25/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.G. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato il suo appello avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo, che aveva rigettato il ricorso della medesima contribuente contro l’avviso d’accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno d’imposta 2006, con il quale le veniva imputato, ai fini Irpef, il maggior imponibile, derivante dalla plusvalenza conseguente alla cessione, con due distinti atti di compravendita, di due terreni edificabili, dei quali la contribuente era comproprietaria.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 1, primo periodo. Rileva infatti la ricorrente che il giudice a quo ha erroneamente confermato l’avviso d’accertamento controverso assumendo come riferimento, ai fini dell’imposizione della plusvalenza derivante dalla cessione di aree fabbricabili, non il corrispettivo percepito dalla venditrice, ma il maggior valore venale degli immobili ceduti, determinato unicamente sulla base di quello accertato in sede di rettifica del valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro.

2. Con il secondo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, primo periodo, con riferimento al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68. Assume infatti la ricorrente che il giudice a quo ha erroneamente confermato l’avviso d’accertamento controverso sebbene la norma di interpretazione autentica di cui al D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, avente efficacia retroattiva, escluda che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale.

3. Con il terzo motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

Assume infatti la ricorrente che il giudice a quo ha erroneamente attribuito alla contribuente l’onere di provare di aver venduto gli immobili ad un prezzo inferiore a quello accertato nell’atto impositivo, mentre era onere dell’Ufficio provare il presupposto dell’imposizione maggiore di cui alla pretesa erariale.

4. Con il quarto motivo la contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.5, l’omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dalla circostanza che la comparazione del prezzo di cessione delle aree edificabili con il corrispettivo incassato dall’acquirente Agorà s.p.a. dalla loro successiva rivendita sarebbe alterata dalla circostanza che quest’ultima società era stata interessata da procedimenti penali, che avevano condotto alla sua confisca, che avrebbero evidenziato elementi di illiceità correlati allo stesso ritrasferimento immobiliare, “nato per effetto di strategie di stampo mafioso”, quindi non costituendo un attendibile elemento comparativo.

5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 345 c.p., e del D.Lgs. n. 564 del 1992, art. 57, comma 1.

Assume infatti l’Ufficio che nel ricorso introduttivo la contribuente aveva censurato l’avviso d’accertamento per vizi della sua motivazione, in quanto l’Amministrazione “non aveva indicato le ragioni giuridiche alla base del provvedimento adottato”, che la contribuente individuava nelle sentenze emesse dalla CTP di Agrigento nei confronti della terza acquirente Agorà s.p.a. nel contenzioso instaurato contro gli avvisi di rettifica e liquidazione dell’imposta concernenti le compravendite in questione, lamentandone la mancata allegazione all’accertamento e la nullità per la pretesa violazione del litisconsorzio necessario. Costituiva pertanto motivo nuovo, inammissibile secondo la ricorrente incidentale, la censura, in appello, dell’accertamento controverso perché fondato sulla rideterminazione, a carico della medesima contribuente, del corrispettivo di cessione in sede di imposta di registro e per la comparazione con la rivendita successiva da parte della stessa acquirente.

Avrebbe quindi errato la CTR nel non dichiarare inammissibile il relativo motivo d’appello.

5.1. Appare opportuno trattare anticipatamente il motivo di ricorso incidentale condizionato erariale, giacché esso introduce una questione (quella della pretesa novità del motivo dell’appello della contribuente rispetto al ricorso introduttivo) che la stessa Agenzia eccepisce anche quale ragione di inammissibilità dei motivi del ricorso principale della contribuente, aggiungendovi peraltro, anche l’eccezione di inammissibilità di questi ultimi per la loro novità rispetto a quelli d’appello.

Tanto l’eccezione quanto il ricorso incidentale condizionato dell’Ufficio sono pertanto potenzialmente preclusivi dell’esame nel merito dei motivi del ricorso principale della contribuente. Ritiene il Collegio che l’eccezione ed il ricorso incidentale erariali siano infondati.

Infatti, il ricorso introduttivo della contribuente (per quanto risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso controricorso), censurava la motivazione dell’atto impositivo, in tema di plusvalenza, perché l’Ufficio non aveva indicato le ragioni giuridiche poste a base del provvedimento adottato e non aveva allegato le sentenze di primo grado che, nei confronti della società acquirente, avevano rettificato il valore di acquisto.

Nella sostanza, quindi, la contribuente attingeva comunque le ragioni della rideterminazione del prezzo di cessione operata dall’Ufficio con l’accertamento qui controverso, mettendone in discussione, già sotto il profilo della conoscibilità, le ragioni giuridiche, in particolare sotto il profilo della correlazione con la quantificazione del valore dei beni ceduti effettuata ad altri fini impositivi. Ed infatti la stessa Amministrazione si era difesa, in primo grado, anche sul merito della fondatezza della pretesa impositiva, anche introducendo la circostanza fattuale della rivendita degli stessi immobili ad un prezzo superiore, da parte dell’acquirente società (cfr. sentenza impugnata, nella parte espositiva del giudizio), a conferma che sin dal primo grado la controversia attingeva non meramente la validità formale dell’atto impositivo e della sua motivazione, ma anche la fondatezza della pretesa erariale, in relazione alle ragioni della sua determinazione. Non era quindi nuova la relativa questione proposta dalla contribuente, né sono nuovi i motivi di ricorso principale proposti in questa sede, giacché essi sono correlabili ad una questione che la contribuente aveva sostanzialmente attinto sin dal ricorso introduttivo, ovvero l’insussistenza, specie sotto il profilo giuridico, di ragioni che giustificassero l’accertamento del maggior valore dei beni ceduti, ai fini della cessione.

Va, al riguardo, ricordato anche che “Il giudizio tributario è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, ed avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, sicché in sede di gravame le parti non possono proporre nuove eccezioni, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57. Tale divieto concerne esclusivamente le sole eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono sempre deducibili. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25756 del 05/12/2014, ex plurimis e, proprio con riferimento alla normativa di specie ed allo ius superveniens di cui infra, Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 24/01/2017, n. 1823, in motivazione).

Dunque “Nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili”. (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11223 del 31/05/2016).

A tanto si aggiunga che, nel caso di specie, la questione relativa ai criteri di determinazione della plusvalenza è stata interessata anche dalla norma di interpretazione autentica di cui al D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, che, incidendo proprio sulla questione – comunque ancora controversa – della determinazione della plusvalenza, doveva essere comunque applicato al caso di specie. Infatti, lo “ius superveniens” è applicabile d’ufficio, in ogni stato e grado, salvo che sulla questione controversa non si sia formato il giudicato interno (Cass. Sez. L, Sentenza n. 2463 del 04/02/2014; conforme, ex plurimis, Cass. Sez. L, Sentenza n. 21382 del 07/08/2008).

5.2. Tanto premesso, i primi tre motivi del ricorso

principale vanno trattati congiuntamente e sono fondati.

Infatti la ratio decidendi sulla quale si basa la sentenza impugnata è rappresentata dall’affermazione che la rettifica del prezzo di cessione rilevante per il calcolo della plusvalenza imponibile a fini Irpef può fondarsi solo sul maggior valore accertato ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, dal quale deriverebbe l’onere della contribuente di fornire la prova contraria, ritenuta mancante nel caso di specie, dell’effettiva dimostrazione di aver invece venduto i beni ad un prezzo inferiore a quello accertato.

Sul punto, questa Corte ha già chiarito che ” In tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui al D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria”. (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 12131 del 08/05/2019, ex plurimis).

Pertanto, “Il D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, prevede che gli artt. 58,68,85 e 86 TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986) e il D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5,5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione ed il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. n. 347 del 1990. Tale norma si applica anche ai giudizi in corso, atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore e considerato che il carattere retroattivo rappresenta elemento connaturale alle leggi interpretative (cfr. ex plurimis Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 24/01/2017, n. 1823, in motivazione, con specifico riferimento anche allo ius superveniens).

Non ha quindi fatto buon governo di tali principi la sentenza impugnata, sia perché ha ritenuto che il valore accertato ai fini dell’imposta di registro potesse di per sé solo far presumere l’esistenza di un maggior corrispettivo ai fini della plusvalenza, dovendo piuttosto valutare se sussistessero ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti; sia perché, di conseguenza ha attribuito alla contribuente l’onere di fornire la prova contraria del maggior corrispettivo accertato dall’Ufficio, che invece presuppone che l’Amministrazione abbia dimostrato (anche in via indiziaria, ma non meramente attraverso il riferimento all’accertamento ai fini dell’imposta di registro) l’esistenza di tale presupposto dell’imposizione.

La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio al giudice d’appello per i necessari accertamenti in fatto, in applicazione dei predetti principi.

5.3. Il quarto motivo del ricorso principale è inammissibile, in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata che, in ordine alle vicende penali che hanno investito la società Agorà s.r.l., che ha comprato dalla contribuente e rivenduto a terzi i beni in questione, ne ha escluso la rilevanza, sul presupposto che la valutazione del valore venale dei beni in questione, sostenuta dall’Ufficio, si basava sul “valore commerciale” di questi ultimi, e non sul parametro del prezzo di rivendita successivamente praticato dalla predetta società. Pertanto, poiché la stessa sentenza impugnata esclude che il “fatto” della successiva rivendita dei terreni concorra a fondare il rigetto delle ragioni dell’appellante contribuente, è inammissibile il motivo con il quale quest’ultima censura l’omesso esame delle connotazioni della medesima circostanza, per eliderne, o sminuirne, una rilevanza indiziaria sfavorevole che, nella motivazione, il giudice d’appello ha in radice già escluso, palesandone l’esclusione dalla ratio decidendi e, comunque, la non decisività nell’economia della decisione d’appello impugnata.

6. Rilevato che, quanto al ricorso incidentale, risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

PQM

Accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il quarto; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022

 

 

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