Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24338 del 29/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24338 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 19179-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

2437

GIACOMI PETRONILLA;
– intimata –

e sul ricorso 19699-2008 proposto da:

Data pubblicazione: 29/10/2013

GIACOMI PETRONILLA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato
RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1486/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/07/2007 R.G.N.
10850/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/07/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega
verbale~

fi.04/4/-0 GVicr(

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, accoglimento per
quanto di ragione del ricorso incidentale.

contro

19179.08 + 19699.08

Udienza 4 luglio 2013

Pres. G. Vidiri
Rel. V. Di Cerbo

SENTENZA

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato
l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, con decorrenza 1 febbraio
2000, stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Petronilla Giacomi con conseguente
sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Ha
inoltre condannato Poste Italiane s.p.a. al risarcimento del danno derivante
dall’illegittimità del termine, liquidato in misura pari alle retribuzioni maturate dalla
data di costituzione in mora (9 ottobre 2002) alla scadenza del triennio decorrente
dalla cessazione del rapporto di lavoro (28 febbraio 2003).

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; la
lavoratrice ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti
avverso la stessa sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

5.

La Corte di merito, dopo aver rigettato l’eccezione, proposta da Poste Italiane s.p.a., di
risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, ha affermato l’illegittimità del
termine apposto al contratto di lavoro in esame avendo attribuito rilievo decisivo alla
considerazione che tale contratto è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi
dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25
settembre 1997 -, in data successiva al 30 aprile 1998.

6.

Con il primo e secondo motivo la società ricorrente principale censura (denunciando
violazione degli artt. 1372, primo comma, 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 cod. civ.
nonché vizio di motivazione) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato
l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

7.

La censura è infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte
(cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato
(sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale
ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo

3

La Corte

lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e
in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione (tali non potendosi
considerare né la percezione senza riserve del TFR, né le mancate contestazioni alla
conclusione del rapporto, né, infine, la peraltro meramente ipotetica prestazione
lavorativa presso terzi) a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del
rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di
diritto resiste alle censure mosse in ricorso.
8.

Col terzo e quarto motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e degli artt.1362 e segg. cod. civ. in
relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e di altre norme collettive, nonché
vizio di motivazione) la statuizione concernente l’illegittimità del termine.

9.

Le suddette censure sono infondate e devono essere pertanto rigettate. Ed infatti,
sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla
contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962,
discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
salvaguardia per i loro
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche
di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive
di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245,
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta
di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano
della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato
(cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale
quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle
parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le
altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio
2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e
come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali,
con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio
4

consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo
la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di
tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o
errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del

1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di

10. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
11. Prima di esaminare il quinto motivo del ricorso principale (erroneamente indicato
come terzo) ed il ricorso incidentale, entrambi concernenti la statuizione sul
risarcimento del danno, occorre premettere che, per quanto concerne le conseguenze
economiche derivanti dalla dichiarazione di illegittimità della clausola appositiva del
termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in
vigore dal 24 novembre 2010.
12. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è
limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27
febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso
che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta,
oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria. Ne
consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza
della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che vi siano
motivi di ricorso che investano specificatamente le conseguenze patrimoniali
dell’accertata nullità del termine.
13. Nel presente giudizio, come sopra accennato, le censure concernente il profilo
suddetto sono contenute oltre che nel quinto (e ultimo) motivo del ricorso principale,
nei molteplici motivi sviluppati nel ricorso incidentale.
-. – .
denunciando violazione degli artt.
14. Con il quinto motivo
1217 e 1233 cod. civ., la società, ricorrente principale, lamenta, in buona sostanza, la
violazione dei principi in tema di mora accipiendi e l’omessa valutazione dell’aliunde
perceptum anche con riferimento all’onere della prova. Il motivo si conclude con il
seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis
alla fattispecie: per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore — a

seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato —
ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in
servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente
5

attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la
legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del
presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione
degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge
18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre
2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.).

la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod.
civ.

non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in
astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto
rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4
gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi
enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n.
36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente
riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito
generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come
nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
16. Con il ricorso incidentale viene censurata con ben nove motivi la statuizione
concernente il risarcimento del danno, liquidato, come si è’evidenziato in narrativa, in
misura pari alle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora (9 ottobre
2002) alla scadenza del triennio decorrente dalla cessazione del rapporto di lavoro (28
febbraio 2003).
17. La ricorrente incidentale deduce, in particolare, denunciando, fra l’altro, la violazione
degli artt. 1226, 2729, 1227 e 2697 cod. civ. e degli artt. 113 e 114 cod. proc. civ.,
nonché vizio di motivazione, l’erroneità della decisione impugnata con riferimento alla
limitazione del danno risarcibile ai primi tre anni successivi alla conclusione del
rapporto a termine. Dei nove motivi di ricorso almeno l’ottavo (con il quale si contesta
il ricorso ad una liquidazione equitativa del danno) deve ritenersi ammissibile atteso
che il quesito di diritto, formulato ex art. 366-bis cod. proc. civ., è ammissibile in
quanto rispettoso dei parametri di ammissibilità fissati da questa Corte di legittimità.
Tale quesito è stato infatti formulato nei termini che seguono: viola gli artt. 113, 114 e

432 cod. proc. civ. il giudice che, come nel caso di specie, decida il merito della causa
secondo equità, piuttosto che seguire le regole di diritto, senza che la legge gli
attribuisca tale facoltà o le parti ne facciano concorde richiesta, o quando sia
comunque possibile determinare la somma dovuta dal datore di lavoro debitore. Si
tratta di quesito formulato in maniera specifica e chiaramente riferibile alla fattispecie
dedotta in giudizio, come stabilito, in particolare, dalla già citata Cass. S.U. 5 gennaio
2007 n. 36.
18. In relazione alla ritenuta (per le ragioni sopra esposte) ammissibilità del suddetto
motivo di ricorso, ed a prescindere dalla sua fondatezza, deve applicarsi lo ius
superveniens sopra indicato, compito che deve essere pacificamente svolto dal giudice
del merito in quanto implica valutazioni allo stesso riservate.
19. In definitiva, mentre il ricorso principale deve essere rigettato, quello incidentale deve
essere accolto nei limiti sopra indicati e per l’effetto la sentenza impugnata deve
essere cassata con rinvio ad altro giudice, indicato in dispositivo, che provvederà alla
liquidazione del risarcimento del danno tenendo conto dello ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5°, 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183. Lo
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15. Osserva il Collegio che il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente

stesso giudice provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione
(art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale per quanto
di ragione; cassa in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 luglio 2013.

di Roma in diversa composizione.

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