Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2434 del 02/02/2011

Cassazione civile sez. II, 02/02/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 02/02/2011), n.2434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. PROTO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 15922/05) proposto da:

M.P., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Amiconi Vitaliano e

Amiconi Mauro ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in

Roma, viale Mazzini, n. 88;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro-tempore;

– intimato –

Avverso la sentenza del Giudice di pace di Roma n. 48652/2004,

depositata il 22 dicembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 22

dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

Ceniccola Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato presso la cancelleria del giudice di pace di Roma in data 25 maggio 2004, M.P. proponeva opposizione avverso il verbale di accertamento n. (OMISSIS) del 28 novembre 2003, notificato il 31 marzo 2004, elevato dalla Polizia municipale di Roma, con il quale le veniva contestata, in qualità di proprietaria del veicolo Fiat Panda targata (OMISSIS), la violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 146, comma 3, (cd.

C.d.S.). Nella contumacia dell’opposta P.A., il giudice adito, con sentenza n. 48652 del 2004 (depositata il 22 dicembre 2004), rigettava la proposta opposizione, ravvisandone l’infondatezza, posto che la violazione accertata con l’impugnato verbale di accertamento, facente fede fino a querela di falso (nella specie non proposta dalla ricorrente), era stata legittimamente rilevata e contestata ritualmente in modo differito (come consentito dal C.d.S.).

Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 15 giugno 2005 e depositato il 28 giugno successivo) la M.P., basato su tre motivi. L’intimato Comune non si è costituito in questa fase.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento all’assunto vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata nella parte in cui si era pronunciata anche sulle domande relative all’omessa contestazione immediata e alla violazione del diritto di difesa, invero non proposte.

1.1. Il motivo è inammissibile sia perchè, al fine della rilevazione dell’eventuale sussistenza del dedotto vizio, la M. non ha riportato nel ricorso – in osservanza del principio di autosufficienza che lo deve caratterizzare (cfr., ad es., Cass. 30 aprile 2010, n. 10605) – l’esposizione specifica dei motivi che erano stati proposti nell’atto di opposizione presentato dinanzi al giudice di pace di Roma, sia perchè – in ossequio alla giurisprudenza pacifica di questa Corte (v. Cass. 4 giugno 2007, n. 12952, e Cass. 17 dicembre 2009, n. 26598) – la deduzione in sede di legittimità della violazione dell’ari. 112 c.p.c. deve essere fatta valere non – come è avvenuto nel caso di specie – come motivo riconducibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (ovvero come violazione o falsa applicazione di legge), bensì come doglianza esclusivamente riferibile al n. 4 dello stesso articolo.

In ogni caso, nella sentenza impugnata il giudicante ha attestato (senza che la M. abbia dimostrato il contrario) che tra i motivi formulati vi erano inclusi anche quelli relativi all’omessa contestazione immediata e all’assunta violazione del diritto di difesa in rapporto al contenuto del verbale di contestazione elevato nei confronti della ricorrente, il cui esame, peraltro, nell’economia complessiva della domanda oppositiva non ha comportato alcun pregiudizio concreto nei confronti della stessa ricorrente, nè la stessa, con l’avanzato ricorso in sede di legittimità, ha prospettato di averlo subito, non essendosi, comunque, venuto a configurare un caso di omessa pronuncia, in conseguenza del quale, invece, la parte avrebbe potuto risentire di un danno rilevante sul piano giuridico, come tale comportante la configurazione di un interesse ad impugnare.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza del giudice di pace di Roma prospettando, in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la supposta violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., sul presupposto che, avuto riguardo alle modalità di accertamento in rapporto alla violazione oggetto del verbale di contestazione, il verbale della Polizia municipale non si sarebbe potuto considerare dotato dell’efficacia propriamente prevista dal citato art. 2700 c.c., anche perchè la contestazione operata riguardava la circostanza che il semaforo non fosse visibile dai conducenti provenienti da v. (OMISSIS), nel mentre gli agenti accertatori avevano redatto il verbale sul presupposto che la M. fosse in grado di avere contezza del colore della lampada semaforica accesa.

2.1. Il motivo è infondato e deve, perciò, essere respinto.

Nella motivazione della sentenza impugnata si argomenta, in modo sufficiente, che la contestazione relativa alla inadeguata segnaletica che insisteva sulla suddetta via tale da non consentire all’opponente di vedere il semaforo per la particolare condizione dei luoghi non era stata idoneamente riscontrata dalla stessa ricorrente e, in ogni caso, risultava smentita dalle risultanze del verbale di accertamento (regolarmente sottoscritto dagli agenti accertatori), nel quale si attestava che il veicolo della M. (ritualmente ed esattamente identificato in relazione al tipo e al numero di targa, risultato pacificamente di sua proprietà) proveniva da via (OMISSIS) ed era diretto in (OMISSIS). Pertanto, sulla circostanza oggetto della specifica doglianza, il giudice di pace di Roma ha ritenuto correttamente che il verbale di accertamento, indipendentemente dallo svolgimento dinamico del fatto oggetto del rilievo effettuato, fosse munito della fidefacienza prevista dall’art. 2700 c.c. e che, quindi, facesse prova di quanto in esso attestato fino a querela di falso, che non risultava essere stata, nella specie, proposta. In tal senso, il giudicante si è attenuto al principio fatto proprio recentemente dalle Sezioni unite di questa Corte (v. sentenza n. 17355 del 24 luglio 2009), secondo il quale, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa (ovvero in quello relativo all’opposizione diretta in sede giurisdizionale avverso il verbale di accertamento per violazioni relative al cd. codice della strada, come consentito dall’attuale art. 204 bis C.d.S.) è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgimento dei fatti. In altri termini – secondo il ricordato recente arresto delle Sezioni unite (con il quale è stato superato l’orientamento accolto nella sentenza delle stesse Sezioni unite n. 12545 del 1992) – l’efficacia di cui all’art. 2700 c.c. riconoscibile al verbale di accertamento concerne inevitabilmente tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alla violazione constatata menzionati nell’atto indipendentemente dalla modalità statica o dinamica della loro percezione, pur rimanendo fermo l’obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le condizioni soggettive ed oggettive dell’accertamento, giacchè egli deve dar conto nell’atto pubblico non soltanto della sua presenza rispetto ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l’attestazione. Sotto altra prospettiva, dunque, l’approccio (v., in senso conforme alla sentenza delle Sezioni unite del 2009, anche la più recente Cass., sez. 2^, 11 gennaio 2010, n. 232) alla questione relativa all’ammissibilità della contestazione e della prova nel giudizio di opposizione a provvedimento irrogativo di sanzione amministrativa non deve essere condotto con riguardo alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione (che devono essere necessariamente confutate, ove contestate, con il rimedio apposito della querela di falso), ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall’accertamento, quali l’identificazione dell’autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell’elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali l’atto – come già sottolineato – è insuscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (come, ad es., quando risulti una mancata corrispondenza obiettiva tra numero di targa e tipo di veicolo al quale essa è attribuita).

3. Con il terzo motivo la stessa ricorrente ha prospettato, in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia dalla stessa indicato nel ricorso originario, poichè – secondo la sua impostazione – la sentenza impugnata non aveva adeguatamente motivato in relazione all’omessa valutazione dei documenti (fotografie e dichiarazioni di un terzo) e alla mancata ammissione delle richieste prova testimoniale e ispezione dei luoghi e, in ogni caso, la motivazione adottata era da ritenersi contraddittoria avendo attestato che la stessa M. non aveva fornito prova dell’errata percezione del pubblico ufficiale a fronte delle istanze istruttorie sulle quali il giudice di pace non aveva, tuttavia, provveduto.

3.1. Anche quest’ultimo motivo è destituito di fondamento.

Secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte, qualora, con il ricorso per cassazione, venga censurata la mancata ammissione, da parte del giudice di merito, di una o più istanze probatorie senza adeguata motivazione, la parte non può limitarsi ad indicare di aver fatto una tempestiva richiesta poi respinta esplicitamente od implicitamente, ma deve dimostrare – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso – che detta istanza avrebbe potuto avere rilievo decisivo ai fini della soluzione di un punto parimenti decisivo della controversia. Peraltro, costituisce principio consolidato che il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire” l’individuazione della “ratio decidendi”, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (così dovendosi ritenere irrilevanti le altre), dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova.

Orbene, alla luce di tali principi, il giudice di pace di Roma, oltre ad aver comunque rilevato l’inidoneità delle allegazioni probatorie prodotte dalla M. (ravvisando, implicitamente, l’ultroneità delle altre), ha rilevato come assorbente, ai fini della prova relativa alla condotta mediante la quale era stata commessa la violazione ascritta alla ricorrente, la fidefacienza fino a querela di falso delle circostanze attestate nel verbale di accertamento (in conformità a quanto rilevato con riferimento al secondo motivo), superabile, quindi, soltanto attraverso la proposizione dello specifico rimedio di cui agli artt. 221 e segg. c.p.c., invero non esperito nel caso specifico, ragion per cui ogni altra istanza istruttoria relativa alla diversa ricostruzione di quanto emergente dal suddetto verbale avrebbe potuto essere legittimamente dedotta e valutata nel procedimento conseguente all’esperimento della querela di falso.

4. In definitiva, quindi, il ricorso deve essere integralmente rigettato, senza che si debba adottare alcuna pronuncia sulle spese del presente giudizio a carico della soccombente ricorrente, in difetto della costituzione dell’intimato Comune di Roma.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2011

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