Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24338 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/11/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2085-2015 proposto da:

R.N., R.M., S.S., R.A.M., in

qualità di eredi del sig. R.G., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 82 presso lo studio dell’avvocato CAMPI

RAFFAELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI TROPIANO,

giusta procura in atti;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI giusta delega in calce al

ricorso notificato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1193/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA del 17/06/2014, depositata l’11/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Clementina Pulli difensore del resistente che si

riporta ai motivi scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

R.G. adiva il giudice del lavoro chiedendo l’accertamento del diritto alla indennità di accompagnamento a decorrere dalla data di presentazione dell’istanza amministrativa e la condanna dell’INPS alla relativa erogazione.

Il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, condannava l’INPS al pagamento dei ratei maturati a decorrere dal 21.10.2010. La decisione era impugnata dall’originario ricorrente. La Corte di appello di Reggio Calabria dichiarava inammissibile, in quanto tardiva, l’impugnazione.

Il decisum della Corte territoriale è stato fondato sulle seguenti considerazioni: in ragione della data di deposito del ricorso giudiziale – il 13 novembre 2009 – trova applicazione il termine semestrale di impugnazione introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17, che ha abbreviato l’originario termine annuale stabilito dall’art. 327 c.p.c.; la sentenza di primo grado, redatta con motivazione contestuale, è stata depositata in data 22 luglio 2011, giorno successivo all’udienza di discussione tenutasi il 21 luglio; in conseguenza, l’appello proposto in data 23 gennaio 2012, che ben poteva essere proposto nel giorno precedente cadente di martedì, risulta tardivo in quanto depositato decorso detto termine semestrale; nelle controversie di lavoro non trova, infatti, applicazione, ai sensi della L. n. 742 del 1969, art. 3, la sospensione dei termini processuali dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno; ai sensi dell’art. 155 c.p.c., per il computo dei termini a mese e ad anno si osserva il calendario comune; esso decorre, in ipotesi di termine cd. lungo, dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso affidato ad un unico motivo R.N., R.M., S.S., R.A.M.; quali credi di R.G., già costituiti in secondo grado. L’INPS ha depositato procura.

Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti hanno dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 327 c.p.c., censurando la statuizione di tardività del gravame sul rilievo che il 22 gennaio 2012, giorno di scadenza del termine semestrale di impugnazione., cadeva di domenica e non, come affermato dal giudice di appello, di martedì, di talchè, ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4, detto termine era prorogato al primo giorno seguente non festivo. In base a tali rilievi, l’appello avverso la sentenza di primo grado,depositato in data 23 gennaio 2012, primo giorno non festivo, cadente di lunedì, doveva considerarsi tempestivo.

Il Consigliere relatore, nella relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, dovendo il vizio denunziato essere fatto valere con lo specifico mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c..

Il Collegio condivide tale valutazione. Invero, l’errore denunziato con il ricorso per cassazione si configura come tipico errore revocatorio, il quale doveva, pertanto, essere fatto valere, con lo specifico mezzo di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, da proporsi davanti al giudice che aveva emesso la decisione.

Come chiarito da questa Corte, infatti, l’errore del giudice di appello nel calcolare i termini per l’impugnazione configura certamente un errore che riguarda un fatto interno alla causa e che si risolve in una falsa percezione dei fatti rappresentati dalle parti, atteso che la cadenza feriale o festiva di un giorno del calendario, da valutare ai fini dell’accertamento della tempestività dell’impugnazione, rientra nella comune esperienza ed è facilmente riscontrabile dalla lettura degli atti da parte del giudice. (Cass. ord. n. 6521 del 2010, Cass. n. 23445 del 2014).

In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in ragione della sua inidoneità alla valida impugnazione della statuizione gravata.

Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza in misura che tiene conto della entità della attività difensiva dell’INPS, limitata alla discussione.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 1.000,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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